Racconto di una storia travagliata: “Due anni e mezzo lontana dalla mia vita” Critica, consigli e filosofia Cronaca 28 Settembre 2019 DUE ANNI E MEZZO LONTANA DALLA MIA VITA di Vita Laporta Due anni e mezzo lontana dalla mia vita, tanto è passato dal mio licenziamento e dalla mia esclusione da socia, operati dal nuovo direttivo della cooperativa sociale Città Solidale, presieduto dal sig. Roberto Longo. Ora è tutto molto più chiaro, tutto ciò che non è stato detto o scritto è stato concretato dai i fatti. Mi soffermerò su simbolici dettagli, evidenzierò alcune analogie. Dal nuovo C.d.A. della cooperativa sociale Città Solidale, diretto dal sig. Roberto Longo, ho subito un ingiusto e gravissimo licenziamento con una “innovata” storia di soli 48 sparuti giorni di lavoro. Dopo 37 lunghi anni di lavoro vissuti di impegno 365 giorni all’anno, giorno e notte, ed eravamo partiti mettendo insieme solo 10.000 lire ciascuno e tanti sogni. Al tempo, il mio ricorso all’Autorità Giudiziaria, con la denuncia per stalking, non fu altro che un dolorosissimo atto nel tentativo di salvaguardare un bene comune, quello che in tanti avevamo costruito. Appariva tutto troppo assurdo, pensavo di prevenire, temevo per gli anziani, temevo per gli altri soci, la persecuzione verso la mia persona era, a dir poco, assurda. Il sig. Roberto Longo in cooperativa aveva svolto precedentemente altre funzioni nella veste di socio-lavoratore, era stato prima responsabile dell’ufficio del personale, poi addetto alle registrazioni contabili. Utilizzo due suoi assunti, presenti nella lettera di ringraziamento post elezione a presidente (destinati poi a diventare di uso frequente), per iniziare ad illustrare come è andata la storia: Il primo: “… quelli in cui viviamo sono tempi difficili, di grande crisi economica …” Il secondo: “Ci attendono sicuramente delle sfide: riuscire a rimettere in positivo la situazione economica …”. Durante il 2015, nella cooperativa sociale Città Solidale, avevamo avuto due difficoltà serie ma superabili o, se si preferisce, due problemi, in realtà risolti. Il primo riguardava un minor numero di posti letto occupati, nelle nostre due CRAP, rispetto ai posti per i quali le strutture erano autorizzate/accreditate (per un totale di 28 posti); allo stesso tempo, però, sopportavamo tutti i costi previsti dai requisiti per l’accreditamento istituzionale, l’organico era al completo. Non si era ancora perfezionata la pratica, del riconoscimento all’Accreditamento Istituzionale avanzata nel 2006, per la CRAP “Villa C.A. Dalla Chiesa”. L’allora C.d.A. aveva seguito la pratica per detto accreditamento fino al ricorso al Consiglio di Stato. Noi soci, in particolare, ci eravamo espressi, nell’assemblea ordinaria del 2013 quando deliberammo: “con tutte le riserve di legge, di chiedere alla Regione Puglia di accreditare immediatamente la CRAP “Villa del Sole” e la Comunità Alloggio “Casa Lilla”, dando il termine di 60 gg. per l’accreditamento istituzionale di “Villa Carlo Alberto Dalla Chiesa”. Delibammo anche di approvare la relazione all’o.d.g., come parte integrante del provvedimento, da inoltrare alle Autorità competenti in materia. Quando, nel 2015, si registrò una particolare depressione dei posti letto nelle CRAP le Autorità Competenti non avevano ancora emanato il riconoscimento all’Accreditamento Istituzionale della CRAP “Villa C.A. Dalla Chiesa”. E’ stato così che quando in settembre 2015 il precedente C.d.A. stava già valutando l’adozione di iniziative per scongiurare un disequilibrio finanziario arrivò, invece, propizia e meritata, in data 14 settembre 2015, la Sentenza del Consiglio di Stato n° 4271/2015 nella quale venne riconosciuto “il diritto della cooperativa sociale Città Solidale di Latiano all’accreditamento istituzionale della sua struttura CRAP denominata “Villa Carlo A. Dalla Chiesa” per il numero dei posti richiesti, sin dal momento della relativa istanza presentata agli uffici della Regione …”, i nostri sforzi erano stati riconosciuti, avevamo diritto a quell’accreditamento sin dall’8 febbraio 2006. Certo il C.d.A. nel frattempo aveva valutato anche la messa in vendita dell’ultimo immobile acquistato, quello con sede in Erchie, per lo stesso infatti incombevano le rate mensili del mutuo e, il dramma che era arrivato non ci consentiva di immaginare una pronta partenza del nuovo servizio che in esso era previsto (l’avvio della Comunità per minori agli esordi psicotici, sarebbe stata unica, in quel momento nella nostra provincia). Il C.d.A. in ogni modo, nell’interesse della cooperativa, non escludeva altre iniziative come, ad esempio, quelle deliberate nel 2015 in una riunione del C.d.A.: “ richiesta alla banca per l’eventuale sospensione delle rate di mutuo, in osservanza all’Accordo 2015 tra ABI (Associazione Bancaria Italiana) e l’Associazione italiana delle cooperative; proposta di chiedere a Cooperazione Finanza e Investimento (CFI) l’ingresso nel capitale sociale di Città Solidale, in qualità di socio sovventore, ai fini di aumentare le disponibilità finanziarie liquidi di circa 150.000 €; l’attivazione del servizio A.D.I. – Servizio Assistenza Domiciliare Integrata – art.88 Reg. Reg. n.4/2007 – Iscrizione al Registro delle Strutture e dei Servizi autorizzati all’esercizio delle attività socio-assistenziali destinate ai Disabili del 7 agosto 2015 – Atto Regionale n° 628; lo studio di un accordo con la cooperativa Marana-Thà per la riorganizzazione del servizio mensa centralizzata, contrattualizzato alla medesima cooperativa, allo scopo di ottenere un risparmio annuo di circa 50.000 €”. Con il diritto sancito dalla sentenza del Consiglio di Stato n° 4271/2015 tutto si semplificò. Bisognava innanzitutto portare le CRAP al completo come posti letto occupati. Poi, anche, al fine dello sviluppo naturale della cooperativa, eravamo impegnati a perseguire la realizzazione di diversi altri progetti e servizi. In attesa, quindi, che gli Enti preposti attuassero quanto disposto dal Consiglio di Stato, il C.d.A. commissionò una brochure per pubblicizzare anche in altre regioni d’Italia, il servizio della CRAP “Villa Carlo Alberto Dalla Chiesa”, ormai formalmente accreditato. Sarebbe bastato, infatti, che per esempio dalla metà delle regioni fosse pervenuta una sola richiesta di ricovero/presa in carico e i posti letto vuoti avrebbero avuto copertura. Chi non ricorda che, molti anni fa, ancor prima della visibilità del nostro servizio oltre il territorio, avevamo accolto presso le nostre strutture, per esempio, un paziente proveniente da Merano (Friuli), una paziente da Rocca di Papa (Lazio), una da Roma. Un’altra iniziativa subito assunta dal C.d.A. riguardò proprio una voce di costo. Il servizio di catering commissionato alla cooperativa b) che, per quanto avesse un prezzo vantaggioso in ragione della stretta collaborazione fra le cooperative, in capo ad un esercizio registrava un onere fisso importante. Per noi soci lavoratori non era proprio un’esperienza estemporanea, durante i soggiorni climatici montani, ogni anno, facevamo l’esperienza della gestione diretta della cucina attrezzata, nel locale dove alloggiavamo con l’intera comunità, circa 90 mangianti al giorno in autogestione, era sempre stata un’esperienza bellissima. Sicuramente, nell’organico delle strutture residenziali accreditate di Città Solidale c’erano qualifiche preposte anche, da contratto, alla preparazione dei pasti. Si pensò, quindi, che due unità di OSS potessero partecipare alla preparazione dei pasti; erano comunque in carico a Città Solidale e quindi nei costi propri di gestione delle strutture residenziali, mentre la cooperativa b) avrebbe potuto gestire, quel servizio, con due unità in meno ed operare una diminuzione del prezzo del pasto, il tutto nel contesto di un tempo in cui si progettava l’ampliamento dei servizi offerti dalla cooperativa b) che, si sarebbe così emancipata da una produzione, fino a quel momento, dipendente dal cliente unico Città Solidale. Dunque, il primo problema (un minor numero di assistiti), era affrontato sia con un intervento nell’immediato attraverso tagli nei costi, sia con il programma, a breve periodo, della copertura dei posti letto che sarebbe avvenuta gradualmente, man mano che ci fossero arrivate le istanze. Man mano ma con solerzia che, non ci fu, e dopo vi dico perché e per chi. Il secondo “problema” in realtà non era nemmeno tale, era rappresentato dal rinnovo in particolare di una linea di credito bancario di anticipo su fatture. La cooperativa, da molti anni, riusciva a pagare con puntualità gli stipendi a circa 70 persone grazie alle linee di credito bancario; anche se le ASL pagavano con i loro tempi, la banca anticipava l’80 % della fattura che gli si poneva a credito e, una volta che questa fosse stata onorata dalla rispettiva ASL, metteva a disposizione il restante 20 % al netto dei costi. La cooperativa poteva contare così su circa 800.000 € di anticipo su fatture. Potevamo sopportare che le AASSLL si arretrassero fino ad un volume di circa 800.000 €, senza che questo avesse potuto intaccare gli equilibri economici finanziari della cooperativa. Queste linee di credito sono state “ereditate” anche dall’attuale C.d.A. Il C.d.A., di Città Solidale, in piena estate nel 2015, deliberò: “di avanzare formale istanza a “omissis” per il rinnovo di una linea di credito per anticipo su fatture per € 650.000 che verrà garantita da Medio Credito”. Il presidente chiese, ai nostri uffici preposti alla gestione contabile, di predisporre la documentazione di rito con il proposito di consegnarla, al massimo, entro il successivo mese di novembre, cioè prima delle festività di dicembre e, soprattutto prima della decorrenza. Roberto con il suo lavoro stentava (non era mai riuscito a traguardare l’obiettivo, disposto dall’allora presidente, delle registrazioni contabili in tempo reale), non riusciva a fornire al C.d.A. quanto necessario, ad un certo punto si giustificò e come soluzione chiese che da gennaio 2016 le registrazioni in contabilità, per i documenti relativi al settore lavoro, fossero caricate dalla dott.ssa P.A. addetta al personale. Entro novembre 2015, non fummo pronti e a gravare vi fu la concomitanza di altri dolorosi eventi. Di li a breve veniva a decorrere la linea di credito pari a circa 500.000 € presso una delle due banche, il C.d.A. aveva deliberato mesi prima per rinnovarla e anche di portarla a 650.000 €, sarebbe stato propizio in quel momento. Bisognava procedere attraverso la ripresentazione dei documenti di rito, all’uopo occorreva chiedere contestualmente il rinnovo del rilascio di garanzia a Medio Credito. Il C.d.A., già nel 2013, prudenzialmente aveva anche valutato una “richiesta di garanzia a Cooperfidi”. Fu in questo frangente, in particolare, che ci arretrammo nel pagamento degli stipendi di due mensilità. Si trattava comunque di un “problema” transitorio. Durante la pratica di rinnovo della linea di credito qualcuno cavalcò il momento e, questi due problemi, sopra esposti, vennero usati come miccia per fomentare dissidi nella compagine sociale e creare dissenso verso il C.d.A. in carica. Forse alcuni pensarono che il Presidente fosse vulnerabile. Il tutto sfociò nell’ Assemblea ordinaria dei soci del gennaio 2016, nella quale la compagine sociale si presentò già con tre soci lavoratori dimissionari che, in quel momento, apparvero come la testa di una inopportuna caciara. Altri soci, ora amministratori, avevano fatto girare nelle comunità un documento, perché i soci lavoratori presso le stesse, lo firmassero (una tecnica che usci di moda in quel periodo, prima si discuteva nelle sedi democratiche), erano alla ricerca di “condivisioni” o di una maggioranza nel dissenso verso la governance. Ponevano all’attenzione del presidente n. 7 “proposte di rientro economico”, che una volta discusse in assemblea apparirono fumose e superate da atti concreti. Nella RSSA esprimemmo, per mezzo di una relazione, la nostra posizione di tutt’altra idea, anche questa letta in assemblea. Il C.d.A. dal canto suo, in seno ad una riunione, si riservò comunque di analizzare ulteriormente quei sette “punti”. In quella Assemblea dei soci, i membri del C.d.A. in carica, arrivarono preparati con argomentazioni sviluppate, distribuite tra loro, ognuno in una breve relazione, perché si illustrasse analiticamente lo stato della cooperativa. Bisognava rassicurare i soci attraverso l’informazione minuziosa dei fatti ed infine, il Presidente pensò di chiedere un innovato atto di fiducia dei soci al C.d.A. che, alla fine dei lavori, fu dato all’unanimità. Allo stesso tempo, per una puntuale liquidazione degli stipendi, il C.d.A. fece presente che tutti i componenti il C.d.A. erano garanti, a titolo personale, presso la banca e che, in conclusione, avevamo tre possibilità: aspettare i tempi del rinnovo della linea di credito e procedere con essa; contare sulla liquidità con i tempi del pagamento delle AA.SS.LL.; anticipare una garanzia personale, con un gruppetto di soci, al fine del riavvio immediato della linea di credito, per un periodo limitato, in attesa che si definisse la pratica presso Medio Credito. In assemblea si decise di aspettare il perfezionamento ordinario della pratica così come era stata fino alla sua decorrenza. Il Medio Credito Centrale S.p.A., in data 13 maggio 2016, dopo la nostra approvazione del bilancio 2015, in relazione alla richiesta avanzata per l’ammissione al Fondo di Garanzia, ci comunicò