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Giovanni Amoroso il padre che lotta per i minori. Perché togliere i figli ai mafiosi

Giovanni Amoroso è un papà separato che ha lottato per anni per riavere con sè sua figlia, dopo che la bambina gli era stata sottratta dalla madre. Dalla sua personale esperienza ha poi tratto la forza per ampliare i termini della battaglia e rivolgerla a tutti coloro i quali vivono questa stessa situazione. Una battaglia, la sua, prima di tutto a tutela dei minori.
Dopo un calvario durato 5 anni, è riuscito a riavere con sè sua figlia e attualmente ha con la ex per quanto riguarda la bambina un affidamento condiviso. “Sono tanti i papà – dichiara – che ogni giorno, per anni, lottano in Aula e fuori dai tribunali contro le ex mogli e compagne – ma anche contro un sistema burocratico lento e contorto”.
Giovanni amoroso dice : bisogna urgentemente  intervenire sulla tutela dei minori che vivono in contesti di degrado criminale. Perché i bambini che crescono all’ interno di famiglie mafiose vengono educati ai valori criminali dell’ omertà, della paura e della vendetta. Siamo riusciti a renderci conto che, accanto alla figura paterna, che era del tutto identificabile con il soggetto che aveva un ruolo nell’ organizzazione di tipo mafioso, anche le madri applicavano in maniera distorta i diritti e i doveri che i genitori hanno nell’ educare i figli”. Le famiglia di ‘ndrangheta, COSA NOSTRA  funzionano come una fabbrica di mafiosi: i minori vengono formati a partecipare alle organizzazioni criminali che coincidono perfettamente con le famiglie di sangue.
Nei figli della ‘ndrangheta o cosa nostra  il senso del dovere che viene impresso consiste nell’ aderire alla logica mafiosa in tutte le regole dell’ onorata società. Il destino lo decide il cognome: o il carcere o la morte. “Questo ci ha spinti a ritenere che fosse necessario un intervento normativo che miri principalmente a tutelare il minore e a mostrargli che esiste una via alternativa – ha spiegato Giovanni Amoroso  – perché l’ elemento più forte su cui le mafie giocano è quello di far apparire, soprattutto agli occhi dei figli, quel sistema come assoluto”.
La proposta di legge si pone l’ obiettivo della sospensione o della decadenza della potestà genitoriale non solo a carico del mafioso latitante o sottoposto a custodia cautelare, la cui potestà genitoriale è già sospesa per effetto delle sentenze, ma a carico della madre che viola tutti i principi che il codice civile detta in relazione ai valori dell’ educazione.
Conclude Giovanni Amoroso
Dare ai ragazzi la possibilità di riscattarsi con la scelta di una vita alternativa è dovere di uno Stato che non voglia ipocritamente reprimere e perseguire delinquenti annunciati. Per questo bisogna attivarsi per impedire ai figli dei mafiosi di finire come i loro genitori, allontanandoli da contesti familiari nei quali non si registri una presa di distanza significativa della madre dalla linea di condotta paterna.
27 marzo 2021

2 thoughts on “Giovanni Amoroso il padre che lotta per i minori. Perché togliere i figli ai mafiosi

