Sei qui
Home > Attualità > Intervista al Prof. Ennio Triggiani: “l’Italia sarebbe un nano senza rilievo priva dello scudo dell’euro”… “Unica e seria via d’uscita, costruire una realtà federale”

Intervista al Prof. Ennio Triggiani: “l’Italia sarebbe un nano senza rilievo priva dello scudo dell’euro”… “Unica e seria via d’uscita, costruire una realtà federale”

Francesco Guida

di Francesco Guida

Ennio Triggiani

Ho intervistato il Prof. Ennio Triggiani già Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche dell’UNIBA (Ordinario di Diritto dell’Unione Europea) e coordinatore scientifico dello Europe Direct.

Con questa intervista vorrei dare un quadro della situazione attuale Europea per schiarire le idee confuse di molti Italiani sull’argomento, distorte soprattutto dalla cattiva informazione o deformazione della realtà che causano solo più disordini in questo panorama pandemico.

L’intervista. 

1 In questo periodo di diffidenza verso l’ Europa anche a causa di molte fake news che girano nel web come ci si deve comportare per avere un informazione giusta?

Purtroppo, l’accanimento miope di alcune forze politiche nei confronti dell’integrazione europea scatena balordi tentativi di rendere la stessa responsabile di ogni problema che viviamo in Italia, ingannando colpevolmente i cittadini e non consentendo loro una partecipazione effettiva e consapevole alla discussione politica. Mi rendo conto che, se non si è in possesso delle necessarie formazione e informazione, ci si sperde nell’oceano delle notizie diffuse in particolare sul web. Occorre pertanto da un lato verificare la competenza e l’autorevolezza di chi diffonde una notizia; dato che non sono un medico non ritengo, per esempio, che un mio giudizio sul coronavirus possa essere considerato fondato. E poi esistono sia i siti ufficiali dell’Unione a partire da quelli delle relative istituzioni (Commissione, Parlamento, Consigli), tutti in italiano, e in particolare segnalo quello della Rappresentanza italiana della Commissione  e della rete degli Europe Direct a partire dallo Europe Direct Puglia.

 

2 Il MES ha causato una grossa polemica, cosa andrebbe a finanziare e quali saranno gli aiuti per quanto riguarda le imprese e le aziende in crisi Covid 19?

mes-cos-e-e-come-funziona-fondo-salva-stati-italia-europa-bei-sure-eurobond-recovery-fund-coronavirus-ultime-notizie-23-aprileA proposito del MES e di cattiva informazione, alcuni esponenti politici hanno aprioristicamente condannato il ricorso a tale fondo paventando l’arrivo della Troika (Commissione, Banca centrale e Fondo Monetario Internazionale) che, nell’accordo raggiunto, non è mai stata prevista. L’Italia, infatti, firmerebbe un Protocollo con la dettagliata disciplina delle relative modalità e si accorgerebbe certo dell’esistenza di eventuali trappole. E poi, i due organi del MES, Consiglio dei governatori e Consiglio d’amministrazione, ove volessero intervenire durante la gestione del prestito, dovrebbero decidere all’unanimità o, eccezionalmente, con un maggioranza qualificata dell’80% (85% se votazione d’urgenza) del capitale versato. Teniamo presente che la quota degli Stati del Sud corrisponde a più del 50% (per l’Italia il 17,91%) potendo pertanto facilmente bloccare qualsiasi proposta dei “Frugal Four” (Olanda, Austria, Svezia e Danimarca) e della Germania. In realtà le condizioni poste possono riguardare un programma di correzioni macroeconomiche, come verificatosi in Grecia in un quadro economico e sociale all’epoca profondamente diverso e con la attuale sospensione del Patto di stabilità; oggi, invece, l’unico vincolo posto è dato dalla destinazione d’uso delle spese sanitarie nell’ambito del “rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite” come indicato dall’art. 12 del Trattato MES. Ritengo che tale destinazione d’uso sia preziosissima per l’Italia, ora che finalmente ci accorgiamo quanto sia indispensabile avere un sistema sanitario efficiente. Naturalmente nessuno obbliga il nostro Paese a ricorrere al MES e verificheremo, al momento opportuno, il testo definitivo e le relative condizioni di accesso.

 

3 La Bonino è intervenuta pochi giorni fa in Parlamento gridando con fermezza più volte davanti al Presidente Conte “Le dovete finire di dire che l’Europa ci ha abbandonato!”,  che avrebbe risposto a tale proposito?

