Gifted-Il dono del Talento: tra le uscite cinematografiche è la migliore di Ognissanti Cinema 2 Novembre 2017 di Romolo Ricapito Gifted-Il dono del talento è un film drammatico, corale, incentrato su una ragazzina di sette anni (Mary Adler) dall’intelligenza geniale per la matematica, affidata dalla madre Diane (prima del suo suicidio) allo zio Frank, interpretato da Chris Evans, qui nel ruolo principale. E’ da specificare che la suicida, in età giovanissima (sui 22) era una studiosa di formule matematiche dall’intelligenza straordinaria. Ma anche la madre di Diane, Evelyn è una matematica influente e non scherza nemmeno lo zio Frank (Evans) il quale in una scena ammette di usufruire della propensione scientifica di famiglia nella vita pratica, ovvero è da lui usata per scopi ludici e barare al gioco. Questa famiglia diciamo così dalla mente privilegiata, è però disfunzionale. La capostipite Evelyn della quale si è detto è una donna dura e spietata che in nome dei talenti di famiglia è disposta a sacrificare la felicità della figlia (come si è visto finita tragicamente ) del figlio maschio e infine completando lo sfascio mettendo le mani sulla nipote ( che non ha mai visto sin dalla nascita) per farne un oggetto “suo”. Infatti la “megera” in questione ( in crisi col nuovo ricco marito che si è ritirato “intelligentemente” in un ranch del Montana) irrompe nella vita di figlio e nipote per appropriarsi dunque di quest’ultima, gestendone la genialità e possibilmente facendola crescere in un ambiente chiuso, come ad esempio inserirla in scuole per gifted ( istituti cioè per bambini superdotati) sacrificandone l’infanzia allo scopo di mero rimpiazzo della figlia scomparsa. Questa in sintesi la trama. La sceneggiatura spiega tutto in maniera semplice e lineare soprattutto nella prima parte, che sfrutta l’aspetto accattivante dello zio-padre e i suoi comportamenti sportivi (noleggiatore di barche, “indossatore” di t-shirt sfiziose ed esibizionista in occhiali da sole, camminata dinoccolata). Di pari passo procede il rapporto affettivo con la bambina, che ha trovato una sorta di madre surrogata in una vicina di casa, una robusta donna di colore di nome Roberta. Questo personaggio, interpretato dalla premio Oscar Octavia Spencer, sembrerebbe di contorno ma invece è fondamentale in alcuni particolari passaggi della storia. Ad esempio, Roberta rimprovera all’amico Frank di farsi difendere in tribunale – durante la causa di affidamento della bimba – da un avvocato di colore, dando ad intendere che nell’America d’oggi il razzismo condiziona ancora la giustizia. Infine, la donna costituisce nonostante i suoi 40 e passa un’amica per la bimbetta – prodigio che considera i coetanei immaturi come compagni di gioco, preferendo ad essi le persone adulte e protettive. Si è detto dell’interprete Chris Evans e di come impersoni il piacione della situazione. L’attore, di origine italiana per parte di madre (Lisa Capuano, direttrice teatrale) si accaparra il ruolo migliore mentre la bambina è interpretata da McKenna Grace che nel 2017 ha ben quattro film in uscita, tra cui quello biografico sulla pattinatrice Tonya Harding. La parte dell’odiosa nonna è appannaggio di Lindsay Duncan, attrice teatrale europea (Scozia). Va detto che il film è da considerarsi riuscito per più di una ragione. Marc Webb (regista) Tom Flynn (sceneggiatore) e il direttore di fotografia Steve Dryburgh hanno confezionato un prodotto che non è soltanto ben scritto, ma supportato con eleganza nella parte estetica (vedi zio e nipote raffigurati in un tramonto rosso- arancio con le loro figure in sagome scure ). Molte scene che più che decorative appaiono suggestive e ispirate da un misto di tecnica e arte. La seconda parte, più complessa dal punto di vista psicologico, unisce vari temi che includono quello della proiezione sui figli dei propri desideri, illegittimi perché egoisti. Dunque la trama si concentra sui rapporti malati all’interno del nucleo familiare originario, causa la prepotenza e il predominio di figure genitoriali irresponsabili e distruttive. In tutto questo il personaggio della piccola Mary sembrerebbe funzionale a questo, ossia un puro pretesto per il disvelamento di logiche quasi freudiane che possono appartenere a molte famiglie nelle moderne società evolute economicamente, ma non umanamente. E appunto qui la genialità matematica del clan Adler diventa una sorta di handicap e passaporto per l’inferno, laddove usata a sproposito per enfatizzare il narcisismo della figura castrante e predominante. La castrazione avviene però non nei confronti del maschio ma della figlia femmina, che diventa la prosecuzione (in un transfert malsano) della madre : le viene proibito finanche il compimento di una felice sessualità . Il film come spiegato contiene elementi gradevoli a livello visuale ma anche contenutistico: tra i personaggi principali va considerato un rosso gatto, orbo da un occhio, che riveste un ruolo fondamentale nella pellicola, sia come elemento affettivo che in chiave di simbolo di protezione degli esseri più deboli, essendo appunto un felino diversamente abile. Infine le divagazioni sono gradevoli quanto il resto, vedi la seduzione della maestra della ragazzina, Pat (Julie Ann Emery) nei confronti dello zio bello: l’interesse per il benessere dell’alunna superdotata si trasforma in quello per lo zio-padre…superdotato (in altro modo).