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Vito Palmisani l’ irrequieto ecclettico

di Piero Fabris

Idealista barese dai molteplici interessi, intervistato da Piero Fabris, vive fra Roma e Bari, ha l’arte nel sangue e per lui la fotografia è ricerca per esaltare “l’attimo fuggente”

Vito Palmisani è seduto al Pub. Ha terminato il suo caffè e sembra perso nella lettura dei fondi della tazzina. Attende. Il profumo della bevanda aromatica è avvolgente, danza con le note di sottofondo del coffee-corner vicino alla città universitaria. Prendo posto, appoggio il quadernetto d’appunti e subito ho la sensazione di volteggiare su orbite concentriche di anime diverse dell’uomo dai capelli bianchi che mi è di fronte. Mi ritrovo in frame di una bobina surreale, immagini, inquadrature evocano un passato di atmosfere intense che si innescano in un presente di consapevolezza che guarda al futuro con sfumature disincantate.  Annoto: Architetto, Giornalista Pubblicista, Fotoreporter dai molteplici interessi. In lui la fotografia è ricerca delle migliori esposizioni della luce per esaltare l’attimo fuggente e, il teatro, la commedia musicale, il cinema si intrecciano con quella creatività particolare capace di valorizzare forme e spazi. 

opera
opera di Vito Palmisani

Con le sue lenti e una smorfia disincantata, mimetizza il prisma dei suoi interessi, la curiosità verso il mondo che ritrae, investiga, descrive, in una parola esplora, osserva, rielabora e custodisce. Riservata creatività schiude a luoghi del cinema, a palcoscenici del teatro di una Roma effervescente dove “l’idea” era il motore della rappresentazione; dove lo spettacolo è inteso come dimensione del confronto per mettere a fuoco i contenuti. Solo per un attimo un uomo, quell’uomo canuto mi mostra una foto che lo ritrae giovanissimo e forse idealista, orgoglioso di essere stato protagonista di movimenti studenteschi della metà degli anni sessanta, Giovanissimo lasciò Bari per andare a studiare nella città eterna dove i protagonisti della Cultura non erano stelle da guardare dal basso, ma persone che percorrevano i viali della “Sapienza” o il Lungotevere della Vittoria, pronti al dialogo intelligente. Un’anima inquieta quella di Vito Palmisani che sembra fare il saltimbanco tra la capitale e la città natale alla ricerca della sua strada saltellando tra facoltà d’architettura e medicina, l’accademia di belle arti e magari un ritorno al primo amore dove le strade con l’architetto, politico e drammaturgo Renato Nicolini convergono in una ricerca estetica, drammaturgica e visione del fare cinema.  Mi dice: “Quando ero a Roma ebbi modo di conoscere Alberto Moravia” Gli chiedo, tornando sulla terra: “Chi? Intendi l’autore de Gli indifferenti, La Ciociara, Il conformista, e tanto altro ancora?” E comincio a fare un elenco di titoli dello scrittore finché lui, riprende il racconto con parole asciutte e toni distaccati come se tutto sia sempre e solo frutto di uno scherzo del fato o più semplicemente causa delle strane combinazioni dettate dal caso.