Emma Bonino
Emma Bonino

Va anzitutto premesso che la sanità non è una specifica competenza dell’Unione la quale non definisce le politiche sanitarie, né l’organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica. La sua azione, soprattutto secondo l’art. 168 TFUE, si limita a integrare le politiche nazionali e a sostenere la cooperazione tra gli Stati membri nel settore della sanità pubblica, in particolare nella “lotta contro i grandi flagelli, favorendo la ricerca sulle loro cause, la loro propagazione e la loro prevenzione, nonché l’informazione e l’educazione in materia sanitaria, nonché la sorveglianza, l’allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero” (par. 1); e si attribuisce a Parlamento europeo e Consiglio il, potere di “adottare misure di incentivazione per proteggere e migliorare la salute umana, in particolare per lottare contro i grandi flagelli che si propagano oltre frontiera, misure concernenti la sorveglianza, l’allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero” (par. 5). 

L’affermazione dell’on. Bonino è, dunque, fondata e, francamente, non capisco da dove potremmo attingere significative risorse finanziarie in assenza dell’Unione. In realtà, già la Banca Centrale Europea ha messo a disposizione, per ora, 750 miliardi di euro per l’acquisto di titoli di Stato dei quali 220 per l’Italia con il conseguente accesso facile e a basso costo al mercato finanziario, evitando l’innalzarsi incontrollato dello spread anche di fronte a giudizi immeritatamente severi come quello dell’Agenzia di rating Fitch. Inoltre, 100 miliardi sono la dotazione per il programma SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency) anti-disoccupazione, una sorta di cassa integrazione europea, 200 miliardi sono previsti a favore delle Piccole e Medie Imprese attraverso la Banca Europea degli Investimenti al quale si aggiunge l’intervento della Commissione attraverso i programmi COSME (Competitiveness Enterprises and Small Sized Enterprises) e Innovfin (EU Finance Innovator).

Nel complesso, viene mobilitato, per la prima volta, un rilevante pacchetto di oltre 1000 miliardi di euro. Ricordiamo, altresì, il recupero a nostro favore di 11 miliardi dei Fondi strutturali a rischio perdita, la citata sospensione del Patto di stabilità e quindi dei limiti di spesa derivanti dai parametri di Maastricht, il ridimensionamento del divieto degli aiuti di Stato e la flessibilità nella disciplina degli appalti pubblici.

Ma la lunga e vera battaglia da compiere sganciandoci dalla facile propaganda verterà soprattutto sull’entità del nuovo bilancio pluriennale (attualmente fissato ad un misero 1% del PIL europeo) e su di una nuova fiscalità comune. E qui il riferimento è all’adozione del “Recovery Fund”. Quest’ultimo risulta una vera “innovazione” in quanto consiste finalmente nella emissione di bond da parte della Commissione, utilizzando il meccanismo già impiegato per lo schema anti-disoccupazione SURE. Si tratta, in fondo, di una riformulazione dei famosi Euro o Corona Bonds con la differenza che essi si agganceranno direttamente sul bilancio pluriennale europeo il quale dovrebbe almeno raddoppiarsi rispetto all’attuale misero 1% del PIL europeo.

Ursula von der Leyen

I circa tre mila di miliardi nel complesso così attivati dovrebbero partire, in astratto, dal prossimo 2021 ma esiste ormai  l’accordo per l’individuazione di “soluzioni ponte” considerata l’urgenza ed evitare l’allungarsi dei tempi. Tuttavia, l’aspetto centrale di questo nuovo strumento consiste nella circostanza che, come precisato dalla Presidente della Commissione Von der Leyen, parte dei fondi in questione  sarà a fondo perduto e quindi senza alcun obbligo di restituzione. Se ciò, come si auspica, avvenisse e si concretizzasse in una buona percentuale degli stessi si raggiungerebbe un enorme risultato impensabile fino a pochissimo tempo fa.

 

