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Manouchian, partigiano armeno per la lotta di liberazione francese

Macron accoglie i Manouchian nel Panthéon
Maria Silvia Quaranta

di M. Siranush Quaranta

Il 21 febbraio 2024, un pomeriggio piovoso e freddo, è stato un giorno storico sia per la Francia che per l’Armenia: Missak Manouchian ha trovato riposo nel Panthéon, assieme alla moglie Mélinée, come riconoscimento ad un francese non per nascita, ma per sangue versato.

Missak Manouchian e Mélinée Assadourian

Il sacrificio del partigiano armeno testimonia la lotta di tanti uomini e donne di provenienze diverse, per la liberazione e la libertà, com’è accaduto per i 23 uomini fucilati a Fort Mont- Valérien, a ovest di Parigi, il 21 febbraio 1944.
Risulta che circa 100.000 armeni si siano arruolati sotto le bandiere degli alleati, soprattutto in Francia. Migliaia di loro avevano già servito durante la Prima guerra mondiale, in terra francese, ma anche in Medio Oriente nella regione armena.
L’elenco sarebbe lungo, ma ricordiamo alcuni armeni coinvolti nella resistenza come la famiglia di Charles Aznavour, la poetessa Louise Aslanian morta a Ravensbrück, la combattente Louisette Hovanessian-Texier e una delle prime donne pilota da corsa, Anita Conti prima donna oceanografa e prima donna soldato a bordo delle navi della Marina francese nel 1940.
Missak Manouchian, intellettuale e poeta, rifugiatosi in Francia dopo essere sopravvissuto al genocidio armeno, fu giustiziato nel 1944 per essere stato il leader della resistenza all’occupazione nazista.

Cerimonia di traslazione dei Manouchian
Cerimonia di traslazione dei Manouchian

Durante la cerimonia di traslazione nel Mausoleo del Panthéon, dove si trovano gli altri eroi nazionali francesi, il presidente Emmanuel Macron, alla presenza del primo ministro armeno Nikol Pashinyan, ha elogiato “l’amore per la Francia fino al punto di dare la vita” di Manoukian a ottant’anni esatti dalla sua esecuzione.

“Mi sono unito all’esercito di liberazione come volontario e muoio a pochi centimetri dalla vittoria e dall’obiettivo finale. Auguro felicità a tutti coloro che sopravviveranno e assaporeranno la dolcezza della libertà e della pace di domani. Ne sono sicuro, il popolo francese e tutti coloro che lottano per la libertà sapranno onorare con dignità la nostra memoria”, scriveva Missak nella sua ultima lettera, in cui esprimeva la speranza che il suo paese adottivo non dimenticasse il suo sacrificio. E ottant’anni dopo il suo desiderio è stato esaudito. Egli incarna i valori universali di libertà, uguaglianza e fraternità che ha difeso per la patria di adozione. Si tratta del primo combattente della Resistenza straniera ad entrare nel Panthéon. 
Nato nel 1906 perse a 9 anni entrambi i genitori durante il genocidio armeno del 1915. Accolto in un orfanotrofio francofono in Libano scopre l’amore per la letteratura francese. Nel 1924 arriva a Parigi assieme a suo fratello Garabed e inizia a lavorare presso gli stabilimenti Citroёn. Ha frequentato da uditore corsi alla Sorbona, traducendo le poesie dei grandi autori francesi in armeno. Unendosi al partito Comunista Francese (PCF) incontra sua moglie Mélinée Assadourian.

Durante la Seconda guerra mondiale decide di arruolarsi nell’esercito francese, e dopo l’armistizio del giugno 1940 riprende le sue attività militanti venendo internato dai tedeschi in un campo di deportazione. Liberato nel 1943 si unisce ai Francs-tireurs et partisans de la Main-d’oeuvre immigrée (Ftp-Moi), un’ala di combattenti della resistenza composta principalmente da stranieri. Il “gruppo Manouchian” era molto numeroso, e tra i 23 suoi compagni che troveranno la morte militano 5 italiani (Spartaco Fontanot, Rino Della Negra, Cesare Luccarini, Antoine Salvadori, Amedeo Usseglio), spagnoli, polacchi, ungheresi, francesi e un altro armeno Armenak Arpen Manoukian. Dopo essere stati braccati per i loro audaci attacchi e l’uccisione del generale delle SS Julius Ritter, essi vengono arrestati il 16 novembre 1943 dalla polizia francese sotto il regime Vichy, torturati e consegnati ai tedeschi.

L'Affiche rouge
L’Affiche rouge (manifesto rosso)

Dopo un processo farsa viene stampato il “Manifesto rosso” (l’affiche rouge) con i volti di 10 combattenti per denunciare un “esercito criminale” di stranieri ma ottenendo l’effetto opposto e trasformandoli in eroi. Essi saranno consacrati dal poeta Louis Aragon nel 1955 e dal musicista Leò Ferré nel 1961.
Il 21 febbraio 1944 Manouchian e 21 dei suoi compagni vengono giustiziati a Fort Mont-Valérien. L’unica donna del gruppo, Olga Bancic, viene trasferita in Germania e decapitata dopo poche settimane.

È famosa l’ultima lettera che Manouchian scrive alla moglie due ore prima di morire fucilato e letta durante la serata: “Ho un rammarico profondo, ed è quello di non averti reso felice; mi sarebbe piaciuto tanto avere un figlio da te, come hai sempre desiderato. Perciò ti prego di sposarti dopo la guerra e di avere un figlio, esaudisci il mio ultimo desiderio, sposa qualcuno che possa renderti felice”. Dopo la liberazione di Parigi del 1944, Mélinée si salva trovando rifugio presso la madre del cantante Charles Aznavour e rende pubblica questa lettera; non si è mai risposata né ha avuto figli, rimanendo fedele a Missak e mantenendone viva la memoria fino alla sua morte nel 1989. Da oggi riposeranno insieme nella cripta del Panthéon, dove una targa a lettere d’oro renderà omaggio ai loro 22 compagni.

Macron ha citato nel suo discorso varie frasi della sua ultima lettera concludendo, davanti ai discendenti del partigiano armeno: “oggi c’è il sole. E guardando il sole e la bellezza della natura che ho amato così tanto che dico addio alla vita e a tutti voi, mia amata moglie e miei amati amici”.

  • Foto della cerimonia

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