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PARTITA LA FICTION “SOTTO COPERTURA”: RAI UNO CERCA ASCOLTI TRA LA DENUNCIA SOCIALE E L’ ASTUZIA DI UNA SCENEGGIATURA RUFFIANA

Claudio Gioè è un commissario rigoroso e dalla recitazione a scatti; Guido Caprino un boss Iovine  tra Rossi Stuart e Sergio Assisi, forse troppo affascinante 
di ROMOLO RICAPITO
 
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Claudio Gioé

E’ partita la fiction “Sotto Copertura“, due puntate su Rai Uno.

Preceduta da un ampio battage pubblicitario con spot sulla stessa rete e partecipazioni dei protagonisti alle varie trasmissioni, “Sotto Copertura” vede la  presenza  di Claudio Gioè nei panni del commissario Romano e di Guido Caprino nel ruolo del boss dei Casalesi Antonio Iovine.
Altri interpreti sono Filippo Scicchitano, volto finora prettamente cinematografico (“Scialla“, “Bianca Come il Latte, Rossa Come il Sangue“) e Simone Montedoro. Nel cast  anche Iaia Fiastri nel ruolo della Procuratrice.
La regia è di Giulio Manfredonia, la produzione di Luca Bernabei per Lux Vide.
Claudio Gioè è un ispettore di polizia dal volto umano e dalla recitazione concitata, naturalistica.
Antonio Iovine nell’interpretazione di Guido Caprino è rappresentato come un uomo affascinante e  carismatico, nonostante l’empietà di fondo: un misto tra Kim Rossi Stuart e Sergio Assisi.
Come scritto anche dal Fatto Quotidiano del 2 novembre, l’ex boss  Iovine tramite l’avvocatessa Valeria Maffei si è opposto alla fiction: dopo l’arresto ha cambiato vita, ma dalla narrazione filmica ciò  non emergerebbe , quindi il suo assistito appare col vero nome ma gli  altri protagonisti reali  con identità falsate.
In effetti, Il commissario Vittorio Pisani che si occupò dell’arresto di Iovine nel 2010 (dopo ben 15 anni di latitanza) assume nella miniserie il nome di Michele Romano.
Ma vediamo adesso i contenuti della prima puntata.
E’ evidente che le indagini, come si desume dal contenuto,  si scontrarono  con una  burocrazia garantista che permise  a un pericoloso  latitante di sopravvivere tanto tempo a piede libero.
Ma i protagonisti della cronaca non possono e non devono essere solo i cattivi, o gli agenti, ma anche le vedove degli stessi agenti uccisi, alle quali si accenna.
La rappresentazione della fiction evidenzia il lavoro di copertura che occulta  l’identità della donna del boss, una giovane estetista, ma anche le varie altre coperture alle quali   i poliziotti scelti  devono necessariamente  ricorrere per espletare le loro indagini.
Ma esiste  poi  un sottobosco di lavoratori clandestini, anche cinesi, ai quali la narrazione accenna.
La fiction di Manfredonia esplora l’arretratezza culturale di Casal di Principe nel casertano (omertà, violenza gratuita) in stile cinema anni Settanta con la descrizione di interni  sciatti, siano essi caserme delle forze dell’ordine o abitazioni civili.
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Il limite è costituito da un prodotto troppo televisivo come stile e impostazione e troppo poco cinematografico come avrebbe invece  necessitato.
Assistiamo a un “telefilm”  che narra vicende dell’altro ieri, ma più che un ritratto d’epoca recente assomiglia a materiale già d’archivio , in pratica un’operazione anacronistica che sa di mestiere e assai poco ha di  artistico.
La scelta  della produzione   mira quindi non alla sopravvivenza del prodotto nel tempo, ma ad         ascolti sicuri e quasi scontati  .
Per forza di cose “Sotto copertura” si trasforma allora  in una fiction quasi sentimentale : la donna del boss pronta a innamorarsi del fidanzato  farlocco,   voluto dallo  stesso boss, la figlia del commissario già in età da  marito e  costui  potrebbe   magari essere uno degli  agenti affiliati al padre, la vita privata dei poliziotti, qualcuno con un divorzio alle spalle e moglie refrattaria nel far visitare   i pargoli a colui che la cornificò.
Si può vedere, ma non si deve  attribuire almeno alla prima parte una valenza  di grande contenuto   o solo esclusivamente di denuncia: si  sfruttano  i luoghi comuni  televisivi per creare empatia con  scarsa abilità  e  scontati risultati.

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