 4 Che cosa sarebbe successo se l’Italia non fosse inserita nell’UE?

In un mondo globalizzato nel quale sono o saranno protagonisti solo Stati di dimensione “continentale (Stati Uniti, Cina, Russia, India, Brasile, …) l’Italia sarebbe un nano senza alcun rilievo né economico né politico a livello internazionale. E se fosse priva dello scudo dell’euro sarebbe travolta da inflazione e da miseria. L’alternativa, al limite, sarebbe quella di rivolgerci a Cina o Russia, diventando evidentemente vassalli di una delle due, rinunciando alla nostra realtà europea, a noi culturalmente omogenea della siamo co-protagonisti. Nella attuale crisi pandemica, poi, a fronte di un a enorme esigenza di liquidità parole al vento come “ce la faremo da soli”, che abbiamo spesso ascoltato, è di una palese idiozia anche per il più sprovveduto dei lettori. E così per quanto riguarda le varie modalità di prestito che dovrebbero assicurare a molti Stati l’indispensabile liquidità anzitutto va detto che i relativi tassi d’interesse praticati con le garanzie “comunitarie” sono oggi vicini allo zero mentre il ricorso individuale sarebbe progressivamente di gran lunga maggiore se solo si pensa all’inevitabile ampliarsi dello spread in una crisi priva del paracadute comune. Per di più, se ogni Stato dovesse procedere per contro proprio dovremmo considerare l’inevitabile affollamento del mercato finanziario, il quale comincerebbe ad operare le proprie scelte. Inoltre, è a tutti evidente che la stessa convenienza del prestito è oggettivamente legata al numero degli anni per i quali è prevista la restituzione. 

 

 

5 I Federalisti Europei sostengono che sia necessario fare gli Stati Uniti d’Europa. È un affermazione? Perché?      

Federalisti europei- 25 marzo 2017 marcia su Roma

Cerchiamo allora di essere precisi quando parliamo di Europa (o meglio, di Unione europea). Questa, va ricordato, è formata soprattutto dalle sue istituzioni politiche sovranazionali quali sono la Commissione ed il Parlamento. Accanto ad esse, tuttavia, si affiancano i due Consigli, quello europeo (e non “d’Europa”, che è altra organizzazione) formato dai Capi di Stato o di governo (e cioè dal vertice politico) e quello “dei ministri”, composto dai singoli responsabili dei dicasteri in funzione della loro competenza. Entrambe queste ultime istituzioni sono diretta espressione degli Stati nazionali e ne rappresentano i vari egoismi “sovranisti”.  Il problema è che, negli attuali equilibri istituzionali, per le decisioni più importanti, come il bilancio o l’attuale vicenda degli euro o corona bonds, i poteri sono in mano ai governi nazionali ed alla possibilità per ciascuno di essi (a partire da Malta e Lussemburgo) di porre il veto. E’ chiaro, quindi, che l’Europa vive la perenne contraddizione di una grandiosa realtà di integrazione e solidarietà sottoposta però al pesante condizionamento degli egoismi nazionali. E mi pare abbastanza singolare che da forze politiche  ideologicamente basate sul “sovranismo” ci si meravigli delle conseguenze prodotte sul funzionamento dell’Unione da parte degli altri “sovranismi”.

Il dio romano Giano Bifronte capace di vedere il passato e il futuro.

E’ giunto il momento di comprendere che l’unica via d’uscita dal pericoloso stallo in cui versa l’integrazione europea consiste nella eliminazione della caratteristica di “Giano bifronte” dell’attuale Unione. Si tratta di costruire una realtà meno contraddittoria e pienamente sintonizzata sulle ineludibili e improrogabili necessità della odierna società globalizzata. 

Di fronte al concerto, spesso stonato, espresso da una fragile Europa (o presunta tale) dominata dai governi nazionali, l’unica e seria via d’uscita sarebbe quella di pensare a costruire una realtà federale con gli Stati disponibili, partendo probabilmente dalla spinta di quelli del Sud. E va sempre ricordato che ciò non significherebbe affatto la perdita delle propria identità nazionale e culturale quanto il necessario accentramento solo di alcune politiche quali esteri, difesa,  economia e fisco, ambiente, crisi sanitarie in un’ottica, appunto, di organizzazione federale dello Stato.

Certamente molti, limitandosi a fotografare l’attuale situazione, potrebbero legittimamente dire che si tratta di un’ipotesi del tutto irrealistica. Ma, se è vero che saremo a breve di fronte ad una sorta di “dopoguerra” chi avrebbe mai potuto pensare alla nascita delle Comunità europee sulle ceneri del secondo conflitto mondiale? A me pare che in una gara di realismo la creazione, fra chi ci sta, degli Stati Uniti d’Europa, in linea con la indispensabile necessità di governo della globalizzazione, non possa che prevalere rispetto all’idea sempre meno sostenibile dello “stare da soli”. Il 9 maggio 2020 si celebrano i 70 anni della Dichiarazione Schuman che ha dato il via al processo d’integrazione europea. In quell’occasione popoli e governi di 6 Stati scrissero la storia, utilizzando opportuni “sforzi creativi” indicati dal Ministro degli esteri francese. Riusciranno i popoli e i governi degli attuali 27 Paesi (o alcuni di essi) a scriverla nuovamente?

05 maggio 2020

 

Lascia un commento

Top