Intervista all’artista italiana di discendenza armena Giorgia Ohanesian Nardin Cultura Spettacolo 9 Dicembre 20249 Dicembre 2024 di M. Siranush Quarantafoto concesse da Iman Salem Giorgia Ohanesian Nardin è stata ospite a Bari nell’ambito del Bari International Gender Festival (BIG), giunto alla decima edizione, con il suo lavoro premonition. Artista italiana di origine Armena, Giorgia pratica nei contesti della danza e della performance dal vivo; dal 2018 tiene regolarmente Pleasure body, uno spazio di facilitazione a pratiche e conversazioni legate al piacere e al riposo, mettendo in discussione il linguaggio attorno al lavoro di cura. Nel suo ultimo lavoro l’artista disegna e assomma parole, movimento e panorama sonoro. premonition è il riadattamento del lavoro Anahit, la divinità armena che sta a protezione dell’acqua e di tutte le creature fluide (identificata come la Dea Madre). Nel testo del lavoro si dice: “premonizione, mi interessa muovere il tempo / non c’è predizione / la danza è divinazione e le parole sono perimetri / Non mi piace il verbo “evocare” ma / atterra qui / quando ballo so come ascoltare / danza e scrittura sono sorelle / ora capisco che mi interessa pensare alla danza come forma di divinazione perché è in questa forma di conoscenza che mi è permesso percepire, vibrare, quando l’attrito e il contesto abbassano la voce e avviene un impercettibile ricongiungimento. / C’è una forma di affidamento nella premonizione, io guardo ai fantasmi senza paura”. premonition celebra la relazione tra sedimenti e detriti, geografie inscritte nel corpo e guarda la vibrazione come metodo, legando la ricerca iniziale al lavoro di ri-narrazione delle geografie somatiche che conduce da anni. premonition nasce per essere eseguito in spazi all’aperto o non teatrali, ed infatti a Bari è stato ospitato presso la sala dello Spazio Murat, in piazza del Ferrarese. Abbiamo intervistato Giorgia Ohanesian Nardin sul suo lavoro e sulle sue origini Armene. – Come nasce l’idea di proporre questo tipo di spettacolo e cosa, secondo lei, è in grado maggiormente di esprimere e trasmettere sensazioni al pubblico facendolo sentire coinvolto e attento, in quanto il lavoro è diviso in due parti, quello della danza e delle sonorità e quello parlato? In questo momento mi sto occupando di ritrovare una dimensione antica della performance live, non tanto dal punto di vista del contenuto quanto delle modalità con cui ciò avviene. Ho molto rispetto per il pubblico, per chi sceglie di portare il proprio corpo in uno spazio per respirare qualcosa dal vivo, e penso che accada qualcosa di molto arcaico e profondo quando si instaura questo specifico modo di stare insieme. Sento che rispetto al modo in cui sto lavorando, mi interessa dare dignità e risonanza a questo momento, e penso che la danza sia in qualche modo l’archetipo più evidente e chiaro di questo processo, perché è assolutamente effimera, perché accade nel momento in cui esiste e poi non c’è più. Rispetto al lavoro mi rapporto tendenzialmente solo attraverso l’improvvisazione del movimento; quindi, pochissime cose in scena sono fissate e tutto nasce da una modalità di esperienza del corpo che ha molto a che fare con quel momento che viviamo tutti insieme facendolo trasparire ed emergere. – Anche la scrittura riveste un ruolo importante (durante la performance le parole usate hanno coinvolto emozionalmente il pubblico, facendolo ritrovare e determinando una sorta di catarsi): come vi si rapporta? Mi relaziono alla scrittura in maniera molto simile a come mi relaziono alla danza, nel senso che le cose che scrivo spesso nascono da un processo immersivo legato al linguaggio: quindi non scrivo per temi, per topic o per idee, perché per me la scrittura è un processo assolutamente fisico e somatico, scrivo infatti solo o prevalentemente a penna. In qualche modo per me scrivere segue un processo simile a quello della danza o al modo in cui io riesco a immaginare di capire e percepire il modo in cui danzo. – Ad un certo punto di premonition viene citato il Genocidio e lei racconta delle lettere nascoste del bisnonno. I due eventi sono correlati? Questa delle lettere è una cosa che mi è stata raccontata da mia madre, in realtà non ho conosciuto il mio bisnonno armeno, che era un sarto. Cuciva