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Chelandia una nave di versi tra le suggestioni di mare e terra di Bari

di Piero Fabris

  Mentre si discute se Michele Aprile è un verseggiatore o poeta, i suoi componimenti continuano a essere una crociera di emozioni. Lo si potrebbe definire un aedo delle tradizioni baresi.

E’ una presenza vivace e intensa nelle piazze culturali della città. Vincitore di numerosi premi non solo per l’opera narrativa dal titolo: “Voglio le lenticchie il mercoledì” per la quale ha ricevuto il “Fiorino d’inverno” (Roma, 2018), l’Aprile con le sue opere riesce a trasmetterci passione e rispetto per la città che gli ha dato i natali.  Con “Chelandia, la terra di Chèle” (Centro Studi Baresi. Pagine n° 141 € 10,00), ultima sua pubblicazione ci immerge in una baraonda di soffi musicali che, con ritmi e termini dialettali ricercati ci accompagna in un tempo fuori dal tempo senza scadere in melensa nostalgia.  Le sue pagine che evocano luoghi e atmosfere del capoluogo pugliese sono banchine dalle quali sporgersi per ritrovare il porto d’incroci delle culture affacciate al mediterraneo. Ogni sua lirica avvolge con freschezza, immediatezza e un entusiasmo che cela la fatica, lo studio, la ricerca per “liriche incisive in vernacolo”, fonte e crogiolo d’identità barese. Non è un caso la dedica ad Alfredo Giovine che fu storico e demologo, al quale tutti ci rivolgiamo, quale faro e dispensa di informazioni per una chiara e onesta visione di Bari.  Michele Aprile nello scrivere su Bari, per Bari e di Bari con eufonia non nasconde di preferire le regole grammaticali di quella scuola barese. Ma “Chelandia” non è un testo di sola poesia, quanto un assaggio delle doti immaginarie dell’autore, righe come solchi per la sua anima di cantastorie, germoglio di brevi favole, piccole commedie, una sciònde, tanto per usare un termine a lui caro, ovvero una aggiunta dove il dialetto barese con le sue belle note armoniose, regna sovrano e raffinato, compiendo il proprio periplo tra vele di dolci ricordi che, con la schiuma di mare tra gli scogli si intreccia, sfilaccia e ricompone proprio come tentacoli di polpo per la tavola della condivisione.

È lo stesso Michele aprile, con i versi dal titolo: “DIALETTO MIO” a dichiarare la suggestione, il valore di certe sonorità che trovano nelle stradine, vicoli e corti, il grembo dei giorni gloriosi e infami della città, essenza che si densifica, amplifica e dilata guardando al dialetto come lingua del cuore. Un libro che punta la bussola al futuro senza dimenticare le radici, non un mero tuffo nel passato, quanto l’espressione di valori baresi del quale essere orgogliosi, valori con i quali sintonizzarsi per ritrovarsi, riconoscersi come ricchezza viva per tutto il paese.

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