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Rocco Scotellaro detto Pelo rosso Sindaco discolo la cui eredità è tutta da scoprire

di Piero Fabris

Di Piero FabrisGuardava lontano Rocco Scotellaro, oltre l’orizzonte, rimanendo vicino al suo paese di cui fu sindaco a soli 23 anni: Tricarico. Animo raffinato e spirito lungimirante che in un fremito raccolse le colline accarezzate dal sole e il sudore della fatica dei zappaterra, anzi delle ricche povertà della gente del sud, popolo di formiche inconsapevoli delle proprie virtualità.

Tricarico (MT)

Lo scrittore, aveva completato gli studi classici divenendo pane d’esperienze; lui, il figlio di gente semplice, vagando tra Scignano degli Alburni, Cava dei Tirreni, Matera, Roma, Potenza Trento e Tivoli aveva colto e rielaborato nei suoi trent’anni di vita (stroncato da un infarto il 15 dicembre 1953 a Portici) semi per un futuro di dignità. Pensando al Poeta, Scrittore, Politico, profondo interprete della natura e attento alle istanze dei contadini, chini sui sentieri della terra aspra, diviene facile accostarlo a figure come: Carlo Levi, Manlio Rossi Doria, Rocco Mazzarone e Giustino Fortunato o al poeta detto delle due muse, il Leonardo Sinisgalli che sapeva coniugare la cultura umanistica a quella scientifica. Visionari? Troppe volte Rocco Scotellaro, appare estraneo al suo tempo! Non avvezzo alle mode paludose di certi scribacchini, sapeva liberare versi come polline di fiori dell’anima, liriche troppo complesse per i miopi eruditi, i signori critici del suo tempo!

Rocco Scotellaro

Troppo ingombrante per chi ieri come oggi, ama incensare per cortesia, pensando di ubriacare con pagine di circostanza e pessima retorica da dotti da salotto. A cento anni dalla nascita (nato a Tricarico 19 aprile 1923), le sue composizioni sono gemme tutte da scoprire, nutrimento per gli animi tormentati, assetati, affamati di giustizia. Rocco Scotellaro, il poeta contadino di Tricarico, mi piace immaginarlo tra i suoi compaesani, pronto a invitarli a tener la schiena dritta e, a essere orgogliosi del loro Sud sottovalutato da chi nei “sassi” vede solo pietre. Un uomo tormentato dai sogni del possibile; un uomo semplice che non si pone al di sopra degli altri, ma fa delle competenze acquisite, impegno civile, semenza per le coscienze. Quante pagine sembrano inviti rivolti ai contadini, perché sappiano valorizzare la propria terra, le proprie potenzialità. Un intellettuale scomodo per chi ama far risuonare il proprio spicciolo e circondarsi di persone col cappello teso; un disturbo per chi ama apparire benefattore, generoso agli occhi dei più, vantandosi di una ricchezza d’animo e spiritualità che invece nasconde grettezza e miseria da brividi.  Cantare le potenzialità dell’essere umano, schiuderlo a panorami di dignità, lasciandogli intravedere sentieri fuori dalle gabbie del pietismo senza vergognarsi della fragilità, fanno dell’autore di “CONTADINI DEL SUD” (il libro uscì postumo per le edizioni Laterza, grazie all’impegno di Manlio Rossi Doria) un uomo dell’Ascolto per il quale la via diretta è impegno concreto a favore di un meridione dal viso granitico e cuore di carne.  Da suo padre, calzolaio aveva imparato il valore delle scarpe con le quali si mettono i passi nella vita con i suoi dolori e gioie! Dalla madre sarta e casalinga, in grado di leggere e scrivere (era la scrivana del paese), imparò a essere voce per chi non ha voce! Attraverso i versi: “Io sono un filo d’erba/un filo d’erba che trema. /E la mia Patria è dove l’erba trema. /Un alito può trapiantare/il mio seme lontano” si coglie tutta la sensibilità con la quale manifesta il proprio essere immerso nel futuro.

E pensando a “L’uva puttanella” romanzo incompiuto, (pubblicato dalla casa editrice Laterza il 1955), si ha di Rocco Scotellaro il senso della consapevolezza, della concretezza di uomo impegnato nel sociale e infatti scrive: “Non siamo acini maturi, ma piccoli in un grappolo di uva puttanella” dove la radice è essenza identitaria per il legame con la Patria tutta da costruire al di là dei nazionalismi. Il suo “Uno si distrae al bivio” è la cifra del suo impegno etico ed estetico; in “È fatto giorno” vi è la sceneggiatura per embrioni d’urgenze contro ogni glaciazione ideologica che invitano alla PACE come percorso di giustizia sociale che va oltre la semplice amnistia, ma trova nel riconoscere il popolo sovrano il protagonista di una realtà internazionale diversa dalla globalizzazione schiavizzante che oggi ci porta a cercare nuovi lidi. La visione lucida sul domani lo avvicina a Cesare Pavese o a Pier Paolo Pasolini, giusto per far alcuni nomi, purtroppo la sua prematura scomparsa ci ha privato dei suoi contributi di onesto intellettuale, troppo avanti anche per tanti del suo partito che non gli risparmiarono critiche affilate. Una eredità culturale che, Eugenio Montale, già a metà degli anni cinquanta riconosceva originale.

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