l’ammissione dell’istanza, la garanzia era rinnovata. Verso fine maggio 2016 il presidente convocò presso la RSSA i consiglieri, (che lavoravano in ufficio, perché alcuni gli erano già affianco) non si presentarono. Sottolineò il momento difficilissimo che stava attraversando la nostra cooperativa, avvertiva la mancanza di un punto di raccordo amministrativo, che portasse a sintesi i problemi dell’ufficio e ne seguisse l’evoluzione. Un esempio, scrisse, era proprio il ritardo relativo all’ufficio delle registrazioni contabili. Vi ho detto che tre soci in gennaio si erano dimessi? Nel frattempo erano diventati sei, per effetto di questo, avevamo subito sei ingiunzioni e rispettivi pignoramenti presso le ASL. Nonostante la lentezza dei nostri uffici, eravamo riusciti a chiudere l’istanza con Medio Credito, il 13 maggio avevamo quanto necessario perché la banca varasse il rinnovo, si riuscì ad onorare gli impegni prima dell’udienza, casualmente aggiornata di qualche giorno, al 9 giugno e, quindi, scongiurammo la liquidazione che altrimenti sarebbe avvenuta a mezzo di designazione delle somme da parte del Magistrato delle esecuzioni. La conseguenza sarebbe stata una più lunga paralisi della liquidità. Per curare tutto questo, ci muovemmo dal capezzale, noi vecchi soci, come per altre delicatissime situazioni. Con l’estinzione delle procedure di pignoramento, invece, si sbloccò l’inibizione delle AA.SS.LL. Sollecitammo ed ottenemmo, inoltre, una importante liquidità. Un altro elemento da tenere in considerazione, forse il vero problema o la più grande criticità che la cooperativa avesse mai potuto avere, fu che da settembre 2015 fino a fine luglio 2016, il Presidente ed alcuni di noi soci anziani non potemmo più frequentare l’ambiente dell’ufficio a causa del dramma che tutti conosciamo. Le brochure preparate, sia nel contenuto che nell’estetica, dal compianto presidente non furono spedite come disposto nel 2015 ma, depositate sul pavimento a prendere polvere. Quand’anche le avessero spedite solo dopo il rinnovo del C.d.A., con un ritardo di un anno, se l’avessero fatto, comunque, l’effetto è stato di avere, per tutto il 2016, circa numero 10 posti letto VUOTI nelle CRAP. Roberto quando operava da socio lavoratore addetto in ufficio non fece nulla per spedire o lamentare il mancato invio, da presidente, nel 2017, pubblicò: “Lo scompenso tra il fatturato e le uscite è anche la conseguenza del perdurare per lungo periodo dei posti vuoti all’interno delle CRAP, non solo a causa del tardivo accreditamento della CRAP “Villa Carlo Alberto Dalla Chiesa” ottenuto nel mese di novembre 2015. Ognuna delle due CRAP “Villa Carlo Alberto Dalla Chiesa” e “Villa del Sole” accreditate per 14 pazienti, ha avuto al suo interno, in media, solo 9 pazienti, a fronte di 15 operatori richiesti dall’accreditamento istituzionale. Vi sono stati mediamente ben 10 posti vuoti …. ” Ha lamentato che nel 2016, n° 10 posti letto nelle CRAP erano rimasti vuoti, acuto, fa riferimento ad entrambe le CRAP come un marcato discredito “non solo a causa del tardivo accreditamento”, non mi soffermo per precisare, lascio le banali deduzioni a chi legge. Nell’atto pubblico fa chiaro riferimento al precedente C.d.A., al precedente Presidente. Non tutti sanno, però, che la lamentela la fa verso se stesso perché prima di essere presidente era proprio un addetto all’amministrazione. Il non dare seguito a quanto anche collegialmente deciso, in quel momento, fu qualcosa in più di un insubordinazione. Il corrispondente mancato fatturato, di questa negligenza, che non indica, è stato di circa 500.000 €; certamente va considerata la probabilità che a nessuno interessasse il servizio ma, questo non lo sapremo mai, “I tempi difficili, di grande crisi economica” avevano avuto il suo concorso ma, andiamo avanti. Roberto si insediò come nuovo legale rappresentante a settembre 2016. Con il mio licenziamento avvenuto a dicembre 2016 quello che era accaduto in ufficio, durante la nostra permanenza in RSSA e subito dopo il lutto, rimase di conoscenza mia e di pochi. Bisogna tener conto che già ad ottobre mi minacciò di provvedimenti disciplinari per circostanze meramente pretestuose. Fu subito in assemblea il 5 settembre 2016, che Roberto smise di chiamarmi Vita, com’era stato fino al giorno prima e cominciò ad usare un sostantivo. L’indomani, il 6 settembre 2016, alle sei circa del mattino, su Facebook un componente del nuovo C.d.A. la dott.ssa M. E. utilizzando la metafora di un autore comunicò qualcosa come “si è una rivoluzione non ti resta che presentare le dimissioni”, da cosa se non da socia? sembrava si riferisse alla mia relazione, esposta ai soci in assemblea la sera prima (5.9.2016), strozzata perché non mi fu consentito di concludere la lettura. Il 6 settembre 2016 Roberto, nella nuova veste di presidente, diramò una circolare di ringraziamento, in essa oltre ad altri passaggi, molto significativi per il suo sotteso programma, chiari solo se letti oggi, scrisse: “… desidero ringraziarvi … per il ruolo per il quale mi avete votato … stima … fiducia … sono state da sempre una mia aspirazione”, poi “… pensando prioritariamente ai nostri soci “anziani”, che tante sfide hanno affrontato e tanti sacrifici hanno fatto anche per noi che siamo arrivati dopo. Con la vostra tenacia e la vostra modestia siete davvero fulgidi esempi degni di essere imitati. Questa cooperativa, Città Solidale, è piena di uomini e donne intelligenti, capaci e pieni di risorse, che, probabilmente avrebbero in ogni caso un’opportunità forse anche migliore altrove” Parlava “di chi ha invece scelto di restare” In seguito alla crisi scatenata nella tenuta della compagine sociale, dal gennaio di quell’anno (2016) al momento in cui fu eletto (5 settembre 2016), si erano dimessi ben 26 soci-lavoratori con preziosa esperienza. Quindi bisognava “scegliere”, secondo il suo punto di vista, non impegnarsi a rimanere coesi e compatti, anzi, i soci anziani in essere “avrebbero in ogni caso un’opportunità forse anche migliore altrove”. Oggi, “altrove” ci stanno circa 50 vecchi soci su 70 della compagine sociale, è stato “visionario”. In quella sua lettera di ringraziamento sono presenti tanti altri indizi molto utili per comprendere il suo “non proferito” programma. Mentre quello che riservava ai “fulgidi esempi degni di essere imitati” ora è chiaro. Come vi ho detto, nel novembre 2016, il mio ricorso all’Autorità Giudiziaria, con la denuncia per stalking, non fu altro che un dolorosissimo atto nel tentativo di salvaguardare un bene comune, appariva tutto troppo assurdo, pensavo di prevenire, temevo per gli anziani, temevo per gli altri soci. Nella RSSA avevamo appena affrontato un tempo difficile, molto impegnativo. Dall’indomani, proprio dall’indomani mattina, della sua nomina Roberto cominciò ad usare, per comunicare con me, telegrammi, raccomandate ed e-mail di un numero infinito, tutti con richieste urgenti di riscontri. Il 7 settembre 2016 arrivò il primo telegramma, apparivano istanze assurde, dovetti rispondere ma lo feci con una nota consegnata brevi-manu e controfirmata. Diffide, termini perentori e minacce, il tutto condito con la partecipazione diretta di alcuni amministratori nella gestione della RSSA anche senza che essi avessero mai avuto alcun ruolo gestionale, senza che essi da soci fossero mai venuti nemmeno a fare gli auguri di Natale. Ho dovuto cominciare anch’io a rispondere formalmente alle sue formalità. Mentre gli amministratori in RSSA avevano titolo di disporre a prescindere dalla figura del direttore sanitario o del mio coordinamento. Bisogna tener presente che lui fu nominato il 5 settembre ed io dal 7 al 23 settembre, presi ferie, non lo avevo mai fatto ma mi sembrò giusto. Dopo un periodo durissimo di un anno e mezzo, avevo poi lavorato per il mese di agosto, 12 ore al giorno, anche perché loro presero ferie. Al loro rientro, pensai, potevo riposare. A ottobre fui costretta a prendere due giorni di malattia. A novembre dal 7 al 19 ho dovuto riprendere malattia e poi ferie, non stavo bene ma mi perseguitavano, prendere ferie mi sembrò un mezzo per coprire il fatto che non mi sentivo bene, pensai che avrei potuto preoccuparmi un poco di me stessa ma la persecuzione, gli impegni continuarono sia durante la malattia sia durante le ferie. Le pressioni furono tali che già il 13 settembre gli consegnai le mie chiavi dell’ufficio e lui le accettò quand’anche c’erano documenti delle altre due cooperative, quand’anche c’era una storia di coesione particolare tra le diverse iniziative, tra i diversi progetti, purtroppo, il tempo ci ha chiarito cosa pensava quando si definì “visionario”. Tutti i progetti sono stati strozzati. Vi risparmio il lungo elenco, che conservo in ordine cronologico, di tutte le raccomandate, le mail che mi ha inviato dall’indomani della sua nomina, già l’11 ottobre ricevetti una contestazione disciplinare “non ha utilizzato il badge …” e simili, già sollevata l’ipotesi di “sanzione disciplinare”. Fui costretta ad essere impegnata ogni giorno o per riscontrare le raccomandate o le e-mail, tutte urgenti. Tutto questo su un periodo difficilissimo, nei precedenti dieci mesi avevo riposato nel mio alloggio si e no due notti, Roberto e i suoi consiglieri lo sapevano benissimo, loro avevano lavorato appena per gli orari di ufficio, lasciando sulle scrivanie lavoro, polvere e disordine. Tra la sua nomina ed il licenziamento n° 48 giorni di lavoro di cui 3 notti, svolte per sostituire OSS in malattia durante il periodo natalizio. Fu un periodo difficilissimo: in alcuni atti mi contestò che lavoravo molto, in altri che lavoravo poco; lo zio della vice presidente, il suo avvocato, mi umiliò accusandomi di esibire una malattia presunta, scoprii dopo che si trattava di una malattia rara, non ebbi modo di valorizzare subito i sintomi, con tutte le conseguenze del caso; durante la malattia anche tentativi di incursioni in casa da parte di alcuni di loro; avevo preso le ferie per non essere in difficoltà con loro perché non stavo bene, durante le ferie, di tutto di più … tutto urgente; l’incursione nella RSSA di L.G. e V.M. mentre ero in malattia, il loro frugare, erano amministratori avrebbero potuto chiedere! le “linee guida” di V.M. da lui affisse nella nostra bacheca, presentate come disposizioni in campo sanitario ma non firmate, non datate, non “linee guida” erano suoi assunti fuori dai Protocolli di Qualità ma, pretendevano però, di disciplinare il rapporto tra addetti sanitari e medici di base, quindi, anche tra bisogni ed approvvigionamento farmaci; le disposizioni di M.V. che però rifiutava di formalizzare … la promulgazione di un “Comitato di Supervisione al Coordinamento” fuori dalle nostre PROcedure di Qualità ISO 9001:2008 e fuori da una Revisione e/o Azione Correttiva dei protocolli stessi. Tutti gli altri coordinatori erano componenti del C.d.A., l’unica fuori ero io (oltre la moglie di uno di loro), quindi, la “supervisione” per chi? All’interno della RSSA avevano creato confusione rendendo incomprensibile ruoli e abitudini ventennali ma, si erano preparati così a ricevere quello che, poco dopo, con molta macabra fantasia, qualcuno scrisse di me. La comunicazione di licenziamento mi fu consegnata dall’addetta al personale dott.ssa P. A. Dopo una persecuzione fuori da ogni immaginario nessuno dei miei colleghi ebbe il coraggio o la dignità di venire a consegnarmi il licenziamento. Fino a un mese prima della loro nomina gli avevo pulito anche le sedie in ufficio. Ero in contatto da due mesi con la Caserma dei Carabinieri di Latiano, portai il provvedimento per aggiornare la denuncia ma non potetti dire agli assistiti che i loro nuovi dirigenti mi avevano licenziata, vi risparmio il resto; non informai neppure i loro parenti, li avrei inibiti verso i nuovi dirigenti, né lo fecero loro. Nei giorni successivi al licenziamento non uscii dal mio alloggio, sentivo la stanchezza, il dolore per la nostra cooperativa perché era chiaro che non stavano facendo quello che era necessario, c’era tantissimo da fare e sembrava badassero solo a perseguitare chi lo aveva assistito. In RSSA, si realizzò l’urlatoio, molti assistiti urlavano e si lamentavano; in ragione di nuove disposizioni furono costretti a passare da un posto letto all’altro, da un piano all’altro. In loro presenza la comunità fu spogliata di tanti loro oggetti, scartati e ammucchiati in depositi precari, poi “salvati”, chi ha voluto ha portato a casa ma per “salvarli” si è detto “non sono stati rubati” ed era vero perché a spogliare gli ambienti di tanto e a scartarne l’uso pare fosse stato proprio un consigliere, in realtà chiunque lo abbia fatto ha potuto farlo sotto la nuova direzione del sig. Roberto Longo. Per gli anziani non sarà stato certo uno spettacolo divertente, il diritto alla proprietà era stato, fino a quel momento, fondamentale nelle PROcedure dei Piani Assistenziali Individualizzati; era concretato dal personale di assistenza con abitudini di comportamento ultra-ventennali. La realizzazione di una residenza geriatrica con soli 24 posti letto ci aveva consentito di ricostruire intorno alle persone assistite un ambiente, oltre che attrezzato, anche molto prossimo ad un ambiente familiare. Quello che era in “casa”, compresi i suppellettili, venivano avvertiti di proprietà, è una questione di dignità, di riconoscimento di cittadinanza, c’era per esempio chi poteva contare su riviste, chi su peluche, chi sulla