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La designer Egy Cutolo ci racconta la sua storia di transizione e di successo.

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di Cinzia Santoro

Egy Cutolo “Non è che un giorno ti svegli è vuoi essere una ragazza. È un percorso intimo, sai che c’è qualcosa di errato, che tu non sei “quello”.

Secondo i dati della letteratura scientifica internazionale la percentuale di popolazione transgender dovrebbe essere compresa tra lo 0.5 e l’1.2 % del totale della popolazione. Se confermata la percentuale, l’Italia consterebbe in circa 400 mila transgender. Ma i numeri, che potrebbero essere sicuramente maggiori, non raccontano chi sono le persone, i loro sogni, le difficoltà che incontrano, le aspettative e la realtà che li circonda. 

Dagli anni settanta ad oggi, essere in transito è una condizione notevolmente mutata, non si rischia più il carcere, non si è più costretti a ricorrere alla prostituzione per sopravvivere e la transizione è un percorso che può essere completato in sicurezza. Le lotte degli anni scorsi hanno modificato la cultura e la società arrivando ad una legislazione che consente alle persone in transito di cambiare legalmente sesso dal 1982. La legge 14 aprile 1982, n. 164, recante la disciplina per la rettificazione dell’attribuzione di sesso, e conseguentemente del nome, a favore delle persone transessuali ha costituito per il nostro ordinamento un esempio importante di civiltà giuridica e rispetto dei diritti fondamentali della persona.

Successivamente la legge 150/2011, prevede che, se risulti necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzarsi mediante trattamento medico chirurgico, esso è autorizzato con sentenza emessa dal Tribunale.

L’esperienza di vita delle persone transessuali e transgender, cosi come la ricerca scientifica in quest’area, hanno ampiamente dimostrato come l’equilibrio psico-fisico della persona transessuale non comporti necessariamente l’adeguamento chirurgico dei genitali, che al contrario spesso viene forzato dalla necessità di regolarizzare una situazione intermedia nella quale la persona transessuale è soggetta a stigmatizzazione sociale, discriminazione, privazione dei diritti fondamentali, tra cui il diritto alla riservatezza dei dati personali sensibili, quali quelli relativi alla salute e alla vita sessuale.

Nell’ultima versione del Manuale diagnostico e statistico degli psichiatri (DSM-V), pubblicato nel maggio 2013 dall’ Associazione psichiatri americana, è stato eliminato dall’elenco delle malattie mentali il termine Disturbo di identità di genere (DIG), storicamente utilizzato dai professionisti della salute mentale per indicare la condizione delle persone transgender e transessuali. Nello stesso manuale viene utilizzato unicamente il termine Disforia di genere per descrivere lo stress emotivo causato da una marcata incongruenza tra il genere sessuale vissuto o espresso e quello con cui si è nati.

Numerose sono le storie che raccontano di persone che hanno compiuto la transizione e oggi vivono una vita serena e appagante.

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Oggi incontriamo la designer Egy Cutolo, che ci racconta la sua storia di transizione e di successo.

L’intervista 

Egy, lei è la proprietaria di una accademia di moda a Sarno, città dove vive stabilmente. Cosa significa per una donna che ha compiuto il percorso di transizione essere realizzata da un punto di vista professionale?

Amo insegnare, amo la moda. Ho conseguito una laurea in moda e mi piace circondarmi di giovani a cui posso trasferire il mio sapere.

Sarno è un punto cruciale di un territorio che si estende dal salernitano al vesuviano. Una zona centrale, che abbraccia un vasto territorio in cui la mia accademia può contribuire con nuove forze lavoro da impiegare a Nola, un grosso polo della moda qui in Campania 

La mia accademia ha aperto le porte a chi non può frequentare altre scuole del nord Italia i cui costi di frequenza sono molto elevati. I miei iscritti sono in gran parte giovanissimi, ma anche stranieri e numerose sono le donne mature. Ognuno di loro ha un obbiettivo ben preciso da realizzare per migliorare la propria vita professionale.  Nel 2009 io sono tornata a Sarno dove vivo stabilmente. Da sola ho lavorato alacremente e ho avviato la mia accademia dove tutti possono accedere senza alcuna discriminazione di età, genere e sesso.

L’unica richiesta è l’impegno, il rispetto e la serietà degli iscritti.

Credo nell’ indipendenza economica perché tutti possano realizzarsi pienamente. Essere indipendente dal punto di vista economico mi ha reso libera. Quando ho aperto l’accademia ho avuto dubbi, mi chiedevo se le famiglie mi avrebbero mai affidato delle giovani vite, visto il mio trascorso di transizione, invece è stato bellissimo perché non ho ricevuto discriminazione ma numerosi elogi per la mia professionalità e umanità. Mi sento compresa e accettata.

