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Cogliere il Silenzio che cambia nella fotografia di Berardo Celati

di Piero Fabris

Berardo Celati spunta all’improvviso da un’ombra del Baretto. Ci sediamo a un tavolino sul marciapiede ironizzando sull’essere al centro della città e nel medesimo tempo in un punto ai suoi margini, mimetizzati tra i rumori e la frenesia di una metropoli alla ricerca di un parcheggio, di una collocazione. Gli chiedo subito cosa intende per fotografia e se devo considerarlo artista. Sorride e fa sua una frase di Guido Guidi: “Farsi chiamare artisti serve a vendere le foto più care!”. Berardo Celati è un attento osservatore, un curioso che dietro l’apparenza placida nasconde una vulcanica, tumultuosa immaginazione grazie alla quale lo scatto è già chiaro nella sua mente. La sua è una fotografia pulita. La sua fotografia è scelta di un attimo, inquadratura che corrisponde a un’idea precisa, al suo racconto. E le idee sono progetti, quei progetti che documentano l’evolversi e l’involversi di un territorio. Mi sembra di capire che Berardo Celati ami realizzare reportage sul territorio e che i suoi scatti siano un importante fonte di riflessione sul processo di urbanizzazione che muta e ha mutato il paesaggio e invece sorprende scoprire che nell’ampiezza dei luoghi che percorre egli punti il mirino della fotocamera su spazi dell’emozione grazie alle quali le “foto al volo” similmente a Wim Wenders, sono spazi esplorativi che vanno sempre oltre il finito racchiuso nelle dimensioni grigie del blocco in cemento alto, lungo e largo. Si è avvicinato alla fotografia nei primi anni settanta narrando istintivamente l’opera dell’uomo e studiando, sperimentando, ricercando ha trovato uomini con i quali confrontarsi. Era assetato di punti di fuoco che allargassero i propri orizzonti che nel tempo sono divenuti esperienza, mostre e progetti narrativi. In lui la fotografia è esperienza dove nulla è lasciato all’improvvisazione; una passione, una conoscenza che è divenuta condivisione con altri attraverso corsi, conferenze presso associazioni culturali, enti, istituti d’arte, università della terza età e politecnico. La fotografia in Celati è comunicazione, incontro, partecipazione.  È azione sociale! Non è un caso se con l’associazione “SPAZIO IMMAGINE”, di cui fu socio dal 1988 al 2000 e presidente per un periodo, realizzò molti eventi. Il pianeta fotografico di Berardo Celati è fatto di esseri umani con i quali ci si incontra, discute, si cresce. Sono luoghi del confronto. Sono archivi di Memoria di un uomo curioso che è cresciuto facendo intelligentemente domande a fotografi a intellettuali protagonisti di workshop e seminari, come: Mario Cresci, Carlo Garzia, Roberta Valtorta, Axel Hutte, Guido Guidi, Roberto Salbitani, Mimmo Jodice, Claude Nori, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Cuchi White, Guy Le Querrec, Ernesto Bazan, Martin Parr, Paola Bergna.  Molte sono le pubblicazioni di cataloghi da lui curate come: “BAUHAUS, Dessau 1926/32”; “L’esecuzione e la verità”, nel centenario della morte del pittore Francesco Netti; “La Costa Obliqua”, tanto per citarne alcuni e le pubblicazioni su supplementi illustrati come quelli della “Gazzetta del Mezzogiorno”; la rivista “Oltre, oppure “Basilicata” senza dimenticare la monografia dal titolo: “Federico, mito e memorie”. Un fotografo dall’attività intensa e meditata, attento nel ritrarre l’essere umano che porta la sua storia sulle rughe d’espressione e cerca nei quartieri e palcoscenici la propria collocazione e identità nel paesaggio sociale che si compone e scompone.

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