Storia di una di noi: Sono Mina sono donna e sono sopravvissuta Cronaca 27 Novembre 202328 Novembre 2023 in copertina Monica Keniota Levanto per la campagna contro la violenza sulle donne di Cinzia Santoro Incontro con Mina appena dimessa dall’ospedale, dopo un mese di ricovero per le lesioni riportate nella brutale aggressione avvenuta per mano del marito. Mina ripercorre la sua vita, gli ultimi 35 anni fatti di sogni infranti, dolore e impotenza. Mina, giovanissima negli anni 80, quando avere il fidanzato “geloso” che “non puoi nemmeno uscire con tuo padre” era normale. E poi giovane moglie, che va a vivere in campagna. Non ha l’auto e non lavora. “Ero sola con lui. Ricordo i consigli della mia mamma che mi diceva di tacere e magari di andare in un’ altra stanza quando mio marito era “nervoso”. Ma non serviva questo atteggiamento, non funzionava mai. Lui la scuoteva e la picchiava comunque. Mi racconta dei tre figli arrivati e di quanto amore ha provato per loro, ma anche di come al pomeriggio li richiamava dai giochi mezz’ora prima del rientro del padre, “perché dovevano stare seduti composti e in silenzio al suo arrivo. “Avevo poco tempo, controllavo ogni cosa, ogni dettaglio. Tutto doveva essere in ordine. Anche la biro che lui usava per segnare su un calendario la contabilità della casa. Se veniva spostata lui mi picchiava. E poi picchiava anche i bambini. “Erano calci e pugni, urla, parolacce e insulti.Mina ha uno sguardo triste e provato. Si porta le mani sul viso e mi dice: “Ho sprecato tutta la mia vita.Ma dove potevo andare, ogni tanto quando quello che accadeva era insopportabile, fuggivo con i miei figli. Mai ho lasciato i miei bambini da soli con lui.E poi lui tornava, si metteva in ginocchio e mi chiedeva perdono. Diceva: “Amore mio prometto che cambierò se torni a casa”. E io volevo crederci. Tornavano ad essere una famiglia più serena, ma dopo poco si ricominciava.Ogni scusa era buona per offendermi, attaccarmi e picchiarmi.Quando i bambini erano piccoli si arrabbiava se gli chiedevo i soldi per comprare i detersivi.Mina è un fiume in piena, mentre ricorda gli episodi che la mortificano ancora oggi. Mi guarda e si scusa dicendomi: “Sai con tre bambini in campagna dovevo pur lavarli e tenere pulita la casa, il detersivo mi serviva. Mica lo mangiavo!”.I ricordi di questa donna sono didascalie precise di un fenomeno che ha un solo nome: violenza di genere. Fenomeno che nella nostra società è dilagante, nonostante i tentativi di una parte dell’opinione pubblica, dei mass media e della politica di negarne l’evidenza e l’origine nel patriarcato.Il termine patriarcato affonda le sue radici nel greco antico “πατριάρχης” (patriarkhēs) che letteralmente sta per “il dominio/la supremazia del padre”. Gli uomini quindi come categoria sociale opprimono individualmente e collettivamente tutte le donne come categoria sociale appropriandosi della loro forza riproduttiva e produttiva, controllando i loro corpi, le loro menti, la loro sessualità e spiritualità principalmente attraverso mezzi “pacifici” come la legge e la religione. Tuttavia, spesso il dominio maschile viene mantenuto attraverso una vasta scala di mezzi violenti (verbali, psicologici, economici, fisici e sessuali), alcuni comuni a tutti e altri specifici per ciascun modello culturale, religioso o economico adottato dal sistema patriarcale in questione. Nella storia di Mina tutto il modello patriarcale è presente. Lui, marito-padre – padrone, lei solo una donna che doveva sottostare e tacere . ” Stai zitta. Parla solo quando te lo dico io!” Mina mi racconta anche della violenza verbale costante. Frasi mortificanti, svilenti e parole rabbiose nei suoi confronti e dei loro figli. Mi racconta: “Io credo che lui fosse geloso anche dei bambini. Mi diceva