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A proposito di “Scirocco” la raccolta di poesie di Cinzia Santoro, una voce degli apoti

di Piero Fabris

Rielaborare è un viaggio di consapevolezza tra distacco e concentrazione; sono i due piatti “freddi” della bilancia delle vite dove i frammenti dei sogni e l’esperienza oscillano alla ricerca di un giusto equilibrio. “Scirocco” (Antonio Dellisanti editore Pagg.60. € 10,00) è un vento che si appiccica addosso con le sue foglie di un immoto autunno nel quale l’ansia si raccoglie e allarga nei giorni dal respiro corto e affanni quotidiani.

In questo grembo assolato, il sole si fa nemico, si arrampica al “verde” delle persiane schiuse su scorci di vicoli scrostarti, di città all’improvviso estranea e vuota, disumanizzata. È in questa gabbia di sensazioni dolci e amare che Cinzia Santoro come Iside compie un percorso con i suoi fardelli e sogni, setacciando il corso plumbeo di un cielo che ha spento ogni stella per un’alba diafana. Guardando alla luna con le sue perle e le sue facce invita a discernere tra le onde sapide e la sabbia che sfalda la certezza della casa del suo Osiride. I suoi versi sembrano le pagine della Sibilla Cumana, fogli sgualciti dal dolore sui quali un filo sottile d’ironia mostra forza, fragilità e disincanto con delicata malinconia. La poeta, testimone di destini avversi contempla nebulose oscure e, sorridendo di se stessa, trova nei contrasti della notte il calamaio del nero di seppia per le sue liriche del “perdono”. Chissà cosa direbbe Maria Corti, l’autrice de “L’ora di tutti” che prima di altri comprese Salvatore Toma con le sue solitudini visionarie, tormentate e profonde che nel vento della nostra Puglia si apre trepidante con germogli di salsedine e timo? È il mediterraneo l’anfiteatro delle sue tragedie interiori, amare e luminose dove gli abitanti imparano a fingere con le maschere di calce bianca come fossero strumenti di difesa e riserbo: la cipria. La Santoro come Fernando Pesoa ben conosce la differenza tra fingere e Mentire, l’orma che solca le maschere dell’apparire con la forza della dignità che rende cristalli fragili e trasparenti coppe dell’accoglienza come quelle del grembo della madre terra: Dono e Silenzio, distillato d’Amore. Davanti alle sue raccolte l’incomprensibile è sublimato dal sacrificio davanti all’altare di Minerva dove la nudità dell’anima ha la veste trasparente, composta di petali raccolti dalle brezze marine che, dai fondali corallini risalgono cerchiando il Nous effervescente e intimo. Se è vero che il vortice dei pensieri fiacca e allo “Scirocco” appiccicoso ci si arrende come a un destino ineluttabile, tra gli intrecci della poesia di Cinzia Santoro troviamo gli ingredienti per un dialogo onesto e tenero con il sé più profondo che non si adegua alla mediocrità.   

Cinzia Santoro, nata a Martina Franca (TA) è giornalista e poeta. Sensibile a temi sociali e culturali, sostenitrice dei diritti delle donne, dei palestinesi e del modello Riace, attenta alla vicenda umana e giudiziaria di Domenico Lucano detto Mimmo, realizza interviste che alimentano la cultura contro ogni tipo di violenza. Numerosi sono i suoi interventi sulle realtà palestinesi, sull’Afghanistan, Iran e rotta balcanica che offrono riflessioni interessanti su questioni geopolitiche.    

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