foto in cornice della madre, chi di un fiore vicino al suo Padre Pio, perché vegliasse sul figlio perso troppo presto. Era casa loro, noi ce ne curavamo. Sarà stata sicuramente una fatale casualità che Il “Comitato di Supervisione al Coordinamento”, le nuove disposizioni, il nuovo modello hanno anche registrato, un tasso di mortalità che la nostra RSSA non aveva mai avuto in 37 anni. Un tempo, anziani con poli-patologie molto complesse avevano avuto storie di assistenza ultradecennali. Perché si “liberasse” un posto letto, alcune volte, un solo nuovo ricovero, aveva dovuto aspettare due anni. La persecuzione nei miei confronti anche sui fiori che curavo da decenni per la comunità, lo sfratto dall’alloggio, gli effetti personali mai ritirati e Roberto che a proposito affermò che a lui risultava li avessi ritirati “… ci sono numerose persone che lo dicono …”, quando l’ho contestato perché si sarebbe trattato di false testimonianze, ribadì “… noi non abbiamo bisogno di ricorrere a questi mezzi …”. In ufficio colleghi furono ammoniti, se qualcuno mi avesse solo accompagnata per darmi un passaggio con l’automobile sarebbe stato licenziato e, non mi avevano ancora licenziata, era passato solo poco tempo dalla loro nomina. L’isolamento studiato da chi aveva il potere e completo, operato in ogni piega. La persecuzione non ha risparmiato nemmeno le cooperative b) delle quali sono il legale rappresentante. I servizi di lavanderia e la fornitura dei pasti erano convenzionate alle nostre cooperative di tipo b), era stato fino a quel giorno un sodalizio indissolubile. Roberto ha usato il suo modello anche per le coop b), rifiutò di liquidare acconti su un maggior saldo ed anche di convenire ad un bonario piano di rientro, poi nel verbale di C.d.A. riguardante la esclusione da socia afferma: “La Laporta, inoltre, nella sua qualità di presidente delle cooperative Marana-Thà e Maran-athà 2001, con le quali Città Solidale ha sempre collaborato, ha avviato di propria iniziativa, a quanto è dato di sapere senza l’avallo dei soci e presumibilmente nemmeno del proprio CdA, delle discutibili e vessatorie iniziative giudiziarie nei confronti di Città Solidale con la pretesa di importi iperbolici e tali da mettere in serie difficoltà la cooperativa, in tal modo ponendosi per altro in un oggettiva situazione di conflitto di interesse, vietato dal contratto sociale (anche tali iniziative della Laporta sono successive all’elezione del nuovo CdA); Le pretese sarebbero i servizi di sempre al prezzo di sempre, per il catering con importanti tagli sul prezzo del pasto e per il servizio di lavanderia stiamo parlando di 1€/Kg ma, ne parleremo dopo. Per emettere le fatture non avevamo mai chiesto permesso all’assemblea dei soci, per il contenzioso la dolorosa decisione (dopo il suo fermo diniego a pagare formalizzato, il 16.11.2016, per suo conto dall’avvocato incaricato), era passato dal C.d.A. Quando Roberto, nel maggio 2017, su richiesta di alcuni soci che da lui stesso avevano avuto l’input, fu invitato nell’assemblea di Marana-Thà per un civile confronto e per pervenire ad un bonario accordo, riscontrò con PEC: “… si ritiene da parte ci Città Solidale che organizzare un estemporaneo incontro secondo le modalità indicate nella vostra missiva sarebbe controproducente e causerebbe ulteriori contrasti e sterili discussioni, anche per l’assenza di una autorità imparziale che garantisca l’ordine e la disciplina dell’incontro medesimo … l’iniziativa di Marana-Thà, che ha condotto l’emissione del predetto Decreto Ingiuntivo, di cui è stata finanche chiesta la provvisoria esecuzione …. Marana-Thà acconsenta in primo luogo alla revoca …. e provveda all’emissione di note di credito in riferimento alle sopra menzionate fatture … i soci di Città Solidale che sono anche soci di Marana-Thà, potranno ricevere tutti i chiarimenti richiesti direttamente dal CdA della scrivente …” Per tornare alle motivazioni, per le quali sarebbe stato indotto ad escludermi da socia, va evidenziato che i documenti che avrebbe ricevuto da parte delle socie-lavoratrici presso la RSSA, dal quale si rileva un profilo orrendo, oltre che non il mio, sembra presentino la stessa identica sintassi. Sono scritti con metodi di scrittura differenti ma appare, identica sintassi. Occorrerebbe appurare quali siano stati le modalità che sottendono queste “lamentele”. Oggi apparirebbero, infatti, contestualizzate in una macchina del fango che poi si è rilevata più chiara, molto più vasta e adatta ad altri “fini” dei quali è stato intriso l’intero paese. Di certo Roberto mi convocò, con l’avvocato del Foro di Bari, per “il mancato utilizzo del badge” che in realtà non serviva per l’elaborazione delle retribuzioni, non fece altrettanto per le circostanze presenti in quelle note: non pensò di convocarmi per un confronto/chiarimento con le colleghe; non applicò nessuna tutela prevista dal nostro CCNL, prima di licenziare il CCNL delle Cooperative sociali prevede una serie di altre azioni in capo al datore di lavoro oltre un termine di preavviso quando si licenzia, estendibile a seconda dell’anzianità di servizio piuttosto che del ruolo, in vero le tutele sono previste anche nelle Carte Istituzionali di Città Solidale. Nel gennaio 2017 si rifiutò di fornirmi copia delle note richiamate nella delibera del C.d.A. per le quali era stata “motivata” la mia esclusione da socia. Il 4 febbraio 2017 ritirai copia delle buste paga (luglio 2016 – dicembre 2016) con due testimoni; questa volta, nella veste di legale rappresentante (tra un po’ capirete a cosa faccio riferimento con il “questa volta”) mi consegnava buste paga dove erano sparite, tra la mia penultima e l’ultima busta, paga circa 300 gg di ferie non godute; in novembre erano residui 311,57 gg, in dicembre me ne indennizzò 57 e azzerò, il tutto per effetto di una delibera del C.d.A. di febbraio 2017 che non mi fornirà mai in copia, deliberarono ora per allora, a febbraio 2017 per decurtare un costo a dicembre 2016 ma, forse, sarà tutto coerente con la norma. In sede di Ispettorato del lavoro, a proposito del mio credito ferie, rivolgendosi all’ispettrice disse qualcosa come: “… il presidente che stava prima … gli ha fatto fare il gruzzoletto …”. Dovetti rispondergli qualcosa come: “… già perché sapeva che un giorno saresti arrivato tu … a licenziarmi”. Lavorava da quasi dieci anni con noi e sapeva bene che non avevo mai preso ferie, che avevo sempre lavorato, non sapevamo che il mio rapporto di lavoro qualcuno lo avrebbe cessato. Il precedente C.d.A. aveva lasciato un archivio immacolato, si conservava tutto sin dal giorno della costituzione ma, da presidente non mi fornì copia delle mie buste paga per gli anni precedenti al 2008 (mi aveva licenziata con “effetto immediato”, non ebbi modo di stare un minuto in più negli ambienti che avevo definito dedicandogli tutta una vita, senza rischiare di essere insubordinata ed estranea), giusto quelle buste paga dove si rilevava mensilmente il nostro apporto alla cooperativa in c/finanziamento, viceversa, da socio addetto alle registrazioni contabili, fino al giorno prima che fosse nominato presidente, erano stati forniti fiumi di documenti e riepiloghi, dal 2004 in poi, proprio per il credito in c/finanziamento (anche su questa circostanza mi soffermerò dopo). Preciso che quand’anche, al tempo, fosse l’addetto alle registrazioni contabili tutti questi prospetti, furono presentati e firmati dalla dott.ssa P.A. che evidentemente trovava i documenti anche precedenti al 2008. Il 19 febbraio 2018, nel processo verbale dell’Ispettorato del Lavoro di Brindisi, a proposito del mio credito per conto finanziamento dichiarò “… il conto finanziamento che sarà versato secondo quanto risulta dai documenti della cooperativa …”. Forse Roberto sapeva che in contabilità c’era un errore, a mio danno di € 9.000, per cui il mio debito risultava pari ad € 6.225 e non 15.225. A tutt’oggi non mi ha rimborsato né i 15.000 né i 6.000. Ho subito lo sfratto dal mio alloggio presso la RSSA ma non mi ha riconosciuto l’indennità di reperibilità notturna garantita per decenni. Sembrando confermare così il suo bisogno di disconoscere i meriti di chi ci è stato prima, forse pensando di elevare il suo di “merito”. Nel contenzioso di lavoro, promosso presso il Tribunale di Brindisi, per il recupero di retribuzioni e TFR, a motivo del suo diniego a liquidarmi il mio TFR chiese di portarlo a compensazione con le spese sostenute dalla cooperativa Città Solidale per l’Arbitrato ma, la domanda per il ricorso all’Arbitrato risaliva al 7 febbraio 2017, la decisione del Collegio Arbitrale (professionisti di Latiano, non Magistrati) era dell’11.09.2017 mentre Roberto, nella veste di datore di lavoro, aveva portato il mio TFR a suo credito ancor prima del 7 febbraio 2016, lo ha fatto in dicembre 2016 (e non mi spiego il perché) e in gennaio 2017 come risulta dal mastrino INPS allegato sotto. Altra storia è il mio TFR maturato prima della Riforma Previdenziale ed accantonato come debito da Città Solidale, pari ad € 7.308,60. Nel mio CUD 2017, non ho mai capito perché, Roberto mi certificò il reddito in minima parte correttamente, indicandolo come provenienza dal “contratto di lavoro a tempo indeterminato”, mentre per circa € 23.000 come proveniente da “contratto di lavoro a tempo determinato”. Io ho avuto un solo contratto di lavoro, senza soluzione di continuità, a tempo indeterminato, fino al licenziamento. Anche dopo il licenziamento ho subito persecuzioni intenzionali come, ad esempio, quelle relative al mancato pagamento dei miei diritti, per riscuoterli sembra occorra pagare la parcella all’avvocato zio della vice presidente nel quale studio fa pratica forense il fratello della vice presidente, già promuovere un contenzioso a Città Solidale significa anche commissionare un lavoro allo zio (con tutto il rispetto per la sua professione), viceversa decidere in Città Solidale di indire un contenzioso significa dare lavoro allo zio. Con il mio licenziamento ha determinato una campagna diffamatoria nei miei confronti che non ha pari ma, anche di questo parleremo ancora più avanti. Non avrà compreso che non ho lavorato per definire un’immagine di me, quello che più mi importa è salvare quello per il quale ho speso tutta una vita. Abbiamo lavorato notte e giorno per un ideale ed un ideale è per tutta la vita. Quando questo si verifica nessuno può pensare di tagliare il “cordone ombelicale”: alle mamme di Bibbiano come alle madri di “Plaza de Mayo”, nessuno ha potuto recidere il loro interessamento per i figli, la forza di combattere per la giustizia, l’obiettivo di riabbracciarli, la forza di aspettarli. Un ideale, la ragione di vita, ti sta nell’anima ed è per sempre. Oltre ad isolarmi sono stata posta in povertà assoluta, ho dovuto, per esempio, affrontare un intervento chirurgico fuori regione senza sapere se avrei potuto avere un’altra elemosina per il biglietto del treno di ritorno. A 56 anni, dopo tutta una vita spesa nel mio lavoro in cooperativa, impegnata a riconoscere e a far riconoscere la dignità altrui. Ha sfasciato la vecchia direzione amministrativa delle cooperative sociali di tipo b) consentendo di intimare vecchi soci a non avvicinarmi, disponendo di fatto il cambiamento di sede. Facile poi, aizzare ogni sorta di problema su chi è stato isolato. Alcune persone con dissimili ruoli sociali, coinvolti per la moltitudine di soci cessati con la sua direzione, mi hanno detto: “questo ora è il modello di Longo Roberto”. Il suo modello quindi. Prima, da socio lavoratore addetto al personale, fu necessaria una Commissione interna perché si facesse chiarezza su n° 8 “titoli oggetto dell’indagine”. Durante i lavori della Commissione, a proposito degli orologi marcatempo, venne fuori che, quello che per il C.d.A. era stato una obiettivo di ammodernamento conseguito, una scelta perché si ottenesse il risultato di un minor rischio di errori rispetto alla spunta sul cartaceo ed un recupero di tempo per chi doveva spuntare dai fogli firma, era stata in realtà una scelta peggiorativa. Roberto non aveva informato che, nonostante l’installazione degli orologi marcatempo, per disporre al consulente del lavoro l’elaborazione delle buste paga, non utilizzava la scheda individuale che si produceva per mezzo del loro programma informatico. Le presenze, marcate con il badge individuale, rimanevano sul pennino (dell’addetto al personale cioè a lui), al consulente del lavoro spediva un’altra scheda, né la vecchia in uso, né la nuova prodotta dal badge, quella che spediva era un’altra ancora, risultato di una sua spunta sulle presenze contenute nel pennino informatico. Roberto, in sede dei lavori della Commissione interna, come da minuta del 14.02.2013, redatta dalla dott.ssa M.V., giustificò: “ … il consulente dice che dobbiamo togliere di mezzo tutto cartaceo e badge”. Non era lui, era sempre qualcun altro, magari molto più onesto di lui. Fu interrotto, immediatamente l’uso del badge per tornare al foglio firma cartaceo. Non poteva essere altrimenti, Roberto, dopo attribuì la responsabilità alle “macchinette” in uso, al loro programma. A giugno di quell’anno propose, formalmente, al presidente “l’inserimento on line delle presenze con il software …” in uso presso il nostro consulente del lavoro. Roberto quando aveva peggiorato il metodo lo aveva fatto all’insaputa del presidente, una volta scoperto, per migliorare formalizzò. In realtà non era un problema di software