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Lingua Matrigna. La vera storia della scrittrice ungherese Agota Kristof in un nuovo lavoro di Marinella Anaclerio

 

di Romolo Ricapito       

 

Presso il Piccolo Teatro di Bari “Eugenio D’Attoma” è stato presentato il 18 e 19 novembre il monologo “Lingua Matrigna” tratto dal racconto autobiografico di Agota Kristof “L’Analfabeta”.

Interpretato da Patrizia Labianca nel ruolo della Kristof, questo lavoro per la regia di Mariella Anaclerio ( basato su un suo  progetto esclusivo ) tenta di esplorare l’intimo della scrittrice ungherese, naturalizzata svizzera, che adoperò la lingua francese per produrre narrativa.

Ma il francese è appunto la “lingua matrigna”, quella che la scrittrice è costretta ad apprendere forzatamente dopo la fuga dal paese natale, causa l’invasione dei carri armati sovietici che intendono sopraffare le rivolte popolari nate spontaneamente per arginare lo strapotere dei russi. E’ il 1956.

La scena propone un interno con televisore, libri sparsi sul pavimento ricoperto però interamente da fogli di giornale, un pouf .

Rannicchiata per il freddo, l’interprete elabora il concetto di casa, rappresentato dal suo villaggio ungherese privo di strutture e comodità e nel quale il padre svolge l’attività di maestro, come unico docente del luogo.

Il monologo vuole ricreare un mondo perduto, certo scomodo e “antico”, ma che costituisce per la Kristof un paragone nostalgico e irrinunciabile rispetto alle successive e forzate trasferte in terra straniera.

Patrizia Labianca

L’attrice Patrizia Labianca riesce a mantenere per tutta la durata della pièce un accento straniero frutto di allenamento e studio, ma particolarmente riuscito, tanto da fare pensare al pubblico che l’interprete non sia realmente italiana.

Le descrizioni dettagliate di situazioni e personaggi che risalgono all’infanzia, o alla prima giovinezza diventano un vissuto universale, ovvero una testimonianza che ognuno può rapportare almeno in qualcosa a sé stesso, ma c’è molto humour nell’interpretazione .

Nel descrivere il   collegio dove viene rinchiusa a 14 anni la cifra interpretativa della Labianca e della regista Anaclerio prende definitivamente la strada dell’autoironia.

Va detto che il racconto della scrittrice “rappresentata” è rivolto interamente a un mini-registratore, di quelli portatili.
Il cambio delle cassette di tale registratore intenderebbe creare una sorta di suddivisione in capitoli del testo originale.

La condizione economica in forte peggioramento della famiglia è descritta col lavoro di operaia della madre all’interno di uno scalcinato scantinato dove riempie contenitori industriali   con  del veleno per topi.

L’incomunicabilità tra figlia e madre sorge appunto dalla stanchezza della donna matura, incapace ormai di sopperire alle richieste affettive ed economiche  (queste ultime decisamente minime)  della ragazzina.
L’educazione nella scuola-collegio comprende l’apprendimento di varie materie, tra le quali il tedesco e il russo.
La Kristof le impara ma non è in grado di padroneggiarle, come sarà per il francese in seguito.
La morte di Stalin segna uno spartiacque nella vicenda : essa rappresenta un lutto nazionale ma secondariamente si avverte il disagio dato dalla menzogna dell’ideologia comunista  testimoniato   dalle  tante vittime dello stalinismo.

La vita in terra straniera, sul suolo svizzero, costituisce il corpo della rappresentazione e dell’opera stessa da cui l’adattamento teatrale    è tratto. L’esodo in Svizzera a Neuchatel costituisce una realtà da profughi nella quale confluisce l’identità dei profughi di tutte le guerre, passate, attuali e future.

In pratica lo status dei “rifugiati” è universale, a tutte le latitudini. Dunque l’epopea della scrittrice ungherese rappresenta lo straniamento derivante dall’essere trascinati da situazioni estreme in altre realtà, perdendo o rischiando di perdere la propria identità, che deve forzatamente confrontarsi con una cultura diversa, ma anche una lingua sconosciuta che in quanto imposta dalla situazione diventa più difficile nell’apprendimento e dunque “matrigna”.

L’attrice principale nel ringraziare    per i   numerosi applausi ricevuti   ha salutato gli astanti per conto della regista Marinella Anaclerio, assente per motivi di lavoro a Milano.

Questa replica di “Lingua Matrigna” è appena la quarta e trattasi di uno spettacolo della Compagnia del Sole. La voce del narratore è di Flavio Albanese. La recitazione riesce a introdurre lo spettatore all’interno del dramma della Kristof, anche se personalmente avrei preferito accenti più drammatici almeno in certi passaggi, invece a volte sembra di assistere quasi a un testo umoristico, o da commedia d’intrattenimento.

 

One thought on “Lingua Matrigna. La vera storia della scrittrice ungherese Agota Kristof in un nuovo lavoro di Marinella Anaclerio

  1. Grazie per il bell’articolo, e per quanto riguarda l’ironia in realtà abbiamo molto faticato proprio ottenerla. Lei destava sentimentalismi ( attento non sentimenti) e seriosità. Amava molto l’ironia noir. Abbiamo tagliato un pezzo in cui lei parlava del suo scrittore preferito che era Thomas Bernhard..lei lo amava perché lo trovava divertente…Ora se hai letto Bernhard ti starai chiedendo in cosa lo era…Ma lei lo trovava divertente perché amaro e paradossale. Ecco noi abbiamo ricercato quel tono, quel ridere per non darla vinta alle lacrime, quel ridere di chi difronte alle difficoltà provoca il destino con una risata…amara.

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