Lei è una donna felicemente sposata da sette anni. Quando è importante l’amore nella sua vita? 

Sono sempre stata una donna che si sentiva compiuta nella coppia, quindi ho vissuto delle relazioni stabili. Quando ho conosciuto Carmine, mio marito, ho capito subito che lui era l’uomo giusto. Ero single e impegnata con il lavoro e nel sociale e non pensavo ad una eventuale relazione. Invece frequentandolo ho sentito che lui poteva arricchirmi e completarmi facendomi sentire stimata e amata in modo completo. Così mi ha conquistata. Carmine è l’uomo che mi fa sentire bene, mi sveglio serena da quando sono sposata e il dolore vissuto durante gli anni della transizione è stato spazzato via dall’amore. Anche per la gente è cambiato il modo di percepirmi, per loro ero una persona vulnerabile ora sono una donna sposata. Purtroppo è la cultura patriarcale che vige ancora nel nostro paese. Se sei una donna che ha compiuto il percorso di transizione e sei sposata ci pensano bene prima di colpirti e ferirti. E ciò accade sia con gli uomini che con le donne. È terribile dirlo ma è la verità.  Da quando sono sposata ho il mio “microcosmo” fatto di me e mio marito, delle nostre amate famiglie e del nostro lavoro. Entrambi siamo stacanovisti e amiamo impegnarci al massimo nelle nostre realtà professionali.  La nostra vita è serena. Nessun colpo di testa.

Lei è nata in una famiglia borghese dove papà era preside e la mamma funzionario comunale. Come è stato il rapporto con i suoi genitori quando ha deciso di fare il percorso di transizione?

All’inizio è stato difficile. Parliamo di oltre vent’anni fa. Anche la terminologia transessuale era sconosciuta. Nella società non c’era l’informazione attuale, i media non si occupavano di questi argomenti. Mia madre è stata uno scoglio grande e difficile perché lei era proiettata nello stereotipo di “cosa dirà la gente?”. Negli anni mi ha accettata, perché vedeva suo figlio divenire sua figlia e si è sforzata di comprendermi. Quando ho affermato con forza il mio essere donna completando il percorso di transizione allora mi ha accettata completamente. Nel momento in cui le ho presentato Carmine, oggi mio marito, lei ha davvero compreso e accettato. Lui è una persona così bella che ha conquistato la fiducia di mamma che lo ha amato fin dal primo momento. Papà ha cercato di aiutarmi fin da subito, mi ha dato tutti gli strumenti per compiere il percorso in sicurezza e ha condiviso tutte le decisioni con sua moglie. Ho avuto le stesse possibilità dei miei fratelli, ho studiato e mi sono formata professionalmente, quando ho scelto di fare moda a Milano. L’esperienza milanese mi ha insegnato che anche nelle grandi città europee il pregiudizio e l’ignoranza fanno la differenza. Mi sono sentita discriminata e a differenza di tante altre donne trans io ho scelto di vivere al Sud. Sento la mia terra come un posto accogliente. 

Cosa significa essere discriminata?

Certo nell’infanzia e da adolescente ho subito angherie gratuite dai miei coetanei che hanno saputo essere tanto crudeli. Sono stata emarginata dalle persone che mai avrei immaginato che potessero discriminarmi. Anche da chi indossava la maschera della tolleranza e dell’apertura al diverso, al contrario mi sono sentita più accolta dalla gente umile. Chi non conosce la tua storia tende a fare di “tutta l’erba un fascio” nell’ottica che ad essere in transito siano persone ai margini della società, i reietti. Per fortuna la realtà non è quella.  Anche se bisogna comprendere le ragioni per cui le persone in transito, talvolta hanno dovuto accettare compromessi per compiere il proprio cammino. Io avevo una famiglia, i miei genitori mi sono stati sempre accanto, dandomi sostegno psicologico ed economico. Ma non è così per tutti. Quando sei giovane, in difficoltà perché trans e vieni cacciato di casa sei quasi “costretta” a entrare in giri pericolosi. Ma questo vale per ogni essere umano, non solo per le persone in transito.

Durante la sua adolescenza lei ha avuto episodi di anoressia. Questo disturbo era legato al rendersi conto che lei non stava bene in un corpo maschile?

Non saprei dirle esattamente se il rifiuto del cibo era correlato al mio sentirmi estranea dal corpo maschile. Io sono stata obesa fino all’adolescenza poi ho iniziato una dieta fino all’ anoressia. Il mio corpo si assottigliava e io ero pronta a espormi al femminile. Avevo diciassette anni e il desiderio di intraprendere il cambio di genere era in me. Ma posso dire con certezza che il dimagrimento era in funzione dell’obesità. Semplicemente volevo essere magra.