ma di chi non ne completava l’uso. I nostri orologi per badge li avevamo acquistati da poco e, più in là, nel 2015, si tornò, in via sperimentale, al foglio firma e contemporaneamente all’uso del badge con le stesse macchinette. Quando, dopo il lutto, con la sua nomina pretendeva di sollevarmi un’azione disciplinare per il mancato uso del badge, sapeva bene che non veniva ancora usato per l’elaborazione delle retribuzioni e, che era sperimentale e sapeva anche che tutta la mia vita da decenni era lì. Era un “Tutto fa brodo” visto che non aveva “carne”. Ma torniamo alla commissione interna, l’allora presidente affidò ai lavori della stessa, come primo punto d’indagine: “ … ferie effettivamente godute dai soci lavoratori alla data del 30 novembre u.s. e ferie risultanti dalle buste paga dei medesimi in pari data”. Roberto, solo in sede di lavori della Commissione rivelò: “… noi potremmo trovare le ferie godute scaricate nel prospetto delle festività soppresse …” Anche qui, Roberto riferì che, il problema veniva dal consulente, lui era preciso nell’indicare le ferie, a verbale la dott.ssa M.V. annotò: “ … Roberto rileva le ferie dai documenti interni → al consulente vengono inviati mediante il cartellino mensile …” . Il Presidente aveva chiesto lo stato dell’arte delle ferie “effettivamente godute” ad una Commissione perché Roberto, addetto al personale, poneva alla firma del presidente le istanze per richieste ferie con valori spesso “ballerini”. In questi nostri modelli interni, utilizzati per avanzare domanda di ferie, era previsto lo spazio per indicare il “debito residuo” oltre al numero dei giorni di ferie all’uopo richiesti dal socio-lavoratore. Questi ultimi dati erano, in particolare, di competenza dell’addetto al personale, A QUEL TEMPO di Roberto. Nella veste di presidente, il 19 novembre 2016, come sapesse che di lì a poco mi avrebbe licenziata (la precedente istanza per ferie non me la riconsegnò mai firmata) appose il visto ma, come debito residuo il suo ufficio non indicò un valore, osservate anche quel numero “26”, poi capirete. Per tornare a quello che dicevamo prima, cosa venne fuori, a proposito delle ferie dalla verifica? Esattamente quello che annotò, in data 14.02.2013, il verbalizzante dott.ssa M.V. Roberto giustificò: “… noi potremmo trovare le ferie godute scaricate nel prospetto delle festività soppresse”. “Roberto rileva le ferie dai documenti interni → al consulente vengono inviati mediante il cartellino mensile”. Cosa era successo? I fatti nel periodo di sua gestione dell’ufficio del personale: – Il socio chiedeva ferie, la coordinatrice conosceva e autorizza le ferie con un visto; – il Presidente che riceveva l’istanza già autorizzata dalla coordinatrice e dall’addetto al personale, conosceva e apponeva il visto su una richiesta di assenza per ferie; – Roberto inviava al Consulente il rendiconto mensile, attraverso le schede individuali, annotando coerentemente il periodo di ferie. – sulle buste paga l’assenza per giorni di ferie veniva, invece, indennizzata come “ore di assenza per festività soppresse”. – Roberto che casualmente, nel “cartellino mensile individuale”, indicava oltre ai giorni di ferie anche l’equivalente “quota oraria”, quando ritirava le buste paga, non si accorgeva e non comunicava che quanto goduto per giorni di ferie veniva invece indennizzato come “quota oraria” di festività soppresse; – l’addetta alla emissione dei bonifici, sul netto a pagare della busta paga non trovava somme maggiori a quelle spettanti, o paghi 15 gg per ferie o paghi 15 gg per festività soppresse il valore non cambia. Era nel corpo della busta paga che era stato elevato e pagato un debito “nuovo” e non coerente con i fatti di conoscenza del presidente. Quindi, il “debito” ferie non andava in diminuzione anzi, alcuni soci-lavoratori che avevano un saldo negativo per aver usufruito in anticipo di giornate di ferie si ritrovavano con un nuovo credito ferie Il presidente in più di una circolare però aveva disposto: “… le festività soppresse vanno godute prima delle ferie, poiché scadono improrogabilmente entro l’anno solare di riferimento … ”. Una di queste circolari, ricevuta e controfirmata al tempo anche da lui, lo stesso Roberto l’ha consegnata all’Ispettorato del Lavoro di Brindisi, quando una volta presidente, si rifiutò di indennizzarmi il mio vero credito per ferie non godute. Quando, al tempo della Commissione, il Consulente del lavoro fu sentito, per questa incongruenza scoperta durante i lavori della Commissione stessa, venimmo a conoscenza di come stavano veramente le cose: Roberto, attraverso una e-mail del 26 giugno 2012, aveva dato quelle disposizioni. Erano state elevate a debito “festività soppresse” relative ad un periodo pregresso pari a sei anni anche se la normativa era chiara e le indicazioni del presidente altrettanto, La cooperativa, ad insaputa del presidente, stava pagando un diritto in ritardo? No! Tutti sappiamo che un lavoratore matura 26 giorni di ferie all’anno e 4 giorni all’anno per festività soppresse. Ricordate quel “26” di prima, quello che vi ho detto di ricordare? Tutti lo sanno, anche Roberto e la dott.ssa P.A., almeno, confermano di sapere, quando firmano la mia richiesta di ferie. Quando si occupava dell’ufficio del personale, invece, con i suoi prospetti riepilogativi elevava n° 30 giorni all’anno le ferie e n° 4 giorni di festività soppresse. E’ nei 4 giorni in più di ferie, 30 piuttosto che 26, che scomparivano le festività soppresse effettivamente godute. Era un suo calcolo e così disponeva, di sua iniziativa. Nessun socio si è arricchito con 4 giorni in più ma Roberto quando era socio era “più buono” del presidente legale rappresentante. La cooperativa, con una media di 70 lavoratori l’anno, per 4 giorni, per sei anni, si ritrovò un costo da sopportare per “errore” pari a n° 1.397 giorni di lavoro, l’equivalente di quasi 4 anni di stipendio per una persona, circa 70.000 €. Questo svelava l’arcano del saldo ferie “pozzo di san Patrizio”, per il quale il compianto presidente con lui si era ritrovato a discutere più volte. Attraverso i lavori fatti dalla Commissione, sarebbe stato semplice, documentare ai singoli soci la realtà e rientrare nell’ambito di quanto il diritto prevede. Nessuno immagini che la compagine sociale di Città Solidale fosse mal sana, certo non posso escludere che qualcuno non fosse consapevole di queste azioni poste in essere da Roberto ma, la compagine sociale di Città Solidale funzionava benissimo e soprattutto tutti sapevano che c’era Tommaso, cioè onesta e garanzia. La Commissione istituita da lui, proprio per l’interesse dei soci-lavoratori, aveva prodotto documenti e, quelle cartelle individuali prodotte avrebbero piano piano rettificato le incongruenze. Ci garantiva il Presidente, sapevamo che avrebbe risolto con giustezza e lavoravamo sereni. L’enorme mole di documenti, prodotti dalla Commissione sotto forma di fascicoli personali, compilati separatamente per nominativo e per anni di esercizio oltre che altri documenti inerenti l’indagine furono conservati in un vano in prossimità dell’archivio storico, pronti per l’ultimo atto prima dell’archiviazione: l’azione cioè di riparazione delle incongruenze. Dal 1 agosto 2013, nella gestione dell’Ufficio del Personale subentrò la dott.ssa P.A. mentre a lui fu affidato l’incarico della registrazione dei documenti contabili. Doveva solo registrare, non doveva interpretare, non avrebbe potuto fare confusione. Questo si pensò con riserva di valutare eventuali danni irreparabili alla cooperativa. Il compianto Presidente, il 1° settembre 2013, casualmente in concomitanza con la revoca del suo incarico, si ritrovò a dover emanare una circolare per dirimere quello che definì “… un vero e proprio vespaio …” insorto in qualche comunità; nella circolare chiarì questioni inerenti le festività infrasettimanali e simili, tutti istituti di certo non nuovi ma, che qualcuno aveva messo sotto-sopra, chiarì anche attraverso il testuale richiamo al nostro CCNL ed esortò a fare più spazio a “buona volontà, responsabilità, compattezza, innovazione, processi efficaci, esiti scientifici, i quali soltanto possono rafforzare la scialuppa che naviga in mari tempestosi”. Dopo la sua nomina a Presidente, venni a conoscenza che Roberto fece spostare tutta la documentazione prodotta dalla Commissione interna, utilizzando grandi sacchi neri di plastica, non sappiamo se ciò fu per ragioni di praticità o, per nascondere il trasloco dei documenti alle telecamere fisse dei carabinieri che erano situate in prossimità dell’uscio, io avevo già denunciato per stalking. Adesso, che più o meno 50 vecchi soci-lavoratori hanno cessato il rapporto di lavoro, quelle incongruenze possono essersi commutate in un danno vero e proprio per Città Solidale. Quand’anche ovviamente non so che fine abbia fatto tutta quella documentazione, le circostanze, purtroppo, sono confermate da atti più recenti. Mentre noi eravamo assenti dall’ufficio, per le note dolorose ragioni, Roberto addetto alle registrazioni contabili e la nuova addetta al personale, la stessa che aveva meritato la sua fiducia per le scritture contabili relative al settore lavoro, hanno continuato a disporre perché Città Solidale indennizzasse n° 30 gg di ferie all’anno, almeno nel caso della e-mail del 21 aprile 2016. Certo dalla mail inviata si osserva che anche la dott.ssa P.A., per gli anni di sua gestione dell’ufficio del personale avrebbe usato lo stesso “principio dei 30gg/l’anno”, se così fosse il danno si sarebbe protratto nel tempo e, quindi potrebbe essere maggiore ai 1.397 gg. di retribuzione non dovuti. Ovviamente, tutto questo, alle spalle del legale rappresentante pro-tempore Questo il modello di Roberto che ha esteso con i nuovi incarichi. Si candidò e nella nuova veste di presidente ha continuato a costruire “verità” a misura, nel fascicolo presso il Tribunale Civile di Brindisi RG 38/2017, rende a verbale: “D.R.: “non è vero che al 31.08.2015 il debito di Città Solidale nei confronti di Marana-Thà fosse pari ad € 143.017,36 cifra palesemente spropositata” …. “D.R.: “dai conti emergenti dalla contabilità non risulta la predetta cifra …”. Non dice il vero, lo documenta lo stesso mastrino di Città Solidale che alla data del 31.08.2015 riporta un saldo pari ad € 143.017,36. Peccato che lui stesso, a quella data in Città Solidale era socio-lavoratore preposto alle registrazioni contabili e, quando rende questa dichiarazione, è il legale rappresentante. “D.R.: “non è vero che in cambio della cortesia resa dell’immobile in uso e per senso di storica collaborazione Marana-Thà pagasse le utenze telefoniche. Preciso che Città Solidale aveva una utenza telefonica di cui sosteneva i costi, compresa una linea di fax, mentre Marana-Thà sempre nella sede di via Lamarina, aveva una propria linea telefonica (0831.721291) di cui a sua volta sosteneva i costi. Marana-Thà …” Peccato che lavorava da anni in Città Solidale, proprio nella sede amministrativa dov’era situata la linea telefonica in questione e che una volta divenuto presidente, con una delle sue prime raccomandate che ricevetti (ma anche con le molte altre), nella quale mi sollevò la contestazione che non ero tenuta a lavorare “h24”, utilizzò carta intestata di Città Solidale nella quale era riportata proprio l’utenza telefonica 0831.721291, tanto perché in uso abitualmente, in un clima di massima collaborazione, dalla stessa Città Solidale. “ non è vero che lo sconto applicato da Marana-Thà sia pari al costo dei lavoratori in distacco e delle materie prime, ma è inferiore, da calcoli personalmente eseguiti”. Questo da lui dichiarato al precedente punto 3), verrà affrontato e smentito analiticamente più avanti. Con nota dell’8.11.2018, nella relazione del CTP di Città Solidale, ha affermato “… Città Solidale … non è nata da una cessione gratuita di ramo d’ azienda (operata da Marana-Thà) come sostenuto dalla sig.ra Laporta …”. Nell’ufficio che lui oggi presiede ci sono i libri sociali, nel Libro delle Assemblee dei Soci di Città Solidale, nell’esercizio 2000, è registrato il verbale con o.d.g.: “proposta della cooperativa Marana-Thà di cessione gratuita delle strutture socio-sanitarie, ratifica”. Oltre al verbale di assemblea, in ufficio, ci sono i documenti annessi e richiamati nello stesso verbale, in particolare l’atto di donazione con annesso inventario di beni mobili. Dal canto suo la Marana-Thà, successivamente, in data 27 dicembre 2000 procedette, attraverso un’assemblea straordinaria dei soci, alla modifica statutaria per la trasformazione della cooperativa sociale Marana-Thà da cooperativa sociale di tipo A e B a cooperativa sociale di tipo B) ai sensi della Legge 381/1991. Sempre nella veste di presidente, in un altro atto, nel 2017, ha pubblicato: “ … TFR insufficiente, mancano 600.000 € … nei prossimi anni si dovrà diluire questa somma per sistemare questa anomalia … ” Era inimmaginabile che arrivasse, un giorno, a dichiarare: “… mancano 600.000 €…“ Impressionante l’analogia, anche qui non è lui che redige un atto ma, sarebbe il consulente che “comunica”, prosegue il suo stile, il suo modello, sembra non abbia avuto soluzione di continuità. Gravissimo dir male di un defunto, gravissimo denigrare il presidente che lo ha preceduto, che a differenza sua era un volontario, una persona che al territorio, ai più fragili del territorio, ha dedicato tutto il suo sapere, tutto il suo tempo, con gratuità. Insieme