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Pasquale Susca il fotografo vent’anni avanti

 

 

di Piero Fabris

Pasquale Susca, potrebbe essere definito un foto-documentarista, si avvicina con discrezione ai luoghi, alle persone senza invadere la scena, eppur con il paesaggio e l’umanità che meno appare entra in empatia senza essere invasivo.     Ha imparato a contemplare rimanendo sull’uscio delle vite degli altri senza scalpitare. Un testimone del nostro tempo, annota con la sua Fotocamera l’emozione di un attimo e con una sequenza di scatti racconta la realtà che scorre! Le sue foto in mostra al teatro Margherita accanto agli scatti di Daniele Nonotaristefano e Nicola Amato, dedicata a Ettore Scola durante il Bif&st sono riconoscibilissime. Sono passati oltre quarant’anni dalla mostra: “il visibile nascosto,” da quando, l’allora ventenne, passava al setaccio il territorio pugliese per coglierne i particolari di certi edifici o le ville in stile liberty, incredibilmente soffocate, peggio abbattute da un’epidemia di palazzi. Erano escursioni che lo vedevano accanto all’architetto Arturo Cucciolla, entusiasta nell’immortalare edifici, espressione di un essere e sentire, sensibile alla bellezza, al raffinato.  Il 1977 è l’inizio di collaborazioni con la pinacoteca Giaquinto di Bari, l’incontro con Pina Belli D’Elia è un input per progettare mostre che fossero l’espressione di un’epoca, ma la direttrice della pinacoteca aveva anche l’obbligo di allargare il bacino di utenze, perciò cercava lavori che avessero un impatto sull’inconscio collettivo, lavori di “noti” come quelli del settimanale tedesco STERN. La sensibilità di Pasquale è refrattaria alle visioni stereotipate della nostra regione e lì dove tutti la immaginano ammantata di bianco (la calce era usata per disinfettare le pareti esterne che divenivano riflettori di luce naturalmente), lui coglieva i muri colorati, espressione di status cambiato, del mutare della vita. Pasquale confessa di aver imparato tantissimo dall’arte pittorica, fin dalla preadolescenza osservava le immagini del Caravaggio, il Tiepolo e altri pittori; era folgorato dalle luci e dalle composizioni dei grandi artisti che, attraverso le loro opere sapevano schiudere le diottrie sulla profondità dei campi interiori, emozionando. L’incontro con Vito Quadrello dell’associazione CAMERA 2 e poi la FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) lo orbitano sulle scie della tecnica, ma il Susca è uno spirito libero, un uomo che non ama i perfezionismi; la macchina fotografica è il mezzo congeniale per non inciampare nella banalità e così, con i suoi scatti riesce a restituire all’osservatore quel che altrimenti non avrebbe colto. Ogni scatto è il frutto d’incontri, di sguardi allenati, pronti a coglier smorfie, sorrisi, a immortalare un gesto! Afferma: “Preferisco realizzare scatti legati a un tema. Aderire a un progetto significa studiare, arricchirsi”. I suoi lavori fotografici trovarono casa presso la galleria di Zina D’Innella. È su quelle pareti esose le foto degli ulivi. Esclama: “Sono piante che si portano  addosso la propria storia senza falso pudore. Essere tra gli ulivi era come trovarsi tra vecchi saggi”. E poi racconta delle giornate passate sulla murgia tra i pastori, alla ricerca di bambini ceduti a chi abitava le masserie in cambio di prodotti caseari. Pasquale, entrando in sintonia col paesaggio e la vita di quanti portano le greggi al pascolo, riuscì a immortalare il loro quotidiano ruvido e a mettere a nudo una realtà di sfruttati: “Murgia. Due giornate tra i pastori” è una mostra denuncia.  