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Intervista a Vincenzo Calò:i versi non contemporanei…di più!

di Cinzia Santoro

Intervista a Vincenzo Calo’ “Prima le parole erano importanti, perché era un piacere per tutti o quasi leggere, rispettare degl’ideali necessari per inquadrare la libertà d’espressione. Adesso comunichiamo inutilmente, ringalluzzendo l’ego fino a sancire l’ignoranza, l’incompetenza con somma imprenditorialità, per la serie “l’importante è che se ne parli”, così consumistica, fatidica.”

Perché hai cominciato a scrivere? 

Per rendermi amica la solitudine, dovuta da una  cagionevolezza mista a una balbuzie che ostacolava svariate, passionali argomentazioni, in risposta a degl’imbarazzati affetti (eccetto quello che serba mia madre) e ai troppi e finti insegnanti di una vita che attende appunto solo di svilupparsi. 

In cuor mio sapevo leggere dentro gli altri, di valere più di quello che l’adolescenza mi offriva, che una risata non si sarebbe potuta sempre caratterizzare offensivamente, sul mio conto, causa una e più debolezze da raccogliere piuttosto per manifestare una forza d’animo. 

Pensavo ch’era arrivato il momento di sorprendermi, e come se non volendomi bene, provando a focalizzare un qualcosa di prossimo al talento per l’umanità, di sfuggente dovendo prima o poi incassare storie e costituire il domani all’estremo della sensibilità, per non scontarle banalmente. 

Succede che un diario pretende d’essere riempito, proprio mentre la curiosità dall’esterno ci richiede di aprirlo, d’essere solleticata dall’anonimato civile, che immaginavo di spettacolarizzare dignitosamente se non perfettamente… e ora lo faccio suppergiù come lavoro, declamando la mia verità, avendo smesso oramai di mandare sms “strani” agli speaker radiofonici.

Le tue opere?

Si rapportano semipoeticamente, e cioè con un gioco di parole per riscoprire altrettanti significati belli che frammentati, alla condizione esistenziale del singolo individuo sempre più inconsapevole di stare a mischiare il bene col male, giacché strumentalizzato dalla modernità che gli gira intorno, roba da sottomettercisi al primo mal di testa (leggi i poemetti di “C’è da giurare che siamo veri…”). 

Eppure bisogna accorgersi di avere un dono a portata di respiro, sempre più accecante se ci lasciamo trasportare emotivamente, meramente dalla confezione, dalle apparenze (leggi “In un bene impacchettato male”), e senza masticare il rischio di emarginarsi, a furia di non credere d’essere speciali, di risultare interessanti anche se per pochissimi intimi (leggi “Storia di un alito di puzzola”), quelli certi di liquidare la realtà di tutti i giorni ironizzando, riflettendo su come attivare dei sentimenti senza caricarsi d’ansie (leggi “La sicurezza e il pensiero cardiopatico”). 

C’è un’immagine che ricollega al momento in cui hai deciso di voler diventare poeta?

Tutte quelle che contengono la natura dei nostri gesti; scatti operati per istinto animale, da interpretare assolutamente per fornire altrettanti sensi relativamente, alla disperata ricerca di un’infinitesimale forma di creatività che legasse parole, e dunque di una definizione sciocca o geniale a seconda degli alti e bassi d’umore di chi mi ascoltava per eccesso o per difetto. 

Il tuo rapporto con la poesia  com’è cambiato nel tempo, cosa significa scrivere oggi, e cosa significava agli inizi? 

Nel mio caso è una questione di stile d’addolcire semmai, per acquisire popolarità prima e vendere noia poi. 

Progredisce o regredisce in base al carattere del tipico essere asociale, che ama camminare in ogni dove fedele al silenzio delle proprie osservazioni, ritagliando intuitivamente figure di un’attualità che oramai m’invita alla socievolezza unicamente quando mi s’interpella anche se spesso in malafede, dando per scontato che chi è povero materialmente abbia niente da infondere… invito che però io accetto con una semplicità di voglie tanto fattibili quanto spiazzanti, da consacrare infine, in fase compositiva, quando socchiudo segreti per soggetti amorevoli, quelli vivi giacché propensi alla straordinarietà del nuovo. 