le divise dei soldati e come gesto di cura inseriva all’interno dei taschini delle giacche delle poesie o delle preghiere e le mandava come regalo, come sorpresa. Questo è il ricordo che mia madre mi ha passato. Di questi messaggi nulla è sopravvissuto: è’ rimasta una lettera da lei ritrovata con tutta una serie di riflessioni e memorie, che mia madre parzialmente mi ha letto, ma è una parte troppo privata e personale da includere in un lavoro. – Ora sta lavorando a qualcosa di nuovo? Sto lavorando ad una produzione nuova che debutterà a luglio del ’25. Credo che in qualche modo riprenderà tanti dei temi della mia ricerca svolta fino a questo punto. Molti dei testi li ho scritti nell’ultimo anno, mentre collettivamente assistiamo ad un genocidio ancora in corso. Oggi siamo veramente chiamate a stare nei nostri corpi in un modo in cui non siamo state finora, almeno nella nostra esperienza di vita. Sento che quello che mi interessa fare, e che un po’ stavo già facendo, è di rendermi facilitatrice di processi di rilascio e di lutto, in questo momento in cui tantissime cose stanno tornando alla terra. Sento di potermi e volermi affidare a questo tipo di energia per costruire qualcosa di trasformativo e di generativo, e di non continuare a ripetere ciclicamente a loop gli stessi meccanismi che ci hanno distrutte. Dentro di me è molto chiaro che sono figlia dello stesso processo che sto vedendo messo in atto di fronte ai miei occhi, cioè che la ragione per cui io sono qui in questo momento, la ragione per cui proprio le cellule che mi compongono sono qui in questo momento è culturale, storica e politica, in una serie di eventi che si stanno ripetendo ciclicamente. E quindi voglio avere molta cura anche della mia posizione in questo momento, del ruolo che posso avere nel fare in modo che le cose possano essere diversamente, anche in un modo molto piccolo perché non penso che l’arte salverà il mondo; quello che accade però ci deve spingere a stare nei corpi in un modo diverso, cominciare a guardare al modo in cui le energie che mettiamo in atto hanno risonanza anche su larga scala. E questo per me è molto importante. – È mai andata in Armenia? Sono stata in Armenia due volte: la prima a 24 anni; l’ultima nel 2019 in agosto, e ho creato, in collaborazione con F. De Isabella, il film “gisher /Գիշեր”, che in armeno indica la “notte” (un video dove le immagini che si susseguono apparentemente senza un ordine interagiscono con le parole, suoni, musiche portano lo spettatore a doversi orientare, a riflettere sul dolore, sulla sindrome dell’impostore come eredità, sul termine “noi”. Il lavoro risponde al desiderio di dare spazio alla complessità, alla moltiplicazione e allo scomporsi di direzione e movimenti). Non ci resta che attendere il prossimo lavoro di Giorgia Ohanesian Nardin e il suo ritorno a Bari. Biografia Giorgia Ohanesian Nardin è un’artista italiana di discendenza Armena, che pratica nei contesti della danza e della performance dal vivo. Formatasi nella danza, il suo lavoro si manifesta in movimento video – testo – coreografia – suono – raduni e tratta della relazione tra danza, divinazione e scrittura; della geografia e dell’opposto di appartenere; del fetish per il linguaggio, le sue politiche e i suoi numerosi attriti. Avvia la propria pratica artistica nel 2010 in collaborazione con Marco D’Agostin e Francesca Foscarini, con cui fonda l’Associazione Culturale VAN (2014). Dal 2018 tiene regolarmente Pleasure Body, spazio di facilitazione a pratiche e conversazioni legate al piacere e al riposo, mettendo in discussione il linguaggio attorno al lavoro di cura e ponendosi come spazio di messa in discussione di parole come benessere, salute, guarigione. Giorgia mantiene una pratica di pensiero e scrittura con l’artista con base londinese Jamila Johnson Small, con cui ha curato una serie di eventi di riflessione e critica sulla relazione tra soggettività subalterne e istituzioni culturali. I suoi lavori: Youth (2014), Celebration (2014), All dressed up with nowhere to go (2014), Season (2016), Sabat Mater (2016), L’après-midi d’un faune. Resilienza (2017), Minor place (2017), Pleasure body- workshop (2018), Something to meet the night with (installation-2019), gisher/Գիշեր (2020), premonition (2023), Anahit (2023).