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Lascia che il mare entri. L’ultimo saluto a Barbara Balzerani

Barbara Balzerani

di Cinzia Santoro

Barbara Balzerani è morta. Compagna Sara per i militanti, conosciuta soprattutto per le vicende legate alla sua militanza politica, è stata molto amata per la sua poetica.

Nei suoi libri, la sua storia e il suo sguardo alle contraddizioni della società che ritrova dopo aver scontato la detenzione. Barbara Balzerani traduce in forma letteraria temi complessi, le relazioni sociali dei contemporanei sovrastate dal nichilismo dell’astrazione delle merci. Una scrittura quasi profetica in grado di declinare il neoliberismo del Capitale sempre pronto a depredare risorse.

Scrive Vincenzo Morvillo: “La sua scrittura, dalle cadenze allegoriche e magiche di L’ho sempre saputo, alle istantanee concrete di Lettera a mio padre, intarsiate nella materica corporeità legno-gommosa d’un albero salgadiano, ci parla del nostro presente e del nostro passato”.

Barbara Balzerani fu leader politico e militare delle Brigate Rosse insieme a Mario Moretti e Renato Curcio, una giovane donna la cui coscienza ribelle si scontrò con quella morale patriarcale che non può concedere nulla al gesto sovversivo. Lei non si dissocia e non si pente, piuttosto compie un percorso storico di critica verso le azioni della lotta armata negli anni di piombo e ammette la fine di quel periodo perché mutate sono le condizioni che lo hanno determinato.

Afferma in un’ intervista parlando dell’esperienza universitaria a Roma : “Eravamo giovani compagni più o meno organizzati, potevamo tenere la piazza ma non c’era una strategia militare o armi”. Per la giovane Barbara c’è la militanza in Potere Operaio e solo dopo la scelta della lotta armata. La tensione sociale, la strategia stragista, i servizi deviati, il tentativo di un colpo di stato, la rabbia e l’indisponibilità al dialogo, furono determinanti nella scelta della lotta armata in quel periodo storico. Un dialogo interiore con cui riesce a raccontare un’analisi asciutta e lucida del contesto politico che ha riguardato lei come altre migliaia di persone coinvolte nei conflitti politici degli anni Settanta. La militanza, i sanguinosi fatti restituiti alla Storia del nostro paese e l’arresto nel 1985. 26 anni in carcere. Poi la scarcerazione e la scrittura, i suoi libri, che l’ hanno accompagnata nell’ultimo quarto della sua esistenza, da Compagna luna il primo a fino all’ultimo lavoro Respiro, e poi Lascia che il mare entri, La sirena delle cinque, L’ho sempre saputo e gli altri.

Barbara Balzerani
tribunale

Scrive Rossana Rossanda: “Non a tutto si rimedia, non tutto si cicatrizza. Nella specie di carcere allargato in cui vive, Barbara sa che non le saranno mai più abituali gli spazi e i tempi delle persone normali, che le è negato un senso da dare a un domani che non possiede. Per averli bisognava dunque arrendersi, darsi all’arrancata individuale, chiudere gli occhi, tacere? Compagna luna ha il grande merito di far parlare ciascuno di noi per come ha visto quegli anni» 

Una donna Barbara Balzerani che senza pregiudizi, inquadra da dentro, dall’ottica impietosa e lucidissima di una irriducibile la genesi e lo sviluppo della lotta armata. Ieri la “primula rossa” si è spenta dopo una dolorosa malattia. E lei diceva “io non sono una scrittrice, racconto storie”. E da uno stralcio di Lascia che il mare entri voglio ricordare Barbara Balzerani che scriveva in maniera accattivante e diretta.

“I racconti non indugiavano in metafore, andavano dritti, con il linguaggio di tutti i giorni, uguale per grandi e piccoli. Non avevano lo scopo di rassicurare, ma di fare comunità, di riconoscersi fratelli nella sorte, di ribadire il loro stare al mondo, per trovare motivi di chiudere con un pizzico di paura in meno un’altra giornata. E, tra i tanti, venivano fuori anche frammenti di certi fatti.  Incendi e distruzioni di palazzi dei signori. Pare che nella valle ci fossero state ribellioni di contadini. Pare che fossero usciti di casa con asce e schioppi e che avessero lasciato la terra inzuppata di sangue come quando si ammazza il maiale.  Veniva così a sapere che talvolta l’ordinario si concede una pausa.  Come a carnevale, ma senza le frittole. Non s’era trattato di un gioco come i falò della vecia o il tiro al moro. Non c’erano stati posti franchi. Neanche in canonica. La giustizia si era sbendata e colpiva veloce.

Barbara Balzerani

Poi erano arrivati i gendarmi e la festa era finita. Ma non tutti si erano arresi ai primi colpi. Si diceva che gruppi di insorti si fossero ritirati sui monti per difendersi e continuare a combattere.  Li chiamavano banditi o briganti, a seconda della latitudine.  Quando qualcuno di loro cadeva nelle mani della legge, veniva torturato, giustiziato e portato, cadavere, nelle piazze a monito. Lei avrebbe voluto saperne di più di questi uomini. Avrebbe voluto chiedere se era vero che tra loro c’era stata anche qualche donna. Avrebbe voluto conoscere le loro ragioni, le loro idee su come potevano cambiare le cose.  Un po’ le facevano paura, un po’ la affascinavano, un po’ neanche credeva che fossero esistiti veramente. Si guardava intorno e sulle facce di maschi e femmine che avrebbero potuto partecipare a quei fatti non riusciva a trovare tracce di tanta sregolatezza. Sapeva i loro nomi e nessuno ne aveva uno da eroe dei libri di avventura.  Possibile che gente tanto ordinaria potesse aver buttato all’aria, anche se per poco, l’ordine consueto delle cose?”

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