che io li amavo più di lui. E ci cacciava di casa tutti e quattro, perché quella era casa sua.Ero isolata, non dovevo avere rapporti con la mia famiglia d’origine, anche se tutti loro mi sono stati sempre vicino. Non potevo frequentare delle amiche, prendevo il caffè con una vicina di casa solo qualche volta e quando ero sicura che lui fosse al lavoro. Non disponevo del mio tempo, né del denaro per le semplici necessità di una donna. Per questo motivo quando i figli sono cresciuti ho chiesto a lui se potevo cercarmi un lavoro. Non era affatto d’accordo ma visto la mia insistenza, accettò che io lavorassi solo nelle ore in cui lui non c’era e solo a condizione di mantenere l’ordine e la pulizia della casa come sempre. Erano lavoretti che mi permettevano di respirare un po’ anche se ogni centesimo speso dovevo darne conto”. In questo rapporto leggiamo tutti gli indizi dell’escalation della violenza di genere. La violenza economica perpetrata da quest’uomo in ogni modo, accompagna la violenza verbale, quella psicologica e la violenza fisica.Mina mi racconta dei continui tradimenti, fino all’ultimo dove, lui scoperto dalla moglie si è infuriato, accusandola di essere lei la responsabile della situazione perché “non era più quella di una volta”, quindi lui poteva andare con altre donne. “Tornava docile per un po’ di tempo solo quando le storie finivano”.Mina dice: “È sempre stato un uomo che amava curarsi. La doccia, la barba, i capelli e i vestiti sempre in ordine. Aveva una fissazione per il suo aspetto.”Lui lavorava sempre e non aveva nessun interesse per la famiglia, per me sua moglie o per i ragazzi. I miei figli hanno vissuto l’inferno, i due più grandi sono andati via di casa presto, solo il più piccolo è rimasto. Lui è così fragile, ha sofferto tanto e soffre ancora per questa situazione. Mi aiuta e io cerco di stargli vicino, di donargli tutto l’amore che merita. Desidero che abbia un futuro migliore, una vita serena, che possa essere finalmente felice.Lo sguardo di Mina si accende quando parla dell’affetto che la lega ai suoi tre figli. Il ragazzo è stato vittima di violenza assistita fin da piccolo e di violenza fisica fino ad agosto quando il padre ha tentato di ammazzarlo. Un giovane che porta sul corpo e nell’anima le cicatrici profonde della violenza intrafamigliare. Ed è proprio questo episodio gravissimo che fa scattare in Mina il proposito di separarsi. Mina chiede aiuto, chiama i carabinieri, telefona ai figli maggiori e si rivolge al Centro Antiviolenza. Racconta i dettagli di quell’ultimo giorno in quella casa.E poi mi dice: “Io non sapevo dell’esistenza del Centro Antiviolenza. Menomale che esiste questa realtà, mi hanno aiutata economicamente, supportata psicologicamente e ora anche legalmente. La mia avvocata la dottoressa Zaccaria mi difende e lotta per me.”Mina denuncia il marito sostenuta da suo figlio. Vuole vivere. Ma la procura della repubblica non le crede rivittimizzando Mina e sottovalutando il grave pericolo che quest’uomo rappresentava per lei. Pericolo evidenziato dal modello S.a.r.a. che le operatrici del centro antiviolenza avevano somministrato alla donna quando era stata presa in carico.Ancora una storia dove la verità della donna non viene accolta, dove si mette in dubbio il racconto della violenza.Mina mi mostra un biglietto a quadretti che qualche giorno prima dell’aggressione lei trova sulla sua macchina. È l’ultimo tentativo dell’uomo di manipolarla. Non ci riuscirà. Mina viene accoltellata subito dopo dall’ex marito. Quando lo stesso si rende conto di non avere più il controllo e il possesso della donna.Alla mia domanda se lei avesse mai pensato che lui fosse capace di ucciderla, Mina resta in silenzio, mi guarda e risponde: “No non credevo arrivasse fino a questo punto”.