a lui ha umiliato la causa da lui perseguita, il riconoscimento della dignità di cittadini estesa a tutti, la cooperazione, il modo di vivere civile diverso, emancipato dagli interessi spiccioli e personalistici, una visione del mondo fatta di cura dei dettagli, di bellezza, di solidarietà, di solerzia, di incontro, di educazione alla tracciabilità delle azioni anche quando si lavorasse nel settore della riabilitazione psichiatrica. Che il nostro TFR fosse mensilmente, regolarmente versato presso la Tesoreria INPS, Roberto Longo, lo sapeva molto bene per essere stato l’addetto all’Ufficio del Personale prima e l’addetto alle registrazioni contabili poi. Alla data del 31 dicembre 2015, presso il Fondo Tesoreria INPS, risultavano versati e accantonati quanto indicato dallo stesso mastrino contabile di Città Solida Questo dato era anche cresciuto, ovviamente, rispetto al mastrino al 31.12.2015, stampato al tempo in cui ero membro del C.d.A., almeno al netto di quanto la Tesoreria INPS ha liquidato ai lavoratori cessati. Circa la confusione, fatta da Roberto nella pubblicazione del 2017, con la rilevazione del TFR a debito aziendale, presente nel bilancio, il mastrino pure chiarisce che al 31.12.2015 il TFR (maturato dai soci lavoratori, nel periodo antecedente la Riforma Previdenziale), è rilevato come “aziendale/azienda” cioè interno. Fu una casualità che Roberto proprio nell’esercizio precedente, fine 2015, quando con il suo lavoro stentava, chiese ed ottenne che da gennaio 2016 le registrazioni in contabilità, per i documenti relativi al settore lavoro, fossero caricate dalla dott.ssa P.A. addetta al personale. Oggi devo dire che ebbe una buona idea, “utile” poi, quando nel bilancio 2016, da presidente, ha screditato i componenti il vecchio C.d.A. compreso il Fondatore per “TFR insufficiente mancavano 600.000 €”. Le signore L.G. e M.V. che insieme a Roberto fanno parte di questo C.d.A., sempre nella veste di consiglieri nel precedente C.d.A., nella riunione del 2 aprile 2015, per l’o.d.g. al punto n° 7 “Richiesta anticipo TFR socia-lavoratrice Giovanna Calò”, avevano deliberato: “Il C.d.A., dopo il dibattito, sentito il parere di tutti, delibera di comunicare alla socia di inoltrare tale istanza all’Istituto competente”. Quindi sapevano bene, da tempo, che il nostro TFR era presso il Fondo Tesoreria INPS. Le stesse sapevano pure che il compianto Fondatore le aveva portate in Argentina, anticipando personalmente la spesa per il viaggio di loro due, tant’è che nel bilancio 2015 c’era ancora il debito per anticipo del presidente. Un viaggio fatto di incontri, di esperienze intense, di scoperte ad iniziare dall’hotel dove si pernottò in Buenos Aires, simbolo di un fenomeno particolare di quell’Argentina che si risollevava dalla grave crisi che colpì il Paese, a partire dal basso e, solo per fare un altro piccolo esempio, la scoperta dell’INADI ”Instituto Nacional Contra la Discriminacion, la xenofobia el Racismo”. Dispiace molto, non commento, non ho parole. Una calunnia grave questa del “mancano 600.000 €” che ha distrutto non solo noi ma tutto il lavoro fatto, in Latiano, in 37 anni da tante persone di buona volontà. Ora parliamo del modello Roberto Longo applicato nel rapporto con le cooperative b). Nel verbale di esclusione da socia ho già detto prima Roberto asserisce: “La Laporta, inoltre, nella sua qualità di presidente delle cooperative Marana-Thà e Maran-athà 2001, con le quali Città Solidale ha sempre collaborato, ha avviato di propria iniziativa, a quanto è dato di sapere senza l’avallo dei soci e presumibilmente nemmeno del proprio C.d.A., delle discutibili e vessatorie iniziative giudiziarie nei confronti di Città Solidale con la pretesa di importi iperbolici e tali da mettere in serie difficoltà la cooperativa, in tal modo ponendosi per altro in un oggettiva situazione di conflitto di interesse, vietato dal contratto sociale (anche tali iniziative della Laporta sono successive all’elezione del nuovo C.d.A.); Cominciamo col dire che la cooperativa Marana-Thà, per il servizio contrattualizzato di catering fornito alle strutture di Città Solidale, applicava i seguenti prezzi: € 5,50/cad. pasto completo – primo, secondo, contorno, pane, frutta e bibite; € 0,50/cad. colazioni fornite – latte, zucchero, biscotti, caffè ed altro; € 0,25/cad. merende fornite – succhi – bibite – fette biscottate – marmellate, ingredienti per crostate per la RSSA; € 0,15/cad. costo di trasporto – mezzi, automezzi e personale compreso; Diciamo anche che, Città Solidale, alla data del 31 agosto 2015, per il servizio offerto ai prezzi sopra riportati, registrava un debito su forniture pari ad € 143.017,36. Lo stesso Roberto, in Tribunale dichiarò: “D.R.: “… per mia conoscenza Marana-Thà riceveva periodicamente degli acconti senza una precisa regolarità”. Come vi ho detto prima, però, lui disse che non era vero del debito al 31.8.2015 pari ad € 143.017,36. In giugno 2015, il C.d.A. della cooperativa sociale Città Solidale, valutò di “porre allo studio di comune accordo con la cooperativa sociale Marana-Thà, la riorganizzazione del servizio mensa centralizzata, in appalto con la medesima cooperativa sociale, allo scopo di ottenere un risparmio annuo di circa € 50.000,00”. Dal 1 settembre 2015 al 31.12.2015 demmo seguito alla gestione sperimentale del catering secondo quanto fu riportato in un’altra riunione del C.d.A. della cooperativa sociale Città Solidale, con al 2° punto all’o.d.g. “internalizzazione del Servizio di ristorazione collettiva: decisioni in merito”. A verbale sul registro: “… Il Presidente comunica che, giusta deliberazione del C.d.A., a decorrere dal 1.09.2015 si è provveduto ad avviare il servizio sperimentale di catering in gestione mista tra la coop sociale “Città Solidale” e la coop. sociale “Marana-Thà”. L’organico della medesima è stato concordato in n° 4 unità, di cui due unità messe a disposizione della coop. sociale “Marana-Thà” ed individuate nelle persone del sig. omissis e del sig. omissis. Le ulteriori due unità messe a disposizione della coop. sociale “Città Solidale” nelle persone delle socie lavoratrici omissis e omissis. Altresì bisogna individuare n. 1 unità preposta alla cura degli acquisiti dei prodotti alimentari. Il Consiglio di amministrazione, dopo il dibattito, sentito il parere di tutti, all’unanimità delibera: di ratificare l’avvio sperimentale in gestione mista del servizio di catering; di perfezionare gli atti dal punto di vista giuridico ed amministrativo, privilegiando la via del Gruppo cooperativo ….” In questa direzione, il presidente, continuò a lavorare preparando una proposta di statuto per il Gruppo Paritetico con annesso avvio del Gruppo di Acquisto Solidale, GAS. Dal 1 settembre 2015 al 31.12.2015, sui prezzi sopra esposti, Marana-Thà applicò uno sconto e/o riduzione pari ad € 29.881 corrispondente allo sconto di € 1,50/cad. E’ facile intuire che il costo lordo di due unità OSS per 4 mesi era coperto. Città Solidale in 4 mesi aveva risparmiato € 29.881. Eravamo andati ben oltre l’accordo che prevedeva € 50.000/annui. Mentre Marana-Thà con il resto, equivalente a € 4,00/pasto, doveva sostenere i rimanenti costi per due unità di personale, materie prime, luce, gas, acqua, manutenzioni e oneri tutti di amm.ne; Dal 1 gennaio 2016 al 30 settembre 2016, Città Solidale assunse anche l’onere di acquistare le materie prime e Marana-Thà, ovviamente per questo periodo, non fatturò più colazioni e merende mentre sui pasti applicò uno sconto maggiore pari ad € 2.50/cad. sul costo di € 5,50 applicando, di fatto, il prezzo di € 2,00/cad per coprire i costi di due unità di personale, dei consumi gas, luce, acqua, delle manutenzioni e degli oneri vari di gestione. Nei nove mesi del 2016, da gennaio a settembre, Marana-Thà operò uno sconto e/o riduzione del prezzo pari ad € 110.214 che se si somma alla riduzione sul costo operata per il quadrimestre 2015 pari ad € 29.881 (quindi in 13 mesi) avremmo un totale di € 140.095 al netto del valore delle colazioni e merende pari ad € 14.748. Quindi un riduzione del fatturato pari ad € 154.843. Marana-Thà, quando istruì il contenzioso, non prese in considerazione la fattura emessa relativa alla fornitura dei pasti di settembre 2016 che, al netto dello sconto, è rimasta non impugnata e non pagata per € 15.574,10, come anche il consumo delle materie prime in deposito al 31.12.2015 per circa € 5.000, come anche un vecchio debito per altre partite pari ad € 34.528,40 che la cooperativa sociale Città Solidale aveva nei confronti della cooperativa sociale Marana-Thà. Le “tali iniziative della Laporta sono successive all’elezione del nuovo C.d.A. …” non erano altro che la riduzione del costo/pasto che è stata operata ancor più di quanto la stessa cooperativa Città Solidale ha documentato di aver sopportato per materie prime e personale, rispettivamente € 78.602,91 (comprese le colazioni) ed € 65.489,60 per il personale, per un totale di € 144.092,51. Queste “… le discutibili e vessatorie iniziative …”. Roberto, alla faccia della “collaborazione di sempre” attraverso una dichiarazione fallace, ha cercato di imputare gli acconti liquidati tardivamente da Città Solidale e, ricevuti in conto al vecchio debito, al periodo in cui essi venivano effettuati, poi semplicemente ha negato l’innegabile. Quello che a me aveva contestato, lui l’aveva fatto e messo anche negli atti del Tribunale ma a me mi aveva esclusa da socia. E’ nelle carte del contenzioso in Tribunale che esce la vera intenzione di Roberto, quella cioè di rinnegare la coesione che fino a quel momento c’era stata. Fino a rinnegare atti di 19 anni fa tanto quanto i fatti ordinari come l’uso dell’utenza telefonica 0831.721291. Certo poteva modificare le scelte di Città Solidale ma non rimuovere nel passato quelle che fino a quel giorno avevano fatto la storia. Nell’assemblea dei soci di Città Solidale del gennaio 2016, soci ora componenti del nuovo C.d.A., avevano auspicato “la preparazione dei pasti nelle singole strutture” (nelle famose sette proposte), quando la cooperativa Marana-Thà comunicò, a settembre 2016, che vi era l’esigenza di sospendere per un mese (dal 1.10.16 fino al 31.10.16) per poter effettuare i lavori di manutenzione, Roberto comunicò contestualmente ai soci che dal 1.10.2016 il servizio di catering era stato affidato ad altro fornitore “dal 1.10.2016” ma non indicò fino a quando. Era chiaro. La Marana-Thà ha chiesto sin dal primo momento e, fino all’inizio delle operazioni peritali del Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU), una bonaria conciliazione anche con un ulteriore sconto di € 20.000 ma, non accettò: Ribadisco che anche inizialmente non era stata chiesta la liquidazione del saldo ma, che si consentisse alla cooperativa di sopravvivere con acconti, come era stato fino a quel momento, con un piano di rientro. Era accaduto, invece, che sanato pian piano il debito al 31.8.2015 dal precedente C.d.A., lui non intendeva pagare 13 mesi di servizio di catering settembre 2015/settembre 2016 come se i costi di personale e altro del fornitore, cooperativa Marana-Thà, potessero essere coperti dalla manna. Ancora più banale il contenzioso per il servizio di lavanderia, nessuna nuova e vessatoria iniziativa, bisognava pagare il servizio di lavanderia (con capi e arredi in dotazione da noleggio) per €1/Kg che sono rimasti a disposizione delle comunità. Queste le vessazioni! Poste in essere da chi? Questo quello che accadde con Roberto a capo del C.d.A.: le cooperative b) erano sostenute dal volontariato degli amministratori, gli stessi che ha messo fuori dalla Città Solidale come soci-lavoratori; con il suo arrivo a presidente, in ufficio colleghi furono minacciati di licenziamento se solo mi avessero dato un passaggio; ricordo che le password degli indirizzi PEC delle cooperative b) mi furono recapitare di nascosto, (avevano paura?); una volta che si insediò a presidente le pressioni nei miei confronti, poste in essere anche da chi lo circondava, furono tante e tali che mi portano a consegnare le chiavi dell’ufficio, noi lo facemmo pensando che sarebbero stati più sereni, Roberto non le rifiutò anzi… nell’ opificio di catering dovevamo procedere con lavori di manutenzione e imbiancatura, purtroppo quell’estate non era stato possibile, occorreva liquidità. Roberto ed i suoi collaboratori si rifiutarono in tutte le sedi di riconoscere il debito. Era una situazione delicatissima, fummo costretti ad aderire le vie legali, gli impegni improrogabili della cooperativa Marana-Thà ce lo imponevano; Roberto invitato, da alcuni soci di entrambe le cooperative, per un civile confronto nell’assemblea di Marana-Thà, in una PEC sottolineò “i soci di Città Solidale che sono soci anche di Marana-Thà, potranno ricevere tutti i chiarimenti richiesti direttamente dal CdA della scrivente …” le cooperative b) sono state invitate a mettere fuori i loro archivi, era un sodalizio ultra-trentennale, anzi trattenne la chiave con i nostri documenti all’interno, il gesto la diceva lunga, aveva ricevuto un archivio di Città Solidale ricchissimo senza firmare alcun verbale per il passaggio delle consegne e questo gli consentiva ogni illazione; chi ha fomentato dissidi, dove e quando? Ora, allo stato dell’arte: il risparmio che Città Solidale doveva registrare, per il servizio di catering, per il periodo settembre 2015/settembre 2016, presente nelle fatture di Marana-Thà, di fatto, viste le due relazioni