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Daniele Giancane e cinquant’anni di poesia militante: “l’eccesso di letteratura porta alla morte della letteratura “

di Maria Pia Latorre

Daniele Giancane

Sin dagli anni Settanta Daniele Giancane si è occupato di poesia e lo ha fatto sempre con la grinta di chi crede che nei versi si possa trovare la forza necessaria a compiere delle rivoluzioni. E proprio da quegli anni di proteste e contestazioni giovanili sono nati atti e gesti eclatanti e di rottura verso la società capitalistica e perbenista di quegli anni. Oggi, a distanza di cinquant’anni molto è cambiato a livello sociale e culturale, ma non certamente la verve del noto docente barese. A lui si deve la stampa, con la casa editrice La Matrice, nel dicembre 2022, di una delle sue ultime plaquette letterarie, dal titolo “Pace e guerra”, con il voluto capovolgimento del titolo tolstojano.  E di capovolgimento si tratta, sin nella configurazione del gruppo (la Confraternita letteraria), che negli intenti, quello di far uscire la poesia dai luoghi canonici in cui essa risiede per portarla ovunque,  come un buon vento rinnovatore. Come lo stesso Giancane dichiara nell’introduzione, o meglio, nel manifesto d’apertura,  si tratta di un’azione politica, ed esordisce con la magnifica constatazione: “tutti i 《mondi》rischiano di diventare noiosi, cammin facendo. Anche il mondo della poesia: pubblicazione di un libro, attesa di qualche buona recensione,  alcune presentazioni pubbliche, comunicazione sui social “, poi stop, tutto finito.

Sì, proprio vero, la poesia è caduta nella trappola della banalità e della routine e suona spesso come un disco rotto che altalena tra testi autopunitivi di macerazione nel dolore a testi incomprensibili ai più (e qui parliamo non di alta poesia). Atteggiamenti che risultano respingenti, tanto da interrompere qualsiasi possibilità di interazione e di drastica chiusura sugellata dalla stereotipata esclamazione “a me la poesia non piace, non la capisco”, mandando a gambe all’aria millenni di ricerca sulla parola. 

Giancane apostrofa la poesia come “parente povera della letteratura “, eppure osserva: “il potere della poesia è enorme “.

Ora tomi e tomi sono stati scritti sul rapporto tra poesia e società, in chiave antropologica, psicoanalitica, sociologica, ma nessuno mai ha trovato il bandolo della matassa. 

La poesia resta un mistero,  attrae e respinge a suo piacimento, è una passione,  senza dubbio,  ma ognuno la coltiva come crede, come le verzure di un orto.

Giancane pone come base di questa nuova esperienza letteraria una constatazione di fondo: “la poesia ha continuato a volare troppo alto per il popolo. E quando si rompe il cordone ombelicale tra poesia e popolo, vuol dire che la poesia si condanna all’isolamento”.

Che la poesia si stia spostando altrove?; forse il mondo cantautorale ne sa qualcosa.

Sull’altro versante si schierano le nuove correnti letterarie (di tutto rispetto) colte e attente ad analizzare la realtà e i fenomeni sociali,  a interpretarli, a passarli alla lente della scrittura letteraria; e qui il panorama è ricco e vario (vedi realismo terminale di Oldani e Poetry Kitchen di Linguaglossa).

Ma, come fa notare saggiamente Daniele Giancane,  “l’eccesso di letteratura porta alla morte della letteratura ” e allora siamo ad un bivio o meglio al poeta oggi viene chiesto di camminare su un bivio, e poi di affondare nel marasma e di resuscitare. 

Sarà interessante osservare quali nuove strade prenderà la poesia del Terzo Millennio. Certo è che Daniele Giancane ha dettato legge sino ad oggi in fatto di gusto e originalità.

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