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RIFLESSIONI SULLA PACE A VOCE ALTA

La convivialità delle differenze per preparare la tavola della dignità

di Piero Fabris

Foto di Daniela Ciriello

Sarà la pioggia che picchietta sui vetri trasparenti delle nostre case calde o sui deserti interiori. È quel suo tintinnare ad alimentare il senso di impotenza davanti a immagini strazianti che gelide e affilate giungono sottilmente tra gli interstizi delle nostre comodità.

Cosa abbiamo imparato dal testo di Primo Levi dal titolo: “Se questo è un uomo? Mi sono chiesto: Cosa è la Pace? Ho impresse le foto di gente in fila davanti alle frontiere, in fuga dalle esplosioni che azzerano ogni certezza. Essi sono alla ricerca di una terra di libertà e per un attimo mi sono soffermato a riflettere sulla “fuga dalla libertà” che anestetizza i nostri cuori avvolti nella notte dell’egoismo. Ho pensato che “Pacem in Terris” l’enciclica di Papa Giovanni XXIII, rivolta a tutti gli Uomini di Buona Volontà, senza distinzione, potrebbe essere manna per quanti colgono nell’universo un ordine di bellezza e si uniscono in coro a Dostoevskij convinti che “la bellezza salverà il mondo”. Ho pensato alla preghiera semplice di San Francesco, mentre il Silenzio continua a ribollire fragorosamente sulla coscienza viziata dai giochi di prestigio col quale ritaglio belle citazioni. Mi chiedo: “Che Cosa è l’uomo…” (Salmo 8), anche io in fuga dalla piccolezza della mia presunzione, mentre l’eco della povertà sussurra: “Rispondi al bene con il bene e al male con la giustizia”.  Serve salire sui tetti e gridare: “Rispetto per la vita”, tanto per parafrasare Albert Schweitzer, se siamo ripiegati su noi stessi? Sono solo chiacchiere che si perdono nella discarica di parole abusate e intanto mi viene in mente Don Tonino Bello con la sua idea di “Chiesa col grembiule”. Una chiesa fatta di servizio non di schiavi del potere e della convenienza. Perché tanta sofferenza? Rimango ammutolito, mi scopro a scrutare il cielo sulla zattera della sopravvivenza con gli occhi aperti, attento allo sbucare di un arcobaleno. Abbiamo bisogno di operatori di Pace! Ho impressa nella mia mente le immagini delle persone smarrite alla ricerca della salvezza col carrello di cose essenziali e il mio pensiero va a loro, agli uomini del dialogo, anime che nonostante tutto va in frantumi, mantengono in se stessi il sogno di un mondo armonioso. Ad essi si addice: “La Pace sta con voi”, anzi: “La pace è in loro” e sono in missione come apostoli di giustizia e bellezza , chiamati a condividere la propria beatitudine interiore. Pronti ad aprire il cuore alla visione del mondo possibile, dove la centralità dell’Essere è data dalla scintilla che alberga nel profondo come “Perla Preziosa” che vale più di tutto il potere, il desiderio di dominare gli altri, di invidiare le vite altrui, di distruggere le torri costruite con le azioni quotidiane, con i sacrifici giornalieri di quanti condividono il talento e sono come fari luminosi nelle notti della tempesta. L’invidia acceca e rende sordi, vuole tutto ai propri piedi, perciò abbatte, infanga, racconta mezze verità, trova giustificazione in atti di forza che seminano rancore. Ho davanti a me il testo di Leone Tolstoi: “Il Regno di Dio è in voi” e sollevando gli occhi sulla città piena di luci ho provato per un istante a immaginarla avvolta dal blackout. Le tenebre rendono tutto piatto, l’oscurità ci impedisce di distinguere le vie diritte. La tenebra è come l’ignoranza, offusca, ci impedisce il discernimento e alimenta la paura. La paura azzera i progetti da stendere sull’orizzonte dell’alba.

