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La questione meridionale tra economia, finanza e politica

Maria Silvia Quaranta

di Maria Silvia Quaranta

Presso la sala conferenze del palazzo dell’Acquedotto Pugliese si è svolto dal 26 al 28 ottobre il convegno ”Punto Sud. Mezzogiorno reale, Mezzogiorno immaginato”, un’iniziativa degli Editori Laterza con Svimez. Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno.
Si è voluto produrre un focus tra quello che è il mezzogiorno reale con il disagio economico e sociale, le carenze infrastrutturali, i divari irrisolti di reddito, istruzione e sanità, ma anche il mezzogiorno immaginato, quello dei romanzi, dei film, della musica, del turismo che negli ultimi vent’anni ha conquistato una straordinaria popolarità.

Durante l’incontro del 27 ottobre, condotto dal giornalista Marco Panara, si è parlato di “Regionalismo, autonomia, coesione: una nuova questione meridionale?”.
L’assetto del potere in Italia nasconde alcune questioni: chi comanda realmente la Nazione? Come controllare chi usa il potere? Come possiamo essere informati su quello che avviene sia a livello statale che regionale?
Gianfranco Viesti, Economia applicata dell’Università degli studi di Bari Aldo Moro, nella sua introduzione ha ricordato come siano gli assetti giuridici e politici a non funzionare, “ il centro è debole perché non è riuscito a disegnare i giusti assetti, penalizzando la politica. Il sovranismo regionale è il risultato di una mancanza di tutela nazionale, in cui le vittime sono i sindaci schiacciati dai presidenti di regione”.
In quest’ottica il quadro finanziario risulta incompleto, poiché decentrare non significa divaricare: decentrando senza meccanismi adeguati, come la perequazione, non si risolve il permanere della disuguaglianza tra i cittadini.

Gianfranco Viesti, Annamaria Poggi, Marco Panara,
Nicola De Michelis e Alberto Zanardi

Certamente non tutto è negativo. Infatti nel disegno delle indicazioni essenziali, un punto importante è quello degli asili nido, per offrire uguaglianza di diritti a tutti i bambini neonati. In quest’ambito si possono evidenziare alcune importanti ventate innovative: una è il risveglio del centro, che ha pianificato e disegnato quasi del tutto il PNRR, soprattutto per le politiche nazionali sulle infrastrutture e sulla sanità. Il piano ha l’aspetto negativo di procedere su linee settoriali antiche, non valutando i reali bisogni nazionali; ma è importante per la politica nazionale urbana, in quanto permette ai sindaci di fare piani di intervento sui loro territori.

E’ necessario un raccordo tra le politiche di coesione e i reali obiettivi da raggiungere.
Occorre produrre un equilibrio nell’ambito dell’autonomia regionale: alcune regioni devono essere libere di fare delle scelte, ma non in una visione assolutistica. L’autonomia regionale differenziata è un processo che potrebbe disgregare il Paese; dove la richiesta delle regioni più importanti del nord (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna), pende come una spada di Damocle. Le loro rivendicazioni sulle competenze e sul prelievo fiscale presentano gravi rischi: la disintegrazione dei servizi pubblici e delle reti infrastrutturali nazionali, la conferma delle sperequazioni territoriali ai danni della cittadinanza meridionale. Il consolidarsi di una Regione-Stato è preoccupante, poiché lo scopo è quello di godere di meccanismi particolari, simili a quelle delle regioni a statuto speciale. Ma di tutto questo non si parla in Parlamento, l’opposizione è reticente e all’interno della maggioranza le opinioni sono contrastanti. L’autonomia non avvicina il potere ai cittadini, che devono essere informati e stimolati.

Annamaria Poggi, Diritto costituzionale dell’Università di Torino, si è soffermata sulla complessità dei fenomeni generati dopo il 2001, con la revisione costituzionale, data che rappresenta una pietra d’inciampo del regionalismo. Prima di allora lo Stato era fortemente centralizzato, ma la riforma del “Titolo I” ha creato seri problemi, attribuendo un enorme potere legislativo alle regioni, anche su temi per cui sono inadeguati come energia, grandi reti di trasporto, ricerca scientifica e tecnologica, istruzione.”L’alta conflittualità tra lo Stato e le regioni può penalizzare il Paese, perché non si riesce più a comprendere di chi sono le responsabilità, nella divaricazione tra potere legislativo e potere amministrativo, in quanto sono saltati tutti i livelli di identificazione e di responsabilità”. Il regionalismo differenziato non consente allo Stato di governare come con il regionalismo ordinario, in quanto esso permetterebbe a due/tre regioni di trattenere la maggior parte delle risorse, lasciando ingovernate le altre. Una soluzione dunque è quella che lo Stato si riappropri della possibilità di fare le politiche nazionali. Dopo la riforma del “Titolo I” era necessario promuovere una legge di principi sui poteri dello Stato e delle regioni.
Alberto Zanardi, Scienze delle finanze dell’Alma Mater Università di Bologna, si è focalizzato sulle competenze finanziarie regionali, dove i bilanci delle regioni ordinarie fanno riferimento a 170 miliardi di cui l’80% è appannaggio della sanità, che viaggia su un forte regime nazionale e questo aspetto è stato poco toccato dal federalismo regionale; il restante 20% riguarda le spese per assistenza, istruzione, economia trasferite ai comuni.

Regionalismo, autonomie, coesione una nuova
questione meridionale?

L’impianto finanziario con il federalismo regionale agisce soltanto su quel 20%. Il problema è che non si è effettuata una riforma del sistema di imposte, per egoismo dei ministeri o non-volontà delle regioni, partendo direttamente dalle eccezioni senza prima provvedere alle basi. Questo impianto, dove alcune regioni possono richiedere più finanziamenti, trasformerebbe la distribuzione ordinaria in una ad “arlecchino”.
Per Nicola de Michelis, Direttore presso la DG Regio della Commissione Europea, è necessario dare trasparenza a quelli che sono gli obiettivi dei servizi, La politica generata dal PNRR è lo stesso a livello nazionale ed europeo. Il risveglio del centro è necessario per mettere in coerenza tutti gli strumenti, ma questa situazione per equilibrarsi sta impiegando troppo tempo, producendo un rallentamento degli investimenti, È possibile per l’Italia, e per il Sud, mettersi in carreggiata a livello europeo solo attraverso una modernizzazione e rafforzamento dell’Amministrazione Pubblica, dove i LEP (livelli essenziali di prestazioni) devono possedere un riconoscimento di standard per le funzioni pubbliche dello Stato. Una politica di coesione e un chiaro dibattito pubblico possono mettere in movimento i fondi che l’Italia ha ancora a disposizione.
Si tratta dunque di temi giuridici ma anche finanziari; le risorse economiche sono sufficienti, ma bisogna farle funzionare a livello di riforme e di strategia.
Bisogna partire sempre e comunque dalla vita concreta delle persone, quelle di oggi e quelle che verranno dopo di noi.

28 ottobre 2023

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