  1. L’articolo mette bene in evidenza come i figli di famiglie mafiose, se affidati alla madre, che si ispira ai medesimi criteri di educazione mafiosa, vanno allontanati dalla stessa. Quali sono i criteri di educazione mafiosa: sono gli stessi di qualunque gruppo sociale. Il notaio vuole che il figlio lo sostituisca, l’imprenditore vuole il figlio che lo rimpiazzi, il poliziotto vuole che diventi questore, o prefetto, il bidello che diventi preside, ecc. Insomma un avanzamento nella carriera del padre, il quale è ben felice di trasmettere il suo sapere al figlio, che ha una marcia in più in quel settore sociale. Se i genitori fossero i cosiddetti servi della gleba. ispirano i figli a istruirsi e ad andare altrove, con molta tristezza per l’abbandono. Il mafioso ispira la sua famiglia a perseguire i suoi “ideali, in sintesi “fierezza, audacia, sentirsi senza limiti, cognome, rispetto delle regole, ovviamente le loro “regole”. Quelle regole vanno rispettate secondo il loro metodo sanzionatorio, che può prevedere anche la soppressione fisica, in un contesto tribale, quello alle origini della umanità. quando la regola cardine era la punizione oggettiva: un membro di una tribù aveva ammazzato un membro di altra tribù, la punizione consisteva nel sopprimere uno qualunque dei membri della tribù di provenienza del colpevole. Non si ricercava il colpevole ma la tribù. La punizione del colpevole avviene in una fase storica successiva; quando si introduce il concetto giuridico della responsabilità personale, inputata a colui che avesse commesso il crimine. Si introducono i tribunali, il processo, ecc. Nelle famiglie mafiose, in un certo senso esistono i tribunali, formati dai capi clan, monocratici, o collegiali. Siccome non possono esistere due ordinamenti giuridici nello stesso territorio, va da sé che l’omertà sia essenziale per la sopravvivenza del sistema stesso. Così il gruppo si pone in contrasto con l’atro ordinamento, quello statale. Non si dimentichi che lo Stato, per alcuni filosofi, è la conseguenza del principio dell’homo homini lupus, Come si vede si tratta della stessa logica, in entrambi gruppi. Le motivazioni del gruppo mafioso sono mutate nel tempo: dalla difesa del debole dai soprusi del potere, all’arricchimento senza limiti dei settori economici di intervento, dal commercio di droga, di sigarette, di appalti, ecc. Le logiche di intervento sono le stesse: prima con la dolcezza, poi con il consiglio spassionato, poi, in crescendo, con la minaccia, il ricatto, ecc. All’interno del gruppo prevale il cognome, e la storia che sta alle spalle dello stesso, cioè del clan. Il rispetto di appartenenza a quella particolare tribù è la medesima del diritto primitivo, di cui si è accennato. Va considerato un elemento, che i giuristi definiscono scriminante, che definisce il tema: la punizione è frutto di una violazione delle regole, e per violare quelle regole devi godere della libertà di poterlo fare. Infatti, un soldato che ammazza l’avversario non viene punito, non ha la libertà di scegliere. Pensate ai nostri nonni, della prima guerra mondiale, o assaltavano con la baionetta, oppure venivano sparati dal carabiniere alle sue spalle. Così nei gruppi chiusi, che possono giungere a disporre di veri eserciti, come in Colombia, o in Messico. Si ammantano di valenze di libertà al popolo dal potere, ma praticano l’economia che i paesi occidentali si ostinano a considerare proibita, quale la diffusione delle droghe. Senza libertà non può esistere responsabilità. e la punizione che l’accompagna.
    Torniamo ai figli minori. Nella storia di Italia, nel 1700, e poi anche nell’altro secolo, i rampolli delle famiglie ricche, o nobili, dall’età di cinque anni venivano spostati nel Collegi, Si pensi alla Fondazione San Carlo di Modena. Bisognava dare una educazione da camerata, in modo da prepararsi ad una carriera militare. Anche i monasteri assumevano alla stessa funzione: formare dei soldati di Cristo. E la mafia, non deve seguire le medesime logiche educative? Da cui sin dall’infanzia il ragazzo va preparato a difendere il suo cognome, e se qualcuno della “famiglia” ha subito una violenza, va punito con la logica tribale, oggettiva. La punizione, cioè la sanzione, consolida le regole del gruppo di appartenenza,
    Nel 1910, i Futuristi, quei simpaticoni del gruppo di Marinetti, predicavano l’allontanamento dei ragazzi, dall’età di cinque anni, dalla famiglia di origine, in comunità collegiali in modo da formarli allo spirito cameratistico, perché solo quello poteva esser il modello formativo paradigmatico per consentire ai ragazzi di educarsi ai valori che il gruppo di potere, in quel momento storico ritenesse i più validi per un loro modello di società. E’ chiaro che i valori di un convento religioso saranno diversi da quelli di un collegio svizzero, dove si educa alla libertà economica. Al rischio di impresa, alla ricchezza uber alles.
    In conclusione, non affanniamoci a dividerci se il minore vada affidato alla madre, o al padre, in quanto gli strumenti per una educazione diversa dal gruppo di provenienza ci sono, sono stati sperimentai per secoli, e mi pare non abbiano costituto pericolo per lo sviluppo della società.

  2. Personalmente , leggendo l’articolo, ho avuto un sussulto ! Aldilà delle ragioni dei genitori si continua a ragionare senza prendere mai in considerazione ciò che pensa il figlio che minore in italia viene considerato meno di un animale domestico! Scusate il crudo riferimento ma purtroppo questa è la realtà dei fatti!Non si pensa a quello che è il valore affettivo che IL FIGLIO prova nei confronti dei genitori che nello scontro viene azzerato in un divide et impera depotenziante per il minore stesso ! Inoltre non ho mai condiviso la colpa d’autore nei confronti di alcuna comunità perchè da uomo di Legge GARANTISTA crede nella responsabilità personale e mai in quella della comunità a cui appartiene. Oggi si parla di famiglia mafiosa…come potrebbe essere anche quella dei rom o altra comunità che adotti regole diverse rispetto alla maggioranza. A questo punto allora dovremmo togliere i bambini a tutti coloro appartengano a queste comunità?
    Il diritto italiano nel quadro riguardante alla Famiglia ha voluto lasciare un buon margine di discrezionalità tra Stato e Famiglia stessa e questo sempre e solo per ribadire la Libertà di affetto rispetto allo Stato che non può e non deve presumere colpe dei genitori sui minori stessi.
    Mi auguro che al più presto si riconosca ai figli minori una maggiore capacità utile a non essere oggetto delle rivalità dei genitori in conflitto tra loro!
    Chiudo questo mio commento con un brocardo valido per tuttti URBIS ET ORBIS ed in particolare per i rapporti endofamigliari : “AMOR VINCI OMNIA”

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