Gli operatori di pace guardano lontano, oltre la foschia e costruiscono ponti con gli imbastiti della ragione, con l’onestà intellettuale. Sono uomini del dialogo sincero. Sono un dono che attraversa le notti dell’anima tremante, sono folgore di rigenerazione e di riconciliazione che traccia in un attimo i contorni del Futuro, non un miraggio nel vuoto, quanto un tracciato di fecondità e serenità nei cui solchi il piccolo “seme di senape” trova tutta l’energia della meraviglia. Sul frontone del tempio di Apollo a Delfi era scritto: “Conosci te stesso” ed è questa onestà che ci porta a riconoscerci umani, con i nostri limiti e i nostri talenti. E’ la lealtà verso noi stessi, la chiave di volta per schiuderci a visioni ampie, con il battito cardiaco che sa incrociarsi col cuore degli altri e fare del pianeta un giardino di fiori colorati, dai petali di seta, frutto dell’ ASCOLTO, dell’accoglienza con braccia allargate, girotondo di fratelli con gli arti stesi e voci che all’unisono innalzano lodi, espressione di letizia per aver trovato nel “PerDono” lo stato di Grazia, in verità e giustizia: la Speranza del bene comune. Unità di palpiti di solidarietà che ci rinfrancano e dissolvono le paure, eliminano le divisioni tra popoli. La luce rischiara, riscalda e mostra il disegno del nostro pianeta come un giardino di aiuole che può rigenerarsi, risorgere dall’egoismo, dalla sopraffazione, nella complementarietà che ci fa gocce coese e compagni di strada sulla via di Damasco, in cammino verso dimensioni di gioia vera, quella che non separa ma guarda alla pace come condizione d’elevazione. Siamo tutti viandanti di Emmaus. Ho ascoltato una donna nata da padre Russo e madre Ucraina. La guerra dilania prima di tutto il cuore! Accanto vi era una coppia in lacrime, non hanno notizie dei loro cari e si sentono impotenti. La guerra interrompe le comunicazioni e lascia sgomenti, scava trincee e crea vuoti. La guerra avvelena e crea distanze. Ogni tipo di violenza non è mai la soluzione, la guerra non ci rende vincitori! Trasforma tutto in brandelli. Rende tutti dei vinti. Ci fa tutti perdenti davanti a un campo di dolore. L’odio covato ci rende feroci, incapaci di scorgere nell’altro l’umanità. Nessuno è un birillo da abbattere!

Ma i signori armatori si sfregano le mani, mentre i loro arsenali si svuotano.  Ogni bomba che esplode soddisfa la loro avidità!  I loro conti correnti lievitano. È un affare la guerra, un’operazione commerciale come tante altre! Per certuni la sofferenza dell’altro è effetto calcolato che non li tocca. Per chi ordisce piani di distruzione la guerra è normalità. Altri la definiscono una necessità per ristabilire equilibri. Il bisogno di dominio e superiorità li rende così miopi e convinti di essere nel giusto, tanto da credere di avere ogni ragione per rendere il pianeta una tabula rasa e, guai a chi li contraddice. Cercano ragioni nella gloria di un passato e si battono per ripristinare un ordine fondato sulle ombre ed elucubrazioni; si battono in nome di un qualche decreto divino o popolare, secondo il quale sono gli eletti investiti da mandati supremi che li pongono al di sopra del bene e del male, perciò tutti gli debbono obbedienza e muta sottomissione. La sofferenza non li tocca, sono sordi a ogni rombo, sono ciechi davanti alle immagini di chi ha perso tutto.  Parlano per portare a se stessi promettendo pace e prosperità. Sono abili oratori, abili manipolatori, venditori di fumo; riescono a mandare in prima linea gli altri ai quali sfugge il vero obiettivo di chi li manda a morire sui campi di papaveri. E intanto il vento soffia tra i rami spogli sui quali sono appese “Le Nostre Cetre”, spira sul desiderio di vendetta. La santa battaglia è con se stessi! La Santa battaglia è contro l’indifferenza, il credere nell’essere intoccabili. È difficile essere operatori di pace che si adoperano per la conciliazione tra parti avverse. Il male alberga in noi che siamo angeli e demoni, santi e peccatori. Ogni guerra divide, taglia in due i mantelli e ci rende miseri. Innalza muri, scava cunicoli dentro i quali ci sentiamo protetti, nei quali ci ripetiamo di essere la chiesa giusta, la razza giusta, l’ideologia giusta. Dove è finita la tavola rotonda della diversità? Sono sempre pochi coloro che fanno sentire il loro dissenso contro ogni violenza e troppi sono gli indifferenti. A volte mi sento un essere che coltiva l’Apparenza, mentre fuori, oltre il vetro che rende invisibile la separazione dal mondo offeso, dal fetore del mio sepolcro imbiancato, tutto scorre e io scarabocchio su pagine bianche. Questo è essere uomini? A volte mi chiedo quanto vi è del nostro desiderio di attenzioni dietro tante citazioni colte? Su tanta pochezza stendo un sudario pietoso, un velo sulla vanità.  E poi, come foglie strappate agli alberi piantati lungo il fiume mi giungono i versi dell’Upanisad: “Gli eruditi non sono saggi e i saggi non sono eruditi”. Abbiamo bisogno di semplicità, quella che si muove con rettitudine e non siede nei salotti fumosi d’élite. Per troppi la guerra è lontana, il dolore degli altri non tange. La pace si costruisce col dialogo, guardando lontano, guardando negli occhi l’altro; guardando ad un pianeta dove la cultura, la diversità sono la vera forza, la vera ricchezza.  Siamo tutti cittadini del mondo chiamati a promuovere la cultura della pace.

7 marzo 2022

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