Per un attimo i suoi occhi si velano di nostalgia, cita Pio Schena e il gruppo di ricerca Fotografica (G.R. F.), comincia a parlare di muretti a secco e di come nacque l’idea di realizzare un documentario sulla pietra: La lavorazione della pietra dallo stato grezzo a quello raffinato. “Murgia. Due giornate tra i pastori” Quel lavoro dal titolo: “Oltre il Bianco” l’aveva particolarmente entusiasmato! Avevano lavorato insieme come squadra affiatata, per donare ai posteri fotogrammi di un ambiente e riflessioni sul travolgente mutamento che cambia le nostre visioni, in silenzio. Faceva parte della compagnia un giovane Videomaker, il quale un giorno si presentò a casa sua con una serie di vignette, una specie di storyboard, doveva realizzare un lavoro sulle edicole votive presenti in Bari vecchia, Pasquale Susca gli prestò la propria macchina fotografica. Il giovane Alessandro Piva davanti a quel gesto non nascose la perplessità e gli disse: “Noi non ci conosciamo, perché mi presta la sua macchina fotografica? Come può fidarsi di me?”. E il Susca rispose: “Dopo tanti anni che osservo ho imparato a distinguere chi ha gli occhi buoni”. Il Piva gli promise che se avrebbe realizzato un film l’avrebbe voluto come fotografo di scena. Mantenne la parola, quando girò: “La CapaGira (pellicola del 1999). Ma erano insieme, anche quando fecero un reportage sullo sbarco degli albanesi a Bari nel 1991. E ad un tratto un Flasch gli porta alla mente gli scatti fatti per: “Un Teatro Fa” del 2001 col quale mostrava aspetti del Petruzzelli per lo più inediti a tanti. Per realizzare il lavoro: “Braccianti” ci sono voluti circa otto anni. Raccontare con la luce, per Susca significa restituire agli altri i doni che le loro retine non hanno catturato; è aggiungere quel qualcosa in più alla coscienza distratta dal trambusto di tutti i giorni. “Fotografare vuol dire andare alla scoperta di mondi e modi di essere diversi da quelli immaginati” racconta il fotografo, il quale pensando al mercato cerealicolo di Altamura, citato dalle migliori guide turistiche, si aspettava di trovarsi davanti a bancarelle e sacchi di grano e, invece si trovò in una piazza tra gente ben vestita. Fece degli scatti, inconsueti per l’epoca, immortalò la gestualità piuttosto che i volti, seguendo il suo sentire.  Diverso era il reportage fotografico sui caporali algerini nel nord della Puglia, famosi perché rispetto ad altri pagavano meglio. Tutti ricordano Pasquale come il Maestro per aver insegnato all’accademia del cinema ragazzi di Enziteto. Quando lo invitarono non riuscì a dire di no, poteva essere un’occasione per togliere dalla cattiva strada tanti, un’occasione per valorizzare talenti, in fondo era questa l’intenzione di Pino Guario suo fondatore e direttore.  Il maestro ancora parla di quell’esperienza emozionandosi, rivedendo nella mente coloro che si sono affermati, senza dimenticare Angelo Ceglie e Silvio Maselli, l’Apulia Film Commission. È quasi mezzanotte, mi dice che è tardi, ho appena il tempo di chiedergli a cosa sta lavorando, mi risponde dicendo: “È un lavoro dedicato a tutti quelli che lavorano nel cinema e rimangono anonimi. Dalle sue parole intuisco che “Titoli di coda” è un disegno introspettivo che lentamente sta realizzando, osservando i muri con crepe e fessure, evocazione di rughe e cicatrici dell’umanità. Chissà? Mi colpisce la lentezza con cui si avvia, mi sembra di comprendere, almeno per un attimo, quel ‘non aver scattato’ per tanto tempo, Pasquale fotografa, prima di tutto mentalmente, i suoi clic non sono improvvisati, ma meditati. Mi tornano alla mente le sue parole: “La fotografia mi ha permesso di essere lì dove non avrei mai pensato potessi esserci”. Bisognerebbe fare in modo che tutti i suoi servizi fotografici fossero messi in mostra, nuovamente, immagino quante altre idee gli passano per la testa, ma rimangono chiuse nella scatola cranica, mentre la nostra presunzione, sempre pronta a schiacciare tasti non si ferma ad ascoltare, osservare veramente. Il nostro egocentrismo vuol essere presente in ogni luogo per vedere senza saper fermarsi e cogliere la profondità di un grandangolo o i contorni dell’esistere  di tanti, gli ultimi, quelli ai margini delle vite comode nell’evanescenza dei vicoli della memoria.

11 ottobre 2021

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