Prima le parole erano importanti, perché era un piacere per tutti o quasi leggere, rispettare degl’ideali necessari per inquadrare la libertà d’espressione. 

Adesso comunichiamo inutilmente, ringalluzzendo l’ego fino a sancire l’ignoranza, l’incompetenza con somma imprenditorialità, per la serie “l’importante è che se ne parli”, così consumistica, fatidica. 

Qual è il pubblico ideale? 

Quello formato da persone lungi dall’usa & getta di uno smartphone che gradirei che si spegnesse per mettersi nei panni di un qualsiasi artista col suo momento di gloria e specie s’è emergente… animi che si contano sulle dita di mani da tendere e specie quando scopro di avere nel mirino ulteriori artisti, potenziali affetti con cui fermarsi dopo l’evento, armati a loro volta di critiche costruttive dimodoché io possa apprendere, migliorare, senza però cambiare radicalmente. 

Consci insomma del fatto che ci si ritrova, a pelle, prima o poi su uno stesso, traballante piano; che tanto vale tracciare un percorso culturalmente riqualificante, muoversi insieme per avvicinare i senza futuro, e non importa se appartenenti a vecchie e nuove generazioni, visto che posso farli rimanere a  bocca aperta, come dei “perché?”. 

Che relazione c’è tra la scrittura e la società, con le sue influenze politiche e culturali? E come convivono questi aspetti nella tua produzione letteraria? Se potessi scegliere  tre liriche da consigliare, quali sarebbero?

V’è un tramite che si chiama Libro, in troppi casi deriso, superato, perché per tutta una serie di poteri precari ma che stabilizzano un sistema passivizzante si esige approssimare la Ricerca celando una tragedia qual è l’analfabetismo di ritorno, da risolvere nient’altro che usufruendo del tempo libero per coltivare se stessi, delle passioni, pazientemente fino a crearsi il Lavoro. 

Una situazione disamorevole che reggo tentando di risultarne all’altezza di un confronto civile se non amorevole, armonizzando dei contenuti in dote leggera o pesante a seconda dell’aria che tira in ambiti diversi l’uno dall’altro, legati ahinoi propagandisticamente e non profondamente (pessimismo a parte). 

Tentando d’indurre chi si stanca di coltivare il proprio orticello intellettualmente a leggermi un giorno sui muri urbani, di un pianto mai e poi mai liberatorio, come su qualsiasi facciata sedante lo sbando collettivo. 

Da Taranto

Possibile ma introvabile

l’errore di stato permanente

la presunzione di modellare il sonno dei ladruncoli

nulla di valore esauriti i preconcetti col tempo di celarsi

in attesa di fermarsi, a eseguire ordini.

Abbiamo la fortuna di controllare desideri che mutano per ucciderci

d’uscire da storie di guerra umana

per analizzare in fretta l’innocenza, in barba alle conseguenze.

Penso di offrire da bere, acqua di mare

a una lista di case sicure, vite barattate

per l’età che si scuote all’alba di un’intima giustizia, al tramonto di un respiro.

Tieni d’occhio la tua vista, che si fa chiave

tra i denti del nemico o nella gola dell’eroe che gusta il pesce fritto perbene

il capitale investito, fedele a se stesso

al film di natale, di scarso successo.

La cosa in comune va dimostrata e smussata

prendendoci cura dell’intestino

rigenerando lo splendore oltre la pelle dell’uomo sotto la pioggia inquinante

il volto dopo aver dichiarato ch’è inutile giocare

fare l’amore con le paure.

Via da Taranto, coraggio.

La sicurezza

Cani da combattimento scommettono su giovani eletti all’unanimità

per chiedere di fare e tutelare una ricerca sui selfie spacciati per capolavori, in finti malori.

La sicurezza sta nel dovere di trovare soluzioni

come navi, per mirarle e sparare acqua

dritti come proiettili.

