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La resistenza attraverso l’arte e la cinematografia

dopo forum giornaliste del mediterraneo
Maria Silvia Quaranta

di Maria Silvia Quaranta

foto di Francesco Guida

A pochi giorni dalla chiusura dell’8° Forum, le Giornaliste del Mediterraneo hanno voluto dargli un seguito con i post – forum, poiché occorre smurare precise tematiche che, molte volte, sono trattate in maniera superficiale o non veritiera, come la questione israelo-palestinese. A questo scopo, il 27 novembre, Marilù Mastrogiovanni (fondatrice del Forum of Mediterranean women journalists), assieme al professor Aldo Nicosia (docente di lingua e letteratura araba, Uniba) e al professor Luigi Cazzato (direttore del Master in Giornalismo, Uniba), hanno organizzato il seminario “Palestina, forme di resistenza all’apartheid”.

prof. Aldo Nicosia
prof. Aldo Nicosia

Oltre ai nuovi “citizen journalists”, che documentano quello che accade dall’interno del territorio in maniera lucida, la resistenza di questo popolo per contrastare l’apartheid e il default, portata avanti sin dal lontano 1948, passa attraverso progetti creativi ed artistici, come film /cortometraggi /fotografie /dipinti, cercando di far emergere le verità storiche. Il panel si è focalizzato sull’arte in tutte le sue forme, come mezzo per aiutare a decostruire la narrazione dominante e unilaterale della questione israelo-palestinese, culminata dal 7 ottobre nel conflitto che sta infiammando quei territori.

Il dott. Faisal Saleh, direttore del Palestine Museum Us (Connecticut), ha guidato gli sforzi del suo museo per presentare una mostra di eventi collaterali alla Biennale d’arte di Venezia sin dal 2022; vista però la guerra in atto la Biennale non ha incluso, per il 2024, i 23 artisti palestinesi e li ha sostituiti con artisti europei. Il dott. Feisal ha mostrato, attraverso una piantina dinamica, gli attacchi sistematici avvenuti nel 1948, la Palestine Nakba Map, che portarono successivamente alla conversione o alla diaspora più di 700mila persone. Molti dei campi profughi si localizzarono ai confini della Palestina, come il Libano, la Giordania, la Siria e l’Egitto. Egli ha voluto raccontare la storia da quando gli immigrati ebrei vennero insediati in terra palestinese, con l’aiuto della Gran Bretagna, usando come metodi di spopolamento: la guerra psicologica, l’influenza della caduta nelle città o villaggi vicini, l’assalto e l’ordine di espulsione o massacro da parte delle truppe sioniste.

Alcune opere presenti nel Palestine Museum US
Alcune opere presenti nel Palestine Museum US

Il museo creato da Saleh ha l’obiettivo di essere una testimonianza attiva dell’esistenza, dell’identità e senso di appartenenza del popolo palestinese attraverso l’arte, la storia e il patrimonio culturale; un’isola di resilienza libera dagli stereotipi e dalle censure, presentando una moltitudine di prospettive che umanizzano l’esperienza di visita, invitando il pubblico a connettersi e interrogarsi sul mondo rappresentato. Varie slides hanno mostrato i lavori di artisti che “fanno resistenza” attraverso dipinti, street art, fotografie e progetti, come Ghassan Abu Laban, Nabil Anani, John Halakah.

Monica Macchi, scrittrice e saggista nel suo libro “I dannati della Terra Santa”, ha utilizzato una mappatura geografica del Medio Oriente tra decolonizzazione e post- colonialismo, facendosi guidare dal cinema come agente di storia. In questa visione il film diventa lo strumento che permette di rivedere il passato, riprendendo la frase di Pier Paolo Pasolini ”il cinema riproduce la realtà, ma in una maniera nuova e speciale come se alcuni meccanismi d’espressione non fossero apparsi che in questa nuova situazione riflessa”. La filmografia palestinese è molto ricca e possiamo citare solo alcuni titoli:” 1913:Seeds of Conflict” di Ben Loeterman (2015); “Route 181” di Eyal Syvan e Michel Khleifi (2003);”Jaffa:the orange’s clockwork” di Eyal Sivan (2008); “Arab” di Eyal Sagui Bizawe (2015); “Looted and Hidden:Palestinian archives in Israel” di Rona Sela, sugli archivi cinematografici palestinesi saccheggiati durante la Nakba del 1948- 49 e l’assedio di Beirut del 1982, quando venne distrutto l’archivio della Palestine Film Unit. “L’arte, la parola, il cinema si configurano dunque come public history: uno spazio in cui far emergere la memoria perduta in terreni di confronto”, ha concluso la Macchi.

Molto significativo è stato l’intervento della famosa studiosa di cinema arabo e regista/documentarista Viola Shafik, partendo dagli albori di quest’arte, con la “Palestinian film unit Amman” fondata nel 1967 da Hani Jawhariyyeh, Mustafa Abu Ali e Sulafa Jadallah, produttrice nel 1969 di un clip musicale sulla città di Gerusalemme utilizzando una famosa canzone del cantante libanese Fayruz, come forma di resistenza rivoluzionaria. Per Shafik le varie forme di strategia di resistenza sono: la documentazione della difesa armata e degli assalti nel contrasto alla macchina di propaganda occidentale; la preservazione culturale; lo sviluppo di un nuovo linguaggio cinematografico decolonizzato. Questo processo si afferma e si evolve dal post-settembre nero di Amman nel 1970 in poi, passando alla prima Intifada 1987- 93 fino agli accordi di Oslo. Il cinema israelo-palestinese di questo periodo storico è rappresentato, tra gli altri, dai registi Michel Khleifi, Elia Suleiman, Hani Abu Asaad. Gli accordi post-Oslo del 1993, con la diaspora e i territori occupati della Cisgiordania e di Gaza, sono il terreno per film quali “5 broken cameras”,”3 cm less”, o “Wajib, l’invitation au mariage”. Dagli anni 2000 si affermano la satira, l’autocritica, la decostruzione cinematografica identificate da “Divine intervention” di Elia Suleiman, “Balconies” di Kamal Al Jafari, “Fix me” di Raed Andoni.

Faisal Saleh, Monica Macchi, Viola Shafik, Nadia Yaqub e Monica Mauer
Faisal Saleh, Monica Macchi, Viola Shafik,
Nadia Yaqub e Monica Mauer

A conclusione del panel sono intervenute on line la prof.ssa Nadia Yaqub (docente di cultura araba della University of nord Carolina) e la regista / documentarista tedesca Monika Mauer, che ha avvalorato, con numerosi film, la violazione dei diritti umani nel mondo ed in particolare in Palestina e Libano, contribuendo con i suoi lavori a fornire un patrimonio storico per le generazioni future.

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