Sei qui
Home > Cultura > Intervista a Loris Avella: Giovane poeta napoletano eternamente in fuga come il mare

Intervista a Loris Avella: Giovane poeta napoletano eternamente in fuga come il mare

di Cinzia Santoro

Incontro Loris Avella un paio d’anni fa a Scampia alla premiazione di un concorso poetico. È giovane, timido ma i suoi versi mi prendono molto. Ricordo di aver pensato che il ragazzo aveva talento. L’ho seguito in questi anni con attenzione, e la sua scrittura è maturata. Le sue poesie trasudano passione, dolore, sfinimento e amore. Loris non si risparmia, scava dentro al suo sentire e si lascia cullare dai suoi versi.

L’intervista.

Come nasce la tua passione per le parole?

Da quando ho sei anni faccio teatro e sono cresciuto con l’amore per i testi teatrali e per i monologhi.
Non ho mai pensato di scrivere e di riuscire a trovare una dimensione nella parola.
Sono sempre stato fedele all’atto di recitare, ad abbracciare i testi di Ruccello e di Pinter fino a quando non ho sentito il bisogno di “scoppiare” e di mettere su carta quello che mi passava per la testa, anche in maniera caotica.
La poesia ti ha aiutato nel corso della tua vita?
È stata d’aiuto quando mi sentivo pieno di idee e di dolori ma nello stesso momento la poesia ti sa anche distruggere.
Mi ha aiutato, si, innanzitutto a capire che non sono sbagliato, che una parola può fare la differenza e con lei ho imparato a conoscermi.
È un veleno ma è anche l’antidoto, perché prima di poter risorgere nella scrittura, bisogna disintegrarsi, mettersi a nudo, avere il coraggio di andare fino in fondo.
La poesia raschia, ma dopo aver scritto si rinasce come una fenice, con animo fiero.
Hai un posto speciale dove incontri l’ispirazione?

No, assolutamente. È improvvisa, certe volte devo fermarmi per strada, prendere il cellulare e scrivere quello che mi passa per la mente. Molto spesso credo di non essere io a formulare quelle frasi e quei versi ma sono loro che trovano me, che mi usano come se il mio sentimento sia solo un mezzo per poter vivere.

Hai già pubblicato una raccolta poetica?

Si, si intitola “Groviglio” Book Sprint Edizioni . È una raccolta poetica che svela il sentire di un giovane uomo che si accetta senza remore, che dalla consapevolezza della propria sessualità e dal groviglio di emozioni e paure che prova fa nascere poesie, parole di cura e di amore.

Scrivi versi intensissimi in dialetto napoletano. Quanto la cultura partenopea ti appartiene?

Amo scrivere versi in napoletano, Napoli è la mia eterna ferita sempre aperta. Il nostro dialetto è una lingua così calda e sensuale che solo leggerla mette un brivido in più ai versi.

Qual è il tuo verso più bello?

Il mio verso preferito è di Alda Merini, l’ho tatuato dietro la schiena: “mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri”.
Questi versi sono in sintonia con la mia vita. Alda Merini è empatica, profonda e umana.
Invece dai miei scritti amo un estratto di una poesia in napoletano:
“E si terremot, na’ cappella senza volto Sant…mme tieni a’ man pure si me vuo’sol int’o’ liett.
Io c’è stong a chist’ultimu dulore, accuminciamm a salta’, po’ o riest se’ ver.”(Sei terremoto, una cappella senza Volto Santo…Mi stringi la mano anche se midesideri solo a letto. voglio quest’ultimo dolore, iniziamo a saltare, il resto si vedrà).
Mi rappresenta, è teatrale, potente e coraggioso. Ha dentro di se tutta la potenza della distruzione distruzione e la consapevolezza di uscirne con le ossa rotte.
Progetti per il futuro?
Ho due testi teatrali già pronti per essere portati in scena, e vorrei riprendere lo spettacolo ispirato alle Cinque rose di Jennifer adattato alla nostra quotidianità. Sono stato ispirato dal testo di Annibale Ruccello. La mia Jennifer è moderna, frequenta le disco e si esibisce con il suo alter-ego Drag.
È questo che al momento desidero. Incrocio le dita e spero di portare di nuovo il teatro nella mia parola.

La poesia. 

Bulgakov.

Quanto è calda la notte
le braccia di un estraneo,
nelle urla del traffico
sento solo la tua canzone.
Canta dal basso,
dalle viscere del ventre
sale il brivido, il fuoco,
l’ansia delle mani sui fianchi.
Che stronzo il cuore di un poeta
che scrive con un chiodo
e l’inchiostro delle labbra,
raschia affondo le quartine,
quelle più malate e amate
e parlano solo di me,
di te,
di Madrid
e dei libri di Bulgakov.
Ma queste braccia
in questo letto
sono spettri distanti e caldi,
un sangue estraneo
perché tu sei giù che canti
ed io non scosto le tende
ma tu sei nei miei occhi
ed il mio nucleo
ha ancora un verso per te.
12 marzo 2021

Lascia un commento

Top