Il delirio archivia leggi

fari accesi su lingue nuove, da srotolare come si faceva un tempo

d’estate, quando le scuole si ribalteranno e i numeri parleranno d’amore.

Al soldo del perbenista

salto da una città all’altra, pensando ai grandi ritorni d’immagine.

Un terremoto, e le porte si chiudono

per la società a cui si spruzza un progetto d’intesa.

I contatti necessitano di una sigla per iniziare e finire case, occupazioni.

Promuoverai repliche di poteri complicati da destinare

nel corpo di una competenza.

Le vitamine si lasciano colorare da bambini poco presenti nel cervello dei malati.

Evidenziato un blocco cognitivo, si tenta di agire fuori dal normale

soffiando su un ringraziamento abissale.

Ai benpensanti

Ti tocco una questione di stile

la confusione mortale, per cui la Luna splende

tra i nervi dell’ignorante che scandisce slogan privati del dialogo religioso

bruciato dalla satira di vignette infinite

protette e sostenute dall’affetto di una massa nevosa

composta da bambini che crescono tra le cause dei terremoti

provocazioni di una sapienza abbandonata

per la politica trasmessa eccessivamente, irricevibile se vuoi combattere il diavolo

tra gli animali d’allevamento, che sopravvivono alla volgarità, all’amore

per la colpa di mettermi davanti alle responsabilità, nei weekend.

Alla fine di un nuovo giorno ci divertiremo leggendo del contemporaneo

dovendo costruire intorno un contesto organizzativo

che non rientri nell’offesa richiesta da presenze smentibili

sotto sostanze mica tanto proibitive.

Mi bastano le tue ferite alla memoria

i ringraziamenti che pesi

con la complicità dei perfezionisti che non spiegano tutto ai benpensanti

non aggiornandosi sul colore del venditore ambulante, di libri

giustificandosi per la febbre che non si lascia misurare.

Orbene, fate in modo d’insediarvi tra questi pseudoversi rileggendoli all’infinito, ma non prendendomi troppo sul serio.

V’è un paese martoriato dall’ingiustizia istituzionale che lo si avvince fingendo di evaderci almeno secondo me. 

Una chiarezza oceanica avendo sciolto dei valori pur involontariamente, che siamo costretti ad attraversare disperatamente, smarrendo degli scopi, complessandoci alla fin fine. 

Un torto in più, così, per educare all’ipocrisia. 

In che misura gli incontri con altri scrittori, poeti, intellettuali hanno influito nella tua poetica?

Senza far succedere il contrario… scherzo (mica tanto).

E comunque toccando gli abissi del bisogno di scacciare della ripetitività autorale, con l’impressione d’essere bravo ma non emozionante,  impegnativo ma non semplice, al loro ausculto, mentre si leggono all’aperto.

Quali autori ti hanno formato maggiormente e come sei arrivato a loro?

I cantautori italiani di ieri, oggi e domani (che non muore se consideriamo la scena indipendente). Un incanto che mi ha rianimato a cominciare dalla fine degli anni ’90, grazie ai testi di Bersani e Gazzè (opera del fratello nel caso del secondo se dobbiamo dirla tutta); veri e propri artisti della parola, che poi non potevo non seguirgli nel corso d’interviste rilasciate spaziando con quel divertimento nel perdersi  a raccontare di come sono riusciti a trovare la loro vena creativa, ovvero grazie agl’intramontabili Battiato (togliendo nulla a Manlio Sgalambro), Dalla e compagnia bella. Scoperte continue, andando così a ritroso e oltre i ruoli che c’impone la società, volendo caratterizzarmi da solitario e autodidatta (un po’ come De Andrè), deluso a dir poco dall’inefficacia della pubblica istruzione, e difatti dovrebbero risuonare al massimo la pernacchia di Bob Dylan col suo Nobel per la Letteratura (ma alla fine lo ritirò?), e come minimo le denunce col sorriso di Giorgio Gaber, le ammalianti novelle di Carmen Consoli, le strozzature sentimentali se non addirittura dimensionali di Luciano Ligabue… nonostante tutto, non possono capirmi di certo coloro che non hanno visto quella fiction con Claudio Santamaria nella parte di Rino Gaetano (oddio, se avevano prenotato un posto in teatro per gustarsi Alessandro Bergonzoni o Gene Gnocchi, allora sono giustificati), e né immaginato l’ultimo Battisti nel musicare quel che gli passava Pasquale Panella: magistrale Follia. 