peritali del CTU, è logico si preveda che possa essere in gran parte prosciugato dalle spese legali, per competenze e costo delle procedure, compromessi i risparmi operati; per quanto riguarda la lavanderia, Roberto, ha preferito far assumere a Città Solidale l’onere della fideiussione a suo tempo rilasciata (l’ho appreso in Tribunale perché lo bisbigliava ad un’altra persona) e non pagare il servizio ad € 1/kg per parte pregressa alla sua amministrazione come pure il servizio reso dalla sua nomina in poi. Viceversa avrebbe sostenuto la continuità gestionale, dopo il lutto. Oggi Città Solidale anziché pagare il servizio ad altri fornitori potrebbe scomputare con il servizio quanto sta pagando, questo attraverso nuovi patti da definire e concordare. Cosa accadde durante la nostra assenza dall’ufficio protratta da settembre 2015 a luglio 2016? Devo necessariamente illustrare una piccola premessa. La cooperativa Città Solidale, verso i vecchi soci, aveva un debito per conto finanziamento. Molti anni prima, era accaduta una cosa molto buffa. Il legislatore, attraverso leggi e regolamenti regionali disponeva (DGR n. 244/1997 e RR n° 7/2002), per le strutture residenziali di riabilitazione psichiatrica, requisiti organizzativi di un costo superiore alle rette che lo stesso aveva fissato. Fu attraverso un lungo e tortuoso percorso che questa contraddizione fu risolta quando, alla fine, fu emanato dalla Regione Puglia il R.R. n. 11 dell’8.7.2008 nel quale vennero stabilite le nuove tariffe, quello che nel gergo al tempo tutti chiamavamo “l’adeguamento delle rette”. Nel frattempo, noi di Città Solidale, nonostante le rette più basse rispetto ai costi di gestione, in attesa che il maggiore credito ci fosse riconosciuto e liquidato, mantenemmo i requisiti organizzativi per numero e qualifiche di addetti. Noi soci, nelle sedi proprie dell’assemblea, deliberammo un apporto in c/finanziamento della nostra cooperativa che per un tempo determinato e, suo malgrado, non aveva le risorse sufficienti a coprire i costi imposti. Il nostro apporto per sottoscrizione mensile in c/finanziamento soci cessò più di dieci anni fa, esattamente da quando con l’applicazione del R.R. n° 11/2008 le AASSLL procedettero con l’adeguamento delle rette. Nel frattempo in bilancio vi era un debito totale, verso i soci, oltre i 12 mesi – a lungo termine – per circa € 598.090,00. Certo in bilancio c’era anche la contropartita dei crediti a lungo termine equivalente alle “differenze rette” maturate per l’assistenza fatta pro/capite, pro/dì ai pazienti inviati dalle AASSLL e sostenuti nelle nostre CRAP con i costi imposti dal legislatore. Nell’art. 9 del citato R.R. n° 11/2008 era disposto chiaramente “adeguamento delle tariffe ed accordi contrattuali” ma anche in presenza di “possesso dei requisiti organizzativi previsti dal R.R. n° 3/2005”. La stessa Regione Puglia, al tempo, dispose ai Direttori Generali “… in seguito all’entrata in vigore del presente regolamento, stipula gli accordi contrattuali … omissis … dimostrazione di possesso di ulteriori standard di cui all’art. 12 del RR n. 7/2002, con particolare riferimento alla valutazione della qualità delle prestazioni … previsto dal RR n° 3/2005 …” Chiari riferimenti ai requisiti imposti precedentemente. Solo la “parola fine” posta dalla sentenza del Consiglio di Stato n° 4271/2015 ci pose poi nelle condizioni di esigere quanto dovuto in funzione dei servizi resi alle condizioni imposte ma, nel frattempo, vi era un debito a “lungo termine” con una partita di “credito a lungo termine” e, la peculiarità della circostanza, ci trovò di nuovo a discuterne in assemblea. Un’assemblea del 2014, nella quale era presente anche Roberto Longo, trattò le dimissioni di un collega ed al 4° punto all’o.d.g. la “proposta di rateizzazione del conto finanziamento in caso di dimissione da socio”. L’assemblea dopo il dibattito, all’unanimità, approvò la rateizzazione del conto finanziamento, per un importo mensile di € 1.000. Era accaduto che un socio dimissionario chiese “di botto” l’intero importo sottoscritto in c/finanziamento e l’assemblea volle cautelarsi per evitare che un gruppo di soci dimissionari, in futuro, avesse potuto inginocchiare nella liquidità la cooperativa, decidemmo tutti che nel caso ci si dimetteva e/o di cessazione del rapporto di lavoro avremmo riscosso il nostro c/finanziamento in rate mensili. Roberto Longo lo sapeva. Rispetto ai nostri crediti a lungo termine, in agosto 2016, mi preoccupai anche di predisporre una memoria che riassumesse la circostanza perché una ASL ponesse in liquidazione un nostro vecchio credito pari a circa 95.000 €; per attraversare i fatti occorse menzionare, tra l’altro, tre leggi regionali, quattro DGR, tre Regolamenti Reg., una Circolare regionale e sentenze del TAR. Non feci in tempo ad occuparmi dell’invio della memoria. Mentre, decorreva in ottobre 2016 l’udienza di primo grado, contro altre AASSLL, per il recupero di altri crediti “a lungo termine” per un valore superiore ad un milione di euro. Certo sicuramente un contenzioso tanto importante quanto nella veste propria di un atto da affidare alla verità giurisdizionale. Bene, tutto ciò premesso, vi avevo già detto che, ancor prima della sua nomina, a causa di una crisi nella tenuta della compagine sociale, si erano già dimessi n° 26 soci-lavoratori. Per tre di essi il 28.07.2016 avevamo ricevuto tre Ingiunzioni di pagamento, relative al loro individuale credito per c/finanziamento soci. Nel predisporre una memoria per il nostro avvocato finalizzata a liquidare quelle somme ratealmente per € 1000/mese ciascuno, come noi soci avevamo convenuto in una assemblea, ci rendemmo conto che nostri documenti contabili, interni, avevano reso la contestazione vana. Il 12 febbraio 2016, dal nostro ufficio preposto alle registrazioni contabili, su richiesta di professionisti, vennero fatti uscire mastrini contabili di sotto-conto proprio relative al debito in questione. Questi documenti, isolati dagli altri atti interni (vedi il verbale di assemblea dei soci del 2014) necessari per una corretta interpretazione dei fatti, permisero ai pretendenti di definire un “credito certo ed esigibile”, negli atti ingiuntivi si lesse: “…odierna istante vanta credito nei confronti della cooperativa, per esserle state trattenute sulla retribuzione, onde finanziare la cooperativa medesima e garantire disponibilità di cassa per la gestione corrente… v/copia messaggio di PEC dell’avv … in data 16 febbraio 2016”. Certo una faccenda squisitamente giurisdizionale ma, l’aver fornito quel documento contabile non lasciò spazio a lunghe e annose discussioni e creò un precedente. Lascio ai più attenti il compito di collegare in che preciso tempo – 12 febbraio 2016 – uscì dall’ufficio quella mail, con quei documenti contabili. Ne questa mail, ne altre, che furono inviate nei mesi successivi, per allegare quei mastrini contabili, portarono la firma di qualcuno. Chi le spediva sapeva molto bene per quale uso servivano e, quindi, sapeva anche molto bene che nella veste di socio/a contravveniva nel tutelare quanto deliberato in sede di assemblea, oltretutto, quando deliberammo volevamo proprio scongiurare che le dimissioni di un gruppo destabilizzasse gli equilibri finanziari, si trattava, infatti, di una partita da circa 500.000 €. In nostra assenza “riassunti contabili” erano stati preparati dall’addetta al personale. La nuova addetta al personale in un ruolo proprio del contabile: scritture contabili per il settore lavoro; “riassunti” contabili per chi cessava il rapporto; le ferie serenamente pagate per 30 gg l’anno. Il TFR dopo tre anni di registrazioni scaricato alla dott.ssa P.A. Per il resto, in quel periodo, sembrava che tutto lo sforzo era per “tirare il freno a mano”, verteva per obiettivi opposti a quelli necessari e democraticamente convenuti. Sicuramente questo quadro, in ufficio, era definito da un insieme di preposti, c’erano vecchi colleghi, in perfetta buona fede che si adoperarono per quanto potettero, altri, molto gentili celavano quanto è stato più chiaro solo dopo. La circostanza di queste e mail la scoprimmo, dopo il lutto, proprio rifrequentando gli uffici, in agosto 2016. In quel mese tutti i preposti al coordinamento delle UU.LL. (ora membri del C.d.A.) presero ferie, in ufficio altre tre persone fecero lo stesso. Noi gli eravamo stati affianco fino all’ultimo minuto eravamo sfiniti ma, a noi non fu chiesto se avevamo bisogno di prendere un po’ di ferie. A tirare con la stanchezza immane di chi aveva attraversato un periodo a dir poco impegnativo fummo sempre noi che non avevamo il vigore per affrontare l’immane lavoro che scoprimmo esserci in ufficio ma, riprendemmo a lavorare subito per senso di responsabilità e dovere nei confronti di chi ci aveva lasciato. La sua prima preoccupazione erano gli stipendi dei colleghi e la confusione che si era fatta per le dimissioni del socio-lavoratore sig. M.D., la cooperativa che, fino a quel momento era sempre stata in fase di miglioramento continuo, in concomitanza ad un dramma di quella portata sembrava inciampare. Fu così che nel mese di agosto, insieme alle altre vecchie colleghe, Susi e Maria Antonietta, riuscimmo a recuperare crediti e pagare, oltre a importanti altri impegni, due mensilità di retribuzioni a circa 70 soci-lavoratori. Io e Susi non riposavamo da circa un anno, non riposammo quel mese neppure mezza giornata, fu in quel contesto che mi capitò, per la prima volta in 37 anni di fare pausa pranzo, un paio di volte nella RSSA, non avremmo avuto il tempo altrimenti. Ricordo dedicai su tre scrivanie, per la pulizia e il ripristino dell’ordine con suddivisione di documenti da archiviare dai documenti di evidenza, due giorni ciascuna. Tutto questo con umiltà, come con umiltà, mentre eravamo ad assisterlo, più volte avevamo letteralmente salvato la cooperativa in evidenze per le quali i colleghi che erano in ufficio, al tempo, apparivano non capaci. In quel contesto, tra l’altro, ci rendemmo conto: che le brochure stampate nell’autunno 2015 per promuovere il servizio della CRAP, erano in ufficio sul pavimento a prendere polvere esattamente dov’erano quando furono depositate per la consegna poco meno di un anno prima; che alcune fatture proforma erano state spedite alle ASL senza alcuna solerzia; da una mail ricevuta, emerse che da mesi c’erano fatture proforma che venivano in parte contestate e crediti, o se volete, le rispettive, partite pagate parzialmente; le strutture in questione erano le Case per la Vita e le notule contestate dalla ASL decurtava parte della retta. Quelle mail erano state tenute a soggiacere sulle scrivania della dott.ssa V.M. (ora come allora membro del C.d.A.). Non mi risulta che lei o l’addetto alle registrazioni contabili avevano fatto presente la circostanza in C.d.A., non avevano chiesto aiuto, non avevano dato alcun riscontro nei termini. Non so neppure a quanto ammontavano in totale quelle decurtazioni. Ora senza entrare nel merito di quanto eccepito dalle ASL devo inevitabilmente far presente che Roberto, nello stesso atto pubblico del 2017, lamenta: “… Il fatturato della Casa per la Vita Giovanni Falcone, non copre il costo del personale e che ciò nel 2016 ha creato una perdita di 44.000,00 …” Mentre da socio addetto alle registrazioni contabili in presenza di partite pagate parzialmente non aveva fatto nulla a tutela dell’organizzazione. Roberto, nell’atto pubblico, non evidenzia, se si è trattato di posti letto vuoti o altro, non evidenzia nemmeno quanto fatto dal precedente C.d.A. Per esempio le riunioni con altri gestori delle Case per la Vita del nostro territorio, il documento redatto dal presidente ed inviato, a mezzo mail dalla dott.ssa G.L. oggi sua vice presidente (agli altri gestori per la condivisione, come pure a nostri consulenti per i riferimenti normativi in esso contenuti), non menziona il successivo atto della ASL di Brindisi del 12.02.2015, non menziona la retta in esso indicata pari ad € 91,30 di cui il 70% a carico della ASL, non menziona gli altri due attori sociali preposti dalla norma a farsi carico del restante 30 %; Ci sarebbe altro da sottolineare in merito a quanto Roberto pubblica in quell’atto del maggio 2017 ma, in questo momento, voglio solo ricordare un C.d.A. del 2014 e che dal 2013 fino alla sua nomina a presidente è stato addetto alle registrazioni contabili; in agosto con una mail, spedimmo ad una ASL gli allegati di alcune fatture di aprile e maggio che non potevano essere liquidate perché risultavano spedite senza i prescritti allegati; ci prodigammo a sollecitare i crediti e ci accorgemmo in quel momento che, oltre alle partire sbloccate dai pignoramenti nel mese di giugno, vi era molto altro. Riuscimmo nel bel mezzo del mese di agosto ad incassare tante partite di credito oltre a quelli che, sollecitati, si previde fossero incassati a settembre. A questo punto era ovvio chiedersi se erano stati non capaci o altro e, come se non bastasse, con le disponibilità concretate, per ben due volte, ci furono frizioni con il collega addetto alle registrazioni contabili perché intralciò il pagamento degli stipendi che, nonostante le sue contrarietà, ci furono; nel mese di agosto, quando lo stato di recupero dei crediti fu sufficientemente in stato avanzato, passammo anche ad altri lavori e, per esempio, chiedemmo di stampare sul vidimato le minute delle riunioni del C.d.A. non ancora stampate. Alcuni verbali, nonostante le minute