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Gianni Cataldi Fotografo fuori dai palcoscenici dell’ordinario apparente. 

Foto Gianni Cataldi

di Piero Fabris    

Gianni Cataldi. Foto di Luigi Scaringello.

 Gianni Cataldi mi attende nella Mediateca di via Zanardelli a Bari. Ho voluto incontrarlo dopo over osservato i suoi scatti qualche tempo fa. È un fotografo che ama starsene nelle quinte meditando sulla luce più giusta per la migliore narrazione, emotiva, di un episodio, di un’azione non premeditata. Per il Cataldi la fotografia è osare. Dichiara: “Dopo aver imparato quelle “tre regole” bisogna stravolgerle, uscire dagli schemi, dagli standard per raccontare con freschezza, purezza l’autenticità dell’attimo. Ogni fotografo deve avere il suo linguaggio, il proprio stile autoriale”. E ancora fissando lo sguardo nella penombra della sala nella quale ci siamo accomodati, al mio investigare sul perché amasse starsene ai margini di certi eventi, risponde: “Ero stanco dei soliti scatti richiesti dalle riviste patinate, stanco di obbedire a direttori di festival che volevano immortalassi cantanti e attori in solite pose stereotipate, di facile presa sul pubblico, ma che trasformavano gli interpreti in figure senza spessore. Vi è l’artista sul palcoscenico, ma è più interessante l’artista fuori dallo spettacolo, magari nei camerini, da solo sulla spiaggia. È molto più importante documentare la sua essenza umana secondo canoni che nel tempo abbiamo fatto nostri, leggendo, studiando, sperimentando, secondo idee che rispondano alla nostra visione, alla nostra sensibilità”.

Foto di Gianni Cataldi

E subito chiarisce che la foto è il risultato di tutto ciò che abbiamo vissuto, imparato, così come diceva Henri Cartier-Bresson, quando affermava che si fotografa con l’occhio, la mente e il cuore. La Fotografia, per Gianni Cataldi è un salvavita, un’isola della salvezza grazie alla quale non si disperdono le emozioni, i ricordi e, parafrasando Ferdinando Scianna, dice: “La più grande aspirazione di un fotografo è saper che una propria foto sia racchiusa in un album di famiglia!” Ed è questa la forza di uno scatto: restituirci la Memoria. Continua: “Al liceo fotografavo le fidanzatine, accanto alle auto di allora, le amiche, periodi di vita. Tutto passa, ma le foto rimangono!”. All’improvviso sembra tuffarsi in un tempo fatto di rullini e camere oscure, nell’avventura dell’analogico, in un tempo dove gli scatti non si sciupavano, ma si meditavano. La foto era mirata. Afferma: “Oggi la fotografia è mutata! È più vicina all’intelligenza artificiale, non demonizzo il digitale, ma troppo spesso si fanno scatti a ripetizione che si affidano e si scelgono in base al mero estetismo dove tutto è perfetto, ma non sono storie; dove i ritratti non sono volti, ma visi plastificati, così diversi dal reale”.

Foto di Gianni Cataldi

La sua idea di fotografia affonda le radici nella Cultura, nell’esperienza, nel desiderio di raccontare e lasciare una traccia autentica che, giunga con originalità, dove la sperimentazione è ricerca di un linguaggio che sia il più luminoso e chiaro, espressione del proprio sentire. Per il fotografo barese, la vera fotografia si avvicina alla letteratura, è immagine di realtà nella quale rispecchiarsi o ritrovare gli appunti di un tempo, i ricordi scippati dalla frenesia dell’oggi. Una immagine, che non è la realtà dell’occhio umano, ma ciò che vediamo e trasformiamo attraverso l’oculare della macchina fotografica. Un ritratto per esempio, non è scavare nella psicologia altrui, sarebbe troppo presuntuoso e pretestuoso dire di aver fotografato l’anima di una persona, visto che non sappiamo un cavolo della nostra; è il risultato di un incontro. E ai ricordi si volge evocando i tempi di “Montedoro Fotografia” nella Valle d’Itria o Alberobello fotografia, sembra trascinarmi negli anni ottanta/ novanta, workshop organizzati dall’infaticabile Cosmo Laera, grazie al quale si potevano incontrare giganti della fotografia e confrontarsi con loro. “Oggi raffrontarsi è divenuto difficile, sembriamo macchine piene di immagini, incapaci di svuotarci e corrispondere con l’altro che non è un manichino! Dimentichiamo troppo spesso che la fotografia è strumento di memoria, un filo di luce che ci collega col passato, bisogna imparare le regole, quindi, poi sabotarle! Non bisogna omologarsi, ma imparare persino dagli errori. Quanti errori sono divenuti filamenti di luce per capolavori?” Tace. “La fotocamera deve rispondere alle nostre esigenze narrative”, sottolinea con convinzione Gianni Cataldi e, mentre parla trasmette la sua passione per la fotografia, la sua vera Musa, per l’arte di inquadrare, stimolare curiosità e per i palpiti di vita custoditi nell’ombra sfocata di tante esistenze che sembrano invisibili.

Foto di Gianni Cataldi

Fotografare è spogliarsi dell’ego e andare incontro all’altro, cogliere con rispetto, con tatto certe realtà che hanno molto più da dire di quanti si mettono in pose costruite.  Fotografare è servizio alla memoria collettiva, donare immagini di gocce per quel lago di conoscenze, serbatoio di consapevolezza che guarda al domani. Esclamo ad alta voce: “Bari dovrebbe avere un archivio di tutto il vostro materiale!” Gianni sorride e mi fa sentire un idiota. Lo so, per molti è difficile guardare lontano, al domani, in troppi sono ripiegati sui propri, piccoli orticelli. 

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