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Eredità da non disperdere

di Piero Fabris

Colpisce ritrovare nelle biografie di Waldemaro Morgese il rigo: Vive in campagna. E subito la nota ci fa pensare a un uomo che si è ritirato dalla vita pubblica cittadina della quale è, invece, un appassionato polemista con i suoi editoriali, i saggi e le pagine intense dei propri libri. La scelta di vivere fuori dal trambusto tra una “Casina Culturale” e i profumi del poggio delle ‘Antiche Ville’, in quel di Mola di Bari, sembra invece, una scelta ponderata, quella di essere il punto fuori dal cerchio grazie al quale il giornalista/ scrittore, meglio si raccoglie per inquadrare, osservare, con concentrato distacco, il mondo nelle sue realtà più diverse. Testimone dei fatti e visionario critico della geopolitica e non, non tralascia di esporre ed esporsi manifestando le proprie idee e considerazioni con chiarezza e ironia affilata. Già a vent’anni lo spirito critico che rende attenti osservatori, lo aveva portato nelle piazze contro i costumi ipocriti e di facciata. 

Nel 1972 si iscrive al partito Comunista dove è stato responsabile della sezione agraria e attento analista dei progetti da sottoporre alle assemblee popolari sulle politiche agricole, quasi un “arconte”, un “demiurgo”. È interessante il suo senso dell’umano! È da sempre impegnato nella valorizzazione delle sfere rurali, le aree ai margini dei territori metropolitani, quei luoghi dove si ritrova e impara a distinguere il valore della solidarietà autentica dall’opportunismo. 

In Waldemaro Morgese sembrano conciliarsi l’idealità e il bisogno di concretezza. Ha insegnato discipline economico- aziendali nelle università pugliesi ed ha fatto parte del comitato scientifico di una rivista animata dal milleu bocconiano. È stato fondatore e animatore di ecomusei, biblioteche rurali, luoghi dove poter trovare informazioni sulle radici e identità affogate in quadrilateri di banalità pirotecnica, ma va sottolineato che, il suo impegno lo ha portato a favorire l’uso di ogni mezzo di comunicazione valorizzando il senso critico dell’essere umano. La sua idea di Biblioteca, Mediateca multimediale, Teca del Mediterraneo è quindi IL luogo del Dialogo, un ponte e porto d’accoglienza per riallacciare i cittadini alla terra, alla città, al mondo, allo stare bene insieme. È facile comprendere il suo bisogno di fare di questi luoghi uno strumento vivente e non depositi impolverati per topi affamati, avidi di faldoni ingialliti. È stato direttore della biblioteca regionale della Puglia, (1994 -2010) ma il suo pensiero andava oltre, per lui certi spazi dovevano e devono essere, non solo, al servizio dei consiglieri e funzionari, bisognosi di documentazioni giuridiche, ma di tutti e lo si trovava a seguire quel patrimonio comune nelle varie locazioni (Piazza Moro, Via Giulio Petroni) come un padre che segue con apprensione le proprie creature. Come pochi, aveva capito che per rendere funzionali certi averi culturali, bisognava assumere nuovi addetti e questo significava coinvolgere risorse umane giovani. Nel giro di pochissimo tempo i progetti da lui ideati e fondati sono divenuti punti di riferimento per tutto il bacino dei giovani del mediterraneo. Uno spazio aggregativo pulsante che contava presenze fino a più di 120 utenti al giorno. All’interno di questi luoghi non solo si custodivano testi, documenti, ma si realizzavano tante iniziative come presentazioni di libri, workshop che hanno visto attorno a tavoli studenti di nazioni diverse come: sloveni, macedoni, moscoviti, albanesi, greci e newyorkesi, pronti a confrontarsi e arricchirsi culturalmente e umanamente. La Puglia di Waldemaro Morgese è un faro dall’aurea internazionale, sede del confronto e crescita umana, culturale ed economica.

Waldemaro Morgese, un sognatore con le radici ben salde e il suo mare d’inchiostro oltre gli orizzonti! Tra sperone e tacco della nostra regione, uomini come lui sono risorsa luminosa e feconda, stagione di crescita e consapevolezza!  Si rimane perplessi davanti a iniziative che oscurano luoghi come la teca del mediterraneo o la Mediateca regionale i cui bilanci di fruizione erano positivi. Perché i luoghi dell’incontro e del dialogo debbano abbassare le saracinesche in attesa di tempi diversi, dove alzeranno le tele e magari soffiare su un’eredità d’esperienze nel frattempo coperte e strangolate dal buio, il buio di una metropoli che si allarga su deserti umani?    

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