rilette, furono stampati sul vidimato con “piccoli errori”, di questi solo alcuni furono corretti di pugno. Nel periodo tra il 28 luglio ed il 13 agosto ci riunimmo per fare cinque riunioni del C.d.A., in queste affrontammo e riscontrammo diversi argomenti. Tutto quello che fu riscontrato ed evaso in quel periodo era passato dal C.d.A. (recupero crediti, pratiche legali, riscontri ad enti pubblici, pratiche di credito bancario, ed altro), avevamo fatto mente locale e condiviso scalette di impegni. Al momento in cui bisognava stampare i verbali di queste riunioni accadde che, stranamente, alcuni membri ricordavano una cosa ed altri altro. Oggi posso dire che, chi poi fu rieletto “non ricordava” come erano andate alcune circostanze e gli altri ovviamente dissentivano per fedeltà alle riunioni. La sig.ra L.G. disconoscendo il C.d.A. con funzioni di “prorogazio” (rispetto alla nomina di un nuovo presidente ed in presenza di un vice-presidente nonché di se membri su sette) mentre nelle riunioni aveva partecipato e discusso regolarmente, all’atto di riconoscere i verbali e stamparli sul vidimato, contestò la legittimità di quelle riunioni. Furono lasciate cinque pagine bianche sul Registro dei Verbali del C.d.A. rinviando l’approfondimento del problema e si passò a stampare il verbale del C.d.A. (questa volta riconosciuto nell’agire) in cui si convocava l’assemblea per il rinnovo delle cariche. Rispetto al Registro dei verbali di Assemblea Soci emerse che non era stampato e, il segretario dott.ssa P.A. non stampò, il verbale di assemblea del gennaio 2016, non lo fece, anche lei non ricordava bene, né trovammo traccia delle relazioni che gli amministratori, in quella sede, presentarono ai soci. Scoprimmo, in quel contesto che, il verbale dell’assemblea del 20 marzo 2013, con al punto 2 dell’o.d.g. “Regolamento per la raccolta di prestito sociale”, il segretario, sig. Roberto Longo non lo aveva mai trascritto sul vidimato. Gli fu chiesto di rimediare solo annotando l’assemblea e spillando la stessa minuta. Era un atto importante, dopo la raccolta fondi che avevamo fatto nel periodo precedente al 2008, era intervenuto il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia che disciplinava la materia anche per i soggetti diversi dalle banche e, noi pensammo di approvare un regolamento, in forma cautelativa e per il futuro, approvammo, quindi “il regolamento del prestito sociale”. Alcuni, verso fine agosto, giorni prima dell’assemblea per il rinnovo del C.d.A., prevista per il 5 settembre, mi riferirono che il nuovo presidente sarebbe stato Roberto Longo. Di questo me ne lamentai in ufficio, dovevamo rispettare la scala di valori che ci aveva lasciato, l’art. 35 del nostro Statuto prevedeva che “… I COMPONENTI IL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE SONO SCELTI TRA I SOCI COOPERATORI CHE NEGLI ULTIMI TRE ESERCIZI SI SONO PARTICOLARMENTE DISTINTI …. “ Non avevo alcuna intenzione di candidarmi, avevo fatto parte di quel C.d.A. solo da giugno di quell’anno, avevo un sacco di lavoro da fare, avrei continuato a fare gli interessi della mia cooperativa ed a collaborare come sempre con tutto il mio tempo ma, riferii che, se in sede di assemblea si fossero candidati soci che, a norma di Statuto, non avrebbero potuto farlo, lo avrei contestato e mi sarei anche candidata. Cosa che si verificò. In assemblea provai ad esporre ai soci quello che avevamo trovato con il nostro rientro in ufficio ma, non me ne fu data la possibilità. Roberto, dopo la nomina, nella lettera interna, diramata per ringraziare, precisò: “… ho accettato di candidarmi”, “… sono state da sempre una mia aspirazione …” Quindi si era candidato anche se sapeva bene che, a causa del precedente “disordine” creato durante la gestione dell’ufficio del personale (per il quale era servita una Commissione per venirne a capo), non poteva farlo. In una riunione nella RSSA, subito dopo l’assemblea, evidenziai nuovamente i valori della nostra cooperativa facendo presente all’intero gruppo di lavoro che, se in assemblea potevamo esprimere le nostre posizioni, dopo la elezione di un C.d.A., tutti, maggioranza e minoranza, dovevamo essere compatti, le minoranze dovevano sparire dietro il principio che una maggioranza ha il diritto di sperimentare la propria scelta. Non immaginavo che la storia non era ancora finita. Sotto la sua direzione è stato dato il via all’impazzimento del modello. A proposito di persecuzioni a tutti i livelli, oggi, devo prendere atto che la persecuzione nei confronti della mia persona ha creato danni e dolore a molti, di quelli che sono usciti dalla cooperativa e non. Dedico questo documento a quelli che sono fuori e che, pur avendo subito persecuzioni, non hanno avuto il coraggio di denunciare. A tutti quelli che del lavoro in cooperativa avevano fatto il loro progetto di vita, ai nostri tanti progetti in tasca e sogni in testa, al nostro futuro immaginato ogni giorno. Era la nostra vita, il nostro progetto di vita. Tutto questo scempio è stato coperto da una tesi suggestiva e utile, Roberto ha scritto in diversi atti ed ha intriso l’opinione pubblica dell’idea che io avrei vissuto sentimenti di “rivalità” per reazione alla sua nomina. Adesso chiedo si rifletta su questa lettura della realtà: come una vera mamma rinuncia a suo figlio pur di non vederlo sezionare in due, allo stesso modo, anch’io perché la cooperativa era tutta la mia vita, non avrei mai potuto sezionare con inutili individualismi. Certo però che la suggestione indotta è stata molto plausibile, per chi è fuori e non conosceva i fatti ma, la verità è che in quell’assemblea, ci sono troppi testimoni per “incartare” false testimonianze, ho solo chiesto si rispettasse lo Statuto, mi candidai solo per contrastare due candidature e con esse lo sfascio che, per quello che era di mia conoscenza, era prevedibile; quand’anche nessuno poteva immaginare a questo livello, non al prezzo di tanti vecchi soci fuori dalla loro cooperativa, al prezzo di non poter vedere per l’ultima volta assistiti che avevamo seguito anche per vent’anni, non al prezzo di una campagna denigratoria di questa fatta capeggiata da chi si cela sotto un “vestito religioso”. Non sono io che ho vissuto, poi, una rivalità bensì il contrario. Non so quanto abbia influito sul mio licenziamento il fatto che contrastai in assemblea la sua nomina e il fatto che ero testimone sia di fatti emersi in ufficio dopo la nostra prolungata assenza, sia dei fatti emersi durante i lavoro della Commissione interna. Non avevo alcuna intenzione di candidarmi, in cooperativa c’erano tante brave persone capaci, molte più di sette, quante erano quelle da eleggere a quel ruolo, era stato fatto un lungo lavoro in 37 anni, ci aveva lasciato un canovaccio di nuove cose da fare che sarebbe bastato almeno per i successivi 26 anni e per stare non solo bene ma, sempre meglio. Bisognava proprio riprendere dal punto in cui eravamo arrivati con il lavoro in quel mese di agosto. Fui dopo, invece, preoccupatissima, la scala delle priorità era un’altra rispetto a quello che faceva, il lavoro fatto in agosto per il recupero dell’arretrato (che si era svelato da far paura), era stato appena una piccola frazione delle cose che c’erano da fare, delle pratiche da evadere. Mentre, invece, fu messo in atto un piano diabolico che ha avuto lo sbocco naturale nell’orribile descrizione di me fatta in quelle note che, non mi furono fornite in copia nei termini di legge. Non ho mai capito, per fare un piccolo esempio, come mai non si intervenne subito con uno strumento che avevamo, proprio il regolamento di cui vi ho parlato prima, quell’assemblea del 2013 che a Roberto, in veste di segretario, era sfuggito di riportare il verbale sul vidimato. Per andare avanti non avendo ancora incassato i crediti a lungo termine bisognava tener conto del deliberato dai soci, del nuovo “Regolamento per la raccolta di prestito sociale” e chiedere ai soci la ricostituzione del debito a lungo termine perché non pesasse sui crediti a breve. Erano usciti dalla cooperativa buona parte dei circa 500.000 € del debito soci c/finanziamento, senza però che fosse arrivato prima il momento del recupero crediti a lungo termine. Erano quei mastrini usciti non si sa per mano di chi che, senza che fossero stati corredati di altra documentazione interna, non furono collocati nella giusta interpretazione. Certo era una questione squisitamente giurisdizionale ma fatta che era la frittata vi era una probabilità di ricostituire quel fondo, sia pure nell’ipotesi di condivisione da parte dei soci-lavoratori in essere che, stabilito se e come, avrebbero potuto, in un tempo determinato (da stabilire collegialmente ed in una piccola quota equa e mensile da recuperare), questa volta, attraverso le modalità che il nuovo regolamento prevedeva. C’erano altre cose anche importantissime da fare ma, non capivo perché, sembrava non ne tenessero alcun conto, vidi solo tanta persecuzione verso vecchi soci. Quando ebbi copia delle note richiamate nella delibera di esclusione c’era chi, per esempio, aveva dichiarato di non aver potuto usare le scale che davano al mio alloggio perché questo mi infastidiva. Fosse stata una collega che lavorava da mesi, avrebbe detto una balla, avevo lavorato 20 ore su 24 da quasi un anno, nel mio alloggio c’ero stata forse due notti, per tutto il resto del tempo ero in RSSA. Come avrebbe potuto lamentare questo suo “disagio”? Chi, invece, lavorava da vent’anni sapeva che nel mio alloggio ci entravo non prima delle 23:00 dopo aver passato le ultime ore, in particolare, con un’assistita impossibilitata a relazionarsi con il linguaggio verbale. Semplicemente quelle scale erano un’uscita di emergenza per la RSSA e, perché usate di rado, piuttosto, con umiltà, ogni domenica le ho lavate personalmente purché il personale di assistenza stesse con gli anziani. Una collega avrebbe dichiarato che mi facevo servire a tavola anche con il mio “braccio destro”. In 37 anni è accaduto due/tre volte, proprio in quell’agosto 2016, quando per recuperare il lavoro arretrato in ufficio non avremmo avuto tempo di fare altrimenti per una pausa pranzo. Fu il mese in cui, tutti i soci-lavoratori, si pagarono due mensilità di stipendi arretrati grazie al nostro lavoro e nonostante le ferie di tutti i coordinatori e di tre addetti in ufficio. Non mi sono mai fatta servire a tavola in 37 anni, non ho mai accettato neppure un dolcetto quando le famiglie li portavano per i compleanni degli assistiti perché quel boccone lo avrei sottratto al palato di una persona che non lo avrebbe avuto (ci sono un numero infinito di testimoni). Ho servito per 25 anni i cenoni di Natale e capodanno a tutti gli assistiti che ci raggiungevano in RSSA, poi sono diventati tanti da stare stretti. Sono quella che per non lasciare i ragazzi senza un’occasione di svago il giorno di ferragosto, li invitava in RSSA per la “panzerottata”, era festa così anche per gli anziani. Ho preparato per loro centinaia di panzerotti anche durante i soggiorni montani “impasto ad olio di gomito”. Sono fra quelle socie arrivate sempre due giorni prima in montagna, per pulire le cucine prima che arrivassero i ragazzi. Ho lavorato con molta umiltà sempre, ho dedicato il mio tempo libero a pulire balconi e terrazze e a fare giardinaggio per le comunità, a mettere i centrini per servire gli altri. Non ricordo che mi abbia apparecchiato qualcuno quel paio di volte che pranzai nella struttura ma, se anche è accaduto? Si licenzia chi ha lavorato 12 ore al giorno (di cui metà ad onorem) perché un OSS ha messo due piatti in tavola nelle sue ore di servizio? Certo “tutto si può fare” se, per esempio, in cambio a questa OSS gli si offrisse un contratto di lavoro per un/una congiunto/a ma, questo, non sarebbe Città Solidale. Queste e simili altre brutture le motivazioni addotte a distruggere la vita mia e quella di molte altre persone. Avrei da raccontare per 37 anni, in realtà non ho lavorato per raccontarmi ma, se dovesse servire per salvare quello per il quale ho veramente lavorato non ho problemi nemmeno a dimostrarlo con centinaia si testimoni. Che ci sia stata premeditazione nell’uso della macchina del fango? Questo spiegherebbe molte cose, accadute prima e subito dopo il grave lutto. Il Fondatore sicuramente è stato un visionario ed ha dato tutto, il pensiero e il fare per concretare dal nulla tutto quello che sappiamo. Roberto scrisse: “Sono un visionario anch’io?” Be’ si, sicuramente, ognuno di noi, ogni vivente lo è, la differenza la fa quello che si immagina nelle proprie visioni e soprattutto quello che si fa. Le stesse relazioni si chiamano sempre relazioni sia che facciano parte del modello “Uscire dal buio” sia che facciano parte del tempo della “Sacra inquisizione” è una questione di inferno e paradiso, terrestre questa volta. Il sig. Roberto Longo, sapeva bene che “… la situazione lasciata dal precedente organo amministrativo …” è quella che un gruppo numeroso di soci-lavoratori, con impegno ultraventennale, avevano costruito, la vera situazione ereditata era quella di un fatturato derivante da numero sette strutture socio-sanitarie accreditate, di un importante contenzioso attivo per crediti vantati di circa 1.000.000 di € e la peculiarità di un cospicuo patrimonio immobiliare. Mentre quello che aveva nelle sue visoni era che questi soci anziani stessero “altrove”, il perché è pure chiaro a tutti ormai. Altrove oggi si sono anche molti assistiti