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Otto marzo: storia di Nora: “Se non accade la tragedia nessuno ti prende in considerazione”

di Cinzia Santoro

Nora è una donna che dopo aver denunciato le violenze subite dal suo compagno, dall’isolamento, al controllo maniacale sulla sua vita, al tentato omicidio, viene colpita da diciotto coltellate di cui una recide la trachea. Nel massacro perde la vita suo figlio.


Nora è  una donna empatica, cresciuta in una famiglia unita dove l’amore e il rispetto sono il perno su cui costruire l’esistenza.  Lavora per mantenere la sua indipendenza economica e crescere i suoi tre amati figli. Resta accanto al suo padre, lo accudisce con l’altra sua sorella, quando lui si ammala.  Una famiglia perbene. Poi incontra un uomo, lei dirà “era perfetto ” ma un giorno Nora si rende conto di essere caduta in trappola. Oggi lei ci lascia una testimonianza, parole forti su cui riflettere e porsi delle domande.
Siamo ancora un paese fortemente patriarcale? La donna che ruolo ha nell’ autodeterminazione? Le istituzioni sono pronte a credere al racconto delle donne che coraggiosamente denunciano? Le altre donne sono sempre solidali con le vittime di violenza? O forse il pensiero del dolore di queste donne viene scacciato perché troppo forte?

Nora come stai?
Mi sono ripresa velocemente, nonostante sia stata in coma.  La voglia di tornare a casa dai miei figli mi ha sostenuto. Oggi rimangono i segni esterni visibili e i danni  agli organi interni da diciotto coltellate. Ma paragonato a quello che ha subito mio figlio mi è andata bene. Diciamo, io avrei preferito essere con lui. Ma ho altri 2 figli,  il piu piccolo vive con me e il grande maggiorenne, che  vive già fuori da tempo. Mi dicono sei forte. Ma io rispondo che non ho alternative.  Vado avanti con un dolore immenso e lo faccio per non vanificare il sacrificio di mio figlio. La mia vita è cambiata, tutto è cambiato.Oggi vivo in una regione lontana da casa.  Non ho altra scelta ovvero c’è una scelta ma è molto brutta. Devo andare avanti per i miei figli. Loro hanno bisogno della mamma. Io l’ho persa che avevo trent’anni e mi manca. Certamente la vita è cambiata, io sono cambiata, tutto è cambiato. 
Indosso una una maschera ogni giorno e vado avanti. Lo farò finché potrò.

Cosa vorresti dire alle altre donne che oggi vivono nella violenza?
Sono rimasta stupita quando ho capito che tutte abbiamo lo stesso percorso. Entriamo nello stesso meccanismo mentale, prima non capiamo cosa sta accadendo, poi inizia la consapevolezza e inizia la vergogna. Sta succedendo a me e ti senti fallita e ti prendi le colpe. Succede a tutte. Io ho scelto di denunciare perché ho scelto la via della legalità.  Non sono stata sufficientemente ascoltata, considerata.
Oggi mi chiedo cosa posso dire a un’ altra donna, fa il mio stesso percorso? Se non accade la tragedia nessuno ti prende in considerazione. È terribile. Io direi non tralasciare nulla. Ma dire a un’ altra donna di fare il mio stesso percorso mi fa  paura. Che potrebbe rispondermi? Per fare la fine che tu hai fatto?

Cosa pensi della rivittimizzazione secondaria?
Bisogna fare i conti con le offese, le critiche… pesano tanto e quando diventano pubbliche e toccano i miei figli, ne senti veramente il peso sopratutto se arrivano da altre donne. Mi chiedo se è possibile che qualsiasi cosa abbia sbagliato mi merito di soffrire così. Ma un uomo è legittimato ha compiere tutto questo male? Allora ti chiedi ma davvero ho sbagliato così tanto da dover subire tutto questo?
Ho fatto scelte e ne ho parlato con i miei figli, sempre.  Ho condiviso con loro. Mi sono assunta sempre la responsabilità delle mie azioni.  Ma in quel frangente la paura era tanta e io non credo di essere stata razionale. Certo ho denunciato quasi subito perché credo nella legalità. In questa situazione ero diversa, ho provato vergogna e paura. Sono cresciuta nella legalità ma le mie richieste e quelle di mio figlio sono state sottovalutate. Quell’uomo aveva il divieto d’avvicinamento ma non è servito a nulla. Non aveva il braccialetto elettronico. Era libero di terrorizzarci. La mia denuncia per tentato omicidio era rimasta in un cassetto. Era l’antivigilia di Natale. Mi sentivo abbandonata. Quindi ho provato a farlo ragionare, a tenerlo buono. Poi arriva per tutte lo stesso discorso, il vedersi l’ultima volta che diventa l’ultima per sempre. Sbagliando.

Cosa accade quella mattina di maggio?
Non ricordo quella mattina o i mesi precedenti.  Credo di aver accettato di vederlo perché ero consapevole che nessuno mi avrebbe aiutato. Ho detto se deve fare qualcosa la farà solo a me. Avevo paura, ero sola, impantanata in una situazione drammatica. È un percorso difficilissimo. Hai sensi di colpa, e domande e devi coinvolgere la tua famiglia. Per me è stato difficile.
Lui era straniero, molti mi hanno detto che era di un’altra cultura ma poi io penso che la violenza tocca tutte a prescindere dal paese di provenienza. Sai la paura di ciò che può accadere ti porta a fare e accettare situazioni che mai avresti fatto in altri momenti.  E poi ti rendi conto che le tue paure si realizzano. Guarda cosa è accaduto a me. Era un manipolatore, per un anno era tutto perfetto. Con il senno di poi mi sono chiesta come è possibile che un uomo possa essere così perfetto.  Un giorno ha  mostrato il suo vero volto, era un altro.

Oggi come vivi?
Ho dovuto lasciare tutto. Dopo mio figlio ho perso papà. Ho i miei figli accanto, ma mi manca mia sorella che è rimasta a casa.
Sto cercando lavoro, ma a parte le parole non  vedo via di uscita.  Perché non si aiuta una donna a ripartire? Aiutateci a ripartire. Questo io chiedo per me e le altre donne vittime di violenza. Io aspetto che finisca il processo per poter portare la mia testimonianza. Devo lottare e avere una missione. Io sopravvissuta a diciotto coltellate, con il dolore che acuisce ogni giorno di più senza mio figlio devo testimoniare ciò che mi è accaduto perché non accada più. 

Oggi l’assassino è stato condannato in primo grado all’ergastolo. 

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