Lo scrittore cercava un architetto che potesse ristrutturare e arredare una mansarda e la sorella pittrice Adriana Pincherle coniuge del pittore Onofrio Martinelli, nato a Mola di Bari, fece il suo nome (pare che a quel tempo ci fosse una temporanea parentela tra una giovane Martinelli e il fratello della compagna di Palmisani).  Per lo studio e i salotti di casa Moravia passavano personaggi come: Enzo Siciliano, Dacia Maraini, Nanni Loy, Annabella Cerliani, Carmen Llera (divenuta poi la coniuge dell’intellettuale) e Pierpaolo Pasolini col quale Moravia non fosse proprio in sintonia d’opinioni, ma quegli anni, intendo erano ferventi, erano gli anni in cui Carlo Giulio Argan era sindaco di Roma, quando furoreggiava “L’Estate Romana” e la Cultura con la “C” maiuscola era portata e assorbita dalle periferie. Sono gli anni in cui il PCI discuteva sulla propria identità e incisività sociale! E, il Film di Francesco (Citto) Maselli, “Lettera aperta a un giornale della sera”(Italia 1970), nel quale Palmisani compare nella sequenza ‘la riunione’ dove canta Giovanna Marini, era un’opera che offriva spunti di riflessioni dove un gruppo di intellettuali di sinistra, convocati da un architetto (interpretato da Nanni Loy), un po’ per noia, un po’ per provocazione, decidono di scrivere una lettera a un giornale fingendo di volersi arruolare per andare a combattere in Vietnam. Vito Palmisani ha un talento naturale per il disegno, non mi meraviglia la sua passione per il disegno dal vero, il realizzare storyboard per le commedie musicali e subito il suo sguardo corre alla “Compagnia del Fauno”, con la quale come Direttore Artistico ha realizzato il musical “Vacanze Romane” a Pino Petrosillo, a Rossella Antonacci, a Ivan Dell’Edera, a Barbara Grilli oggi sodale con l’autore Giovanni Gentile, poi a Mariella Lippo e Maria Passaro abili Donne con la Loro “Artemisia”, come a un bagaglio di emozioni, all’esperienza del RI-CREARE, da un’idea di Florisa Sciannamea, con Angela Grassi dove costumi e disegni per i tessuti sono salti pindarici ed equilibri come quelli di Elisa Barrucchieri  con la quale ha collaborato. Da un tutto tondo di interessi, emerge quello per il sociale e le sue lenti si focalizzano sul terremoto dell’Aquila, a quell’idea di realizzare con dodici “modelle” e dodici “fotografi” il Calendario 2017 i cui proventi andarono alla Croce Rossa in aiuto dei terremotati dell’Aquila. Settantasei anni di vita intensa sono evocati pindaricamente e si finisce a parlare di quando disegnava tessuti per Riva, Lancetti e Galitzie. Le diottrie si schiudono sui servizi fotogiornalistici pensati per le riviste di moda Amica, Vogue Italia e i ricordi dei Set fotografici dove la magia delle luci studiate conquistava lo stilista Heinz Riva o il fotografo David Bailey sono spirali per i tempi in cui si occupava del casting di modelle indossatrici. Il suo estro riesce a essere vettore per collaborazioni con personalità come quella dell’arch. Loreto Zaccagni detto Bibbi, oppure con l’arch. Franco Maroni, per i tre anni passati in Valnerina in Umbria per i Piani Particolareggiati e i Piani di Recupero delle zone terremotate. Sorride pensando ai dodici film dove è presente o a collaborato ed ecco che spuntano titoli come “Controra – House of Shadows” di Rossella De Venuto (Italia 2014); “Buona Giornata” di Carlo Vanzina (Italia 2012); “Cento metri dal Paradiso” di Raffaele Verzillo (Italia 2012) o, tornando indietro a “Polvere di stelle” di Alberto Sordi (Italia 1973), “Allonsanfàn” dei F.lli Taviani (Italia 1974), “Novecento” di Bernardo Bertolucci (Italia 1976), o come aiuto costumista di Renato Ventura nel film “L’ultima Donna” di Marco Ferreri (Italia 1976). Ci salutiamo parlando del suo viaggio in Brasile, Costarica, Perù, Cile, quando ha lavorato per la Union Camere nell’allestimento degli  STAND del Sudamerica nelle Fiere Campionarie, del viaggio libero con la figlia nel Nord America, da costa a costa e ritorno, della sua partecipazione a due Maratone di New York.

MI racconta dei reportage fotografici dei Festival del Cinema di Venezia, Torino, Taormina, Roma e Bari con il suo “Bif&st, e la sua l’attività con il “Museo della Fotografia” del Politecnico di Bari e la “Associazione Fotografi di Strada Bari” con l’organizzazione di eventi, mostre fotografiche, presentazione di libri, rassegne cinematografiche. Prima di congedarci e andare per le nostre strade, mi dice: “Non dimenticarti di Marcello Carrozzo che per me fu un carissimo amico. Marcello vinse per due volte il “Premio Michele Campione”, un fotoreporter come pochi che non usava lo ‘zoom’ per fotografare ma un semplice obiettivo da cinquanta per avvicinarsi il più possibile al soggetto che lo interessava con lo scopo di conoscere, farsi conoscere ed apprezzare. Vedi, la fotografia per noi era uno strumento per avvicinare non per separare”.    

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