della RSSA e molto della loro casa, oggetti che venivano (in dono a loro) da Brianςon, da Marilleva, da Clavier, da Val di Fassa, da ovunque siamo stati ed anche dalle feste locali come dai doni del territorio. Per le piante non ho bisogno di sprecare parole, l’uscio della RSSA è triste testimone. Gli effetti sono quelli sotto gli occhi di tutti, compresi gli avvicendamenti di addetti nelle comunità. Questo il “metodo” di Roberto: con vero rispetto del contenzioso in stato di “sub judice”, per mezzo degli atti ora presenti, è chiaro che, lui da legale rappresentante mente, nega e non paga, io da legale rappresentante condivido uno sconto maggiore di quello pattuito ma, io avrei messo in atto “discutibili e vessatorie iniziative giudiziali nei confronti di Città Solidale”; lui fomenta anche i soci di Marana-Thà, io che al più ho esternato preoccupazione perché la cooperativa era la mia missione sono da sancire; i suoi compagni dopo la sua nomina, mandano messaggi chiari su facebook, intimano se qualcuno mi avesse solo accompagnata, io avrei posto in essere circostanze conflittuali successive alla loro nomina; lui nomina il Comitato di Supervisione al Coordinamento cosicché i soci-lavoratori potessero chiedere “aiuto” alla stessa umanità che li aveva distrutti nell’armonia gestionale io avrei “distrutto l’armonia”; con la mia assenza per malattia e ferie viene “lamentato” la “mancanza di un clima sereno” e questo viene imputato a me ma, è con il nuovo modello che Città Solidale registrerà un tasso di mortalità mai avuto in 37 anni nella RSSA, la qualità delle prestazioni era migliore prima o dopo il mio coordinamento? lui porta le sue infinite verità dentro e fuori la cooperativa, prima come socio-lavoratore, poi come legale rappresentante, io avrei assunto comportamenti che esulano dal nostro “Contratto Sociale” nel quale, per esempio, a proposito di chi mente al punto “Verità”, disciplina: Chi mente propina una falsa informazione all’interlocutore in modo conscio e volontario. Lo fa per eludere la fatica delle proprie responsabilità e del confronto alla pari, preferendo salvaguardare il proprio interesse contingente materiale e narcisistico o per proteggersi da una presunta minaccia. Tale atteggiamento deteriore, infantile o arrogante, oltre che tradire il senso di responsabilità della persona, ferire la dignità dell’interlocutore e la sua intelligenza, minare la buona fede e fare venir meno il rispetto che gli è dovuto, nasconde malafede, corruzione, distrazione, omissione, indifferenza. Anomalie queste, sgradevolmente percepite dagli interlocutori, che, in una organizzazione preposta all’assistenza delle persone fragili, possono essere foriere di gravi conseguenze per la loro salute e per la stessa Società. Consapevole di ciò, prometto che le mie parole, le relazioni e le azioni saranno sempre improntate al rispetto della verità e della sincerità, punti essenziali di incontro con l’interlocutore basati sull’impegno reciproco e sull’ onestà intellettuale. a livello personale lui mi fa sparire diritti, non mi paga ne questi ne quelli, io dovrei far pagare, a Città Solidale, un’ennesima commissione per prestazione professionale allo zio della vice-presidente, ovviamente partecipando alla designazione di risorse destinabili, altrimenti, per esempio agli stipendi dei colleghi; è nata sotto la sua direzione la farraginosa macchina del contenzioso ma, sono i miei colleghi, Città Solidale è la mia vita; quando opera da socio-lavoratore, o meglio dal suo ufficio delle registrazioni contabili durante la nostra assenza, escono mastrini contabili di sotto-conto del debito c/finanziamento soci del quale, secondo un deliberato dell’assemblea, si poteva chiedere venisse pagato a rate mensili di € 1.000 ed invece, verranno pagati a botta di ingiunzioni di pagamento per circa € 15.000/cad.; poi, da presidente, il TFR dei vecchi soci che cessano il rapporto di lavoro, solerte lo scomputa come credito nel mese successivo alla data della cessazione a botta di circa 20.000 per volta, inglobando anche le somme che il Fondo Tesoreria INPS ha attribuito ai singoli lavoratori per la rivalutazione, ma ai titolari lo liquida a € 1.000 al mese (non sempre a seconda del nominativo); da socio-lavoratore crea problemi, io da socia lavoratrice e/o da amministratrice lo evidenzio, lui da presidente, riferendosi a me sostiene “… la sua assistita non è più socia-dipendente di questa cooperativa … questa amministrazione, sin dal suo insediamento, si sta prodigando per razionalizzare la situazione lasciata dal precedente organo amministrativo e per risanare la situazione ereditata. Tale situazione è peraltro nota alla sua assistita …”; la situazione lasciata da chi? Cos’è noto a me? Quello che a me è noto ho provato a sintetizzarlo in questa pubblicazione; vent’anni fa avevamo salvato le nostre Risorse Umane quando con l’emanazione di una nuova norma regionale si richiedeva il requisito di educatori laureati ad indirizzo sanitario, dieci anni fa facemmo altrettanto quando ci attivammo per riqualificare il personale di assistenza in OSS; avevamo una compagine sociale di un Valore Aggiunto Smisurato (con la eccezione di pochissimi elementi cagionevoli di demerito i quali si trovarono casualmente proprio nel C.d.A.), molti lavoravano da un ventennio, con la sua direzione c’è stata una vera e propria epurazione della compagine sociale ma, io avrei danneggiato la cooperativa. Quando si insediò a presidente pare che due unità, per 4 mesi, lavorarono per recuperare l’arretrato del suo precedente ufficio, poi una sola altra unità ha proseguito. La mole di lavoro era troppa? Lui non era proprio adeguato a quel ruolo? La lentezza faceva parte di una strategia? Da presidente poi lui addita me di essere “inadeguata”. E’ davvero troppo! Cosa ricordare di tutto il crono racconto? Impressionate come tutto questo sia potuto accadere. E’ stato qualcosa di molto più grande di noi, forse molto al di sopra delle semplici relazioni interpersonali. Se pensiamo, solo superficialmente, che: nonostante la sentenza del Consiglio di Stato non furono utilizzate le brochure creando un mancato fatturato di circa € 500.000, con solo pochi ricoveri sarebbe stato un valore minore; sono state facilitate le uscite del c/finanziamento soci con un immediatezza non prevista dagli organi sociali per un valore prossimo alle 500.000 €. Tutto questo poi verrà celato dalla grave calunnia “mancano € 600.000”. Tornando in ufficio, in quell’indimenticabile mese di agosto 2016, ci eravamo resi conto di questo e di altro ma, agendo immediatamente c’era la soluzione per tutto, bisognava solo continuare a lavorare come facemmo in quel mese e non altro. Il sig. Longo Roberto, ora da presidente e con tre quarti di compagine sociale epurata, difficilmente potrà riceve l’apertura di azioni di “Tutela” dal C.d.A. e, quindi “dar conto di conti non chiusi”, come probabilità prevista dal nostro “Contratto Sociale”. Ora per Roberto e i suoi componenti del C.D.A., a seguito della “Conclusione delle Indagini Preliminari” disposta dal P.M. dott. Giovanni Marino, per il reato p. e p. dagli artt. 110, 612 bis comma 1 c.p. – Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi potrebbe aprirsi, un percorso di “tutela” previsto da un altro Codice, la tutela della Verità e della Giustizia processuale. Doverosamente sottolineo anche che, presso la Procura della Repubblica di Brindisi, vi sono altre indagini. Verità e Giustizia è tutto quel che serve alla nostra storia. In realtà anche nell’ambito della sua fede religiosa, è conosciuto per aver generato azioni persecutorie a danno di gruppi primari aderenti alla sua fede. Faccia d’angelo ed esempio di gentilezza, ha operato a “favore” di alcuni componenti i nuclei familiari mettendoli contro gli altri, distruggendo così i gruppi primari che per recuperare gli equilibri hanno dovuto attraversare dolore e fatiche. Circostanze queste segnalate presso la centrale “Betel” con sede in Roma. Nella circostanza però di un gruppo secondario, una compagine sociale storica formata da più o meno 70 persone, con una forza propria, era la nostra famiglia, be’ in questo caso la realtà ha superato ogni fantasia ed ogni raffinata strategia, ci ha sbigottiti oltre che gravemente danneggiati. In vita mia, molto tempo fa, avevo visto un “film”, un incendiario che gridava “al fuoco” e, con un estintore in mano vestire l’innovato ruolo di salvatore. Con questa intensa ma sintetizzata storia, ho voluto restituire un po’ di verità e l’anima a tutto quello che in tanti abbiamo fatto, in 37 anni. Ne avrei fatto volentieri a meno. Tutto questo emerso, infatti, non è Città Solidale è il percorso doloroso fatto dalla cooperativa in assenza di alcuni fondatori dall’ufficio ed in presenza di chi si è voluto contraddistinguere con questi fatti. La cooperativa Città Solidale, per prevenire anche solo l’idea che certe azioni si potessero compiere, era stata munita attraverso le sue Carte Istituzionali (Statuto, Regolamento Interno, Contratto Sociale e Procedure del SGQ ISO 9001:2008), di strumenti chiari ed efficaci per l’espletamento dei servizi in essa realizzati ed anche per impedire e/o prevenire che altri “metodi” o singole azioni improprie, almeno per il mondo del non profit, potessero verificarsi. Chi dovesse agire al di fuori delle Carte Istituzionali si assumerebbe anche personalmente la responsabilità di quello che fa. Non sarebbe sicuramente la cooperativa ad essere chiamata ai danni se le contraddizioni sono nei comportamenti dei singoli associati perché incoerenti rispetto ai regolamenti/protocolli interni della Città Solidale. Mi è stata distrutta la vita, il perseguimento della Giustizia adesso è tutto quello che mi rimane per salvaguardare almeno il passato. Lascio ora il crono-racconto per liberare, invece, insieme a chi legge, la forza della ragione Socratica. La realtà che avevamo costruito era una realtà in continua evoluzione, quando qualcuno ha pensato di falciare il futuro per raccogliere i frutti del passato ha compromesso il presente. Proprio come quella banale metafora dell’uomo che taglia il ramo su cui è seduto. Il grande lavoro fatto dal nostro Fondatore penso sia alla stregua di altri lavori fatti da grandi uomini, penso ad architetti che secoli fa hanno progettato opere ancora pregiate e godute dalle nostre generazioni. A noi non toccava di essere capaci di fare altrettanto ma, solo di conservare quanto era stato costruito. L’opera più grande che era stata realizzata non era il patrimonio bensì il modello, era il modello che aveva determinato il patrimonio, era quello che prima chiamavamo identità contrattuale. Siamo al solito arcano: è compito della salute fare economia? Oppure, è compito dell’economica fare la salute? Per quanto mi riguarda penso prevalga il primo. Quando sono stati posposti i nostri statutari valori si sono compromessi anche i risultati finanziari e, questa volta, ne abbiamo la prova. Ricordo il tizio ora a presidente che appena fu eletto ringraziando i soci disse qualcosa come: “se staremo meglio noi staranno meglio loro”. A parte il fatto che non mi pare che con questa linea di demarcazione i soci-lavoratori siano stati meglio, all’uopo va evidenziato che il nostro lavoro, prima di lui, aveva proprio demolito il “noi e loro”. Piuttosto la nostra autostima si vigoriva quando riemergeva, libera, l’unicità della persona che si affidava ai nostri servizi. Nella lettera dell’indomani scrisse “… la differenza sta nel metodo, non nel fine …”, forse avrebbe fatto bene a chiarire sin da subito quale fosse il nuovo metodo, forse avrebbe fatto bene a contestare nelle sedi appropriate il vecchio metodo, forse sapeva che se non ci fosse stata una epurazione della compagine sociale, la maggioranza, non avrebbe poi condiviso il suo metodo, circa il fine ho solo qualche dubbio che non ci sia, invece, una differenza. Nelson Mandela disse: “è molto facile abbattere e distruggere. Gli eroi sono coloro che creano le condizioni per la pace e costruiscono”. Il modello costruito era in fase avanzatissima non si potrà dissipare così, da qualche parte del mondo del Terzo Settore e da qualche parte nel tempo, ripartirà e non “da zero”. Poteva andar via il Fondatore, poteva arrivare il “tizio” di turno, si poteva rallentare, si poteva anche fermare un po’ il nostro percorso ma, un modello è il risultato di un insieme di individui che lo definiscono, è un puzzle di coscienze, è cooperare, è evolversi. Se qualcosa è andato come non doveva è perché diverse coscienze hanno abnegato alla loro stessa umanità. Dipende un po’ da tutti essere garanti del modello. Prima di salutare e ringraziare chi ha avuto la pazienza di leggere, mi sia consentito di esprimere la mia profonda fiducia nella Magistratura ed un ringraziamento alla Caserma dei Carabinieri di Latiano, in particolare al Maresciallo dott. Luigi D’Oria, a lui ho affidato la mia vita perché mi venisse restituita. Un ringraziamento va al mio difensore, avvocato Antonio Sartorio. Grazie a tutti voi. Vita Laporta Latiano 19 settembre 2019 “Per liquidare i popoli si comincia con il privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia, e qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce di un’altra cultura, inventa loro un’altra storia. dopo di che il popolo comincia lentamente a dimenticare quello che è e quello che è stato. ed il mondo intorno a lui lo dimentica ancora più in fretta”. Milan Kundera 28 settembre 2019