Quando ha iniziato il percorso di transizione?

Ho iniziato la terapia ormonale a ventidue anni, anche se sembravo una ragazza già a diciassette anni. Ero androgina, vestivo come le mie coetanee e quando uscivo con loro nessuno si rendeva conto che io fossi in transito. 

Quale è stato il momento più critico della transizione? Ha mai pensato di tornare indietro?

Il momento più critico è stata l’adolescenza. Non ho mai desiderato di tornare indietro ma negli anni dell’adolescenza ho pensato di farla finita. Sono gli anni di maggiore vulnerabilità quelli adolescenziali, vale per tutti, se poi hai la società contro è il “peggio del peggio” che possa accadere.  All’inizio del mio percorso anche la mia famiglia ha faticato a comprendermi così come gli amici. Quando uscivo fuori casa ero un bersaglio per chiunque, anche a scuola con gli insegnanti e poi all’università a Milano. Ho frequentato una scuola di moda dove ho subito grosse discriminazioni che mi hanno ferito tanto. Io ho continuato sempre a perseguire il mio obiettivo anche quando tutti mi urlavano che al massimo avrei potuto “fare la vita”, relegarmi al nightclub o fare la cubista. Io in cuor mio ero sicura che non sarebbe andata così. Certo non immaginavo che sarei diventata direttrice di una scuola e moglie, anche se sono convinta che la vita che oggi mi rende felice è la conseguenza naturale alle mie scelte di studio, professionali e di vita privata. Mi sono rimboccata le maniche come chiunque e ho lavorato sodo nella mia realizzazione.

È in atto a livello sociale e politico uno scontro sul gender fluid e sulla posizione che le famiglie devono assumere nei confronti dei bambini che manifestano disagio per il genere assegnato alla nascita. Cosa ne pensa?

Se rivedo me e la mia storia posso dirle con certezza che i “bambini come me” sanno con certezza chi sono dall’inizio della loro esistenza. Un bambino che domani sarà donna lo sa fin dall’infanzia. A me è successo così come alle altre donne in transito con cui mi sono confrontata. Non è che un giorno svegliandoti vorresti essere una ragazza! È un percorso intimo, sai che c’è qualcosa di errato, che tu non sei “quello”. Quando un bambino tira fuori questo disagio dovrebbe essere compreso dalla famiglia e anche dai medici. Purtroppo ci sono medici che spesso indirizzano i genitori a soffocare questo “capriccio” del bambino. A me è successo, purtroppo.  Per il percorso di transito invece bisogna aspettare la maturità del ragazzo perché è una scelta da cui non si torna indietro. Si deve fare un percorso consapevole, maturo e sereno. La serenità è essenziale per una scelta così radicale. Se non hai raggiunto la serenità non puoi sottoporti all’intervento conclusivo del percorso di transizione perché dopo gli effetti sono catastrofici. Io ho compiuto il percorso e raggiunta la maturità psicologica e fisica ho fatto l’intervento con successo. La società tende a far passare per pazzi i genitori che sostengono il sentire del proprio figlio che passa spesso per frivolezza o capriccio, invece i genitori che vogliono il bene del figlio sanno cos’è la cosa giusta da fare, ossia sostenere amorevolmente il percorso del ragazzo. Ed è un bene che la famiglia sia accanto al bambino prima, al ragazzo durante il percorso e alla donna dopo l’intervento. Purtroppo ancora nel nostro paese se provi far passare questo pensiero scoppia la polemica. Dall’altra parte oggi vedo che esibire il gender fluid da parte di personaggi anche famosi è diventata una moda. A me non piace questo esibizionismo mediatico, non risponde alle esigenze di chi come me intraprende un percorso di transizione perché necessario all’essere umano. Non siamo persone che vogliono essere al centro dei riflettori, esibizionisti e alla moda ma essere umani che soffrono. Fin da quando ero piccola ero consapevole di essere una bambina. Mi piacevano i giocattoli delle bambine, sognavo di avere il fidanzatino, desideravo essere una bambina come le mie amiche. Io ho sempre saputo qual era il mio genere, io sono una donna da sempre.

Se potesse incontrare il piccolo Egidio che dentro sentiva di essere bambina, cosa vorrebbe dirgli?

Gli direi di rifare tutto il percorso che ha compiuto, anzi di rifarlo più rapidamente, di non aspettare a farsi l’intervento da adulto ma prima ai vent’anni. Gli direi che l’intervento mi ha migliorata fisicamente e psicologicamente. Direi al piccolo Egidio di essere più combattivo e più comprensivo nei confronti di chi non ha saputo o potuto capirlo. Oggi sono una donna matura e riesco a comprendere anche chi quando era piccola non ha saputo capire il dolore che mi portavo dentro.

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