Che rapporto hai con il mondo letterario? Esiste ancora un luogo ideale di incontro/scontro tra autori?

Beh, vedi te: nel mio piccolo promuovo libri di OGNI genere, dalle barzellette di Totti su Pierino ai saggi sui saggi di Umberto Eco, dopo averci fatto proprio l’amore, analizzandoli, e non recensendoli per stabilire null’altro che un giudizio e alimentare così una delle tante guerre tra poveri, che si può tranquillamente evitare dovendo metterci nei panni degli autori come degli editori emergenti, purché carismatici, propensi a sensibilizzarsi e non a competere tra di loro (a proposito, sentirsi dire “Ti amo” dopo uno scambio privato di messaggi di sole, sinergiche, illuminanti parole, in piena emergenza pubblica, quello sì ch’è un premio letterario). 

Radunare dei letterati o presunti tali non significa assolutamente tenerli tante minipresentazioni singole (attenzione a non scambiarle per dei reading!), permettere di farli salire su un palco (e peggio ancora se fieristico) uno per volta affinché si parli in un tempo max di cinque minuti cinque (che nemmeno lo si rispetta equamente) con furore d’ego, sotto gli occhi di passanti smarriti se non degli stessi letterati, per poi godere di applausi forzati e andarsene via perché mal altra esistenza ci chiama… quando piuttosto voglio sentire che ne pensano i miei simili suppergiù su un libro in cui m’identifico, bello o brutto che sia stando al generico, per poi ricambiare giocoforza, cazzo!

Sì, andrebbero rinfrescati dei sentimenti, e come se non odorando testi diversi dai propri, a scanso dell’Ignoranza disumanizzante, serpeggiante invece proprio nei salotti culturali, sia quelli classicheggianti per non dire sterilizzanti che quelli improvvisati al microscopio con soluzioni tossiche e alcoliche per dimenticarsi, avendo deciso di non badare al Futuro o al Passato, come se rassegnati a fallire, trascinati dal Presente che ci rende null’altro che diffidenti e di conseguenza sempre più virtuali, potendo affermare con fierezza d’avere partecipato a un evento d’impura retorica apponendo inutili like e/o infinite emoji a citazioni incolte, perché la sintesi paga chi finge pretendendo di capire perché stiamo messi così male, considerati degli autori inavvicinabili, che sono tutto fuorché tali, e cioè popolari, forti di un profitto minimo che si trae da tutt’altri settori e soggetti, che piuttosto si potrebbero riqualificare facendo perno su iniziative culturali benché sperimentali. 

Per esempio, le radunate dei nuovi scrittori, tolte le singole presentazioni (a patto che aprano quelle degli scrittori veri e affermati, per esempio come succede coi live musicali), devono essere reali e insolite, per fermare una società e i suoi sponsor in movimento ma non più in divenire, e per principio vanno contaminate artisticamente per fare sistema, sortire lavoro e bussare alle istituzioni, senza esibirsi a vuoto, consci ch’è difficile per non dire impossibile intrattenere solamente con la Letteratura… altrimenti tanto vale spettacolarizzare a casa di parenti, amici e conoscenti che almeno manterranno la promessa sul fatto che lo stomaco non brontolerà, ben lungi dalle spese organizzative, per l’occupazione del suolo pubblico in particolare, quindi senza stare a sognare il cachet (richiesta di per sé abominevole, essendo già un’impresa vendere qualche copia di un libro, e magari non saggiamente autofinanziato, in date occasioni). 

21 giugno 2022

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