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“Imparare i mestieri del teatro induce alla consapevolezza che il teatro è un fatto sociale importante, che nasce come rito.”

di Cinzia Santoro

Fabrizio Martorelli, ha condotto i primi tre appuntamenti del laboratorio Lo spettAttore consapevole, organizzato nell’ambito della rassegna teatrale Dependence Day che si sta svolgendo a Martina Franca a cura di Marco Bellocchio.

Dependance Day propone di sensibilizzare lo spettatore sull’esperienza delle dipendenze patologiche che affliggono la società, quali il gioco, le droghe, l’alcol, la dipendenza affettiva.
Obiettivo del laboratorio è quello di formare una platea di spettAttori consapevoli attraverso una serie di esercizi teatrali di base e tecniche drammaturgiche per fornire chiavi di lettura diverse, per una comprensione attiva dello spettacolo teatrale.
Ho conosciuto Fabrizio nei tre incontri del laboratorio tenuto dall’attore con grande professionalità e passione.

Chi è Fabrizio Martorelli?
Sono nato a Napoli ma ho trascorso la mia infanzia tra Milano e Napoli. Sono “parte milanese e partenopeo”.  Sono orgoglioso della mia identità napoletana ma al tempo stesso amo Milano, è una città molto bella e la trovo molto comoda.
Ho studiato Giurisprudenza e ho iniziato a recitare a sedici anni. Da bambino ho sempre desiderato fare l’attore, questo desiderio è venuto fuori molto presto. Ho fatto il liceo classico e come detto mi sono iscritto a Giurisprudenza, ma accanto agli studi universitari c’era il teatro. Conseguita la laurea ho frequentato la Scuola del Piccolo Teatro con il maestro Luca Ronconi. Ho lavorato in Italia fin da subito dopo il diploma, nelle compagnie di giro e negli Stabili. Quindi se mi chiedi chi è Fabrizio Martorelli io rispondo:
“Sono un artista”.

Fabrizio Martorelli

Qual è lo spettacolo a cui sei particolarmente legato?
Amo due spettacoli in particolare: Il malato immaginario di Molière con la regia di Marco Bernardi, protagonista Paolo Bonacelli, attore straordinario sia nel cinema che a teatro, conosciuto a livello internazionale.  Paolo al cinema ha lavorato con Alan Parker, con Pasolini e con J.J. Abrams. Era il 2010 e in quello spettacolo ho imparato tanto non solo da lui ma dall’organico di quella compagnia e dal personaggio che interpretavo. I personaggi insegnano, Tommaso Diarroicus era il mio personaggio. Una parte comica, ho intuito che potevo interpretare Tommasino relazionandomi con le mie corde più comiche. Il risultato è stato esilarante per il pubblico e ha sempre funzionato nelle circa 160 repliche in quasi quattro anni di tournée. Il personaggio è risultato così comico che mi ha tranquillizzato su determinate cose che io avevo tirato fuori da me stesso.  Ciò non vuol dire che rappresentavo me stesso ma semplicemente che potevo togliermi di dosso, dalla testa e dal cuore delle cose e tramite il personaggio darle al pubblico. È qualcosa che mi ha molto inorgoglito, ricordo che ho pianto di dolore più che di commozione all’ultima replica.
L’altro spettacolo che amo è Arlecchino servitore di due padroni di Carlo Goldoni, per la regia di Giorgio Strehler che è uno spettacolo entrato nel Guinness dei primati per numero di repliche, per la sua bellezza e per la presenza dei suoi interpreti primo tra tutti Ferruccio Soleri. Ci lavoro da undici anni, un’ esperienza indimenticabile! Non si può descrivere l’emozione fortissima che si prova durante lo spettacolo. Io mi commuovo ogni sera, quando facciamo la marcia e la danza iniziale degli attori è un rito emozionante, una commistione di felicità e commozione… Un mix di sentimenti che ti prendono forte.

Si puo parlare di sublimazione del bisogno di esibirsi?

Premetto che non amo molto i termini prestati dalla psicoanalisi. Credo che il teatro non debba essere terapeutico. Poi questo è un mestiere che può essere sicuramente salvifico per chi lo fa e per chi si avvicina al teatro per altri motivi. L’obiettivo deve essere sempre di carattere artistico e solo dopo puoi usare l’arte come terapia. Credo comunque debba essere sublimazione di un desiderio e non sublimazione di un bisogno. Quindi non una necessità a cui si deve ottemperare ma la volontà di andare al di là di un qualcosa che si desidera ardentemente. Recitare è qualcosa di fortemente evocativo e passionale.

Ho letto che da come l’aspirante attore abita lo spazio scenico si capisce se è portato o no. È vera questa affermazione secondo te?

Sì, può essere vera fino a un certo punto. Abitare lo spazio scenico è una cosa difficile,  è una tecnica. Peter Brook, che è il più grande maestro del Novecento, come provino agli attori, richiedeva di passare da un punto a un punto b sul palcoscenico. Per un attore passare da un punto all’altro del palco, anche solo con una camminata, significa abitare lo spazio. È una richiesta importante e difficile perché uno ci può mettere tutta la vita ad abitare lo spazio pur essendo un attore esperto e navigato. Dunque non mi sento di dire che l’aspirante attore possa essere più o meno bravo da come si muove nello spazio. Ci sono tante cose da imparare stando nello spazio. Può essere però un elemento preliminare.

tuoi ultimi impegni teatrali: Intensamente Azzurri e Arlecchino. Vuoi parlarne?
Intensamente azzurri è un progetto a cui tengo molto, è un testo che mi è stato dato dal più grande drammaturgo vivente secondo il mio parere : Juan Mayorga autore madrileno, che ho conosciuto proprio a Madrid quando nel 2018 col Piccolo Teatro portammo nella sua città l’Arlecchino. Tra il primo e il secondo atto Juan è venuto a salutarmi in quinta. Io non ci credevo! Quando ci siamo conosciuti mi parlò di questo testo dove c’era quest’uomo che indossava gli occhialini da nuoto azzurri perché aveva rotto i suoi occhiali da vista e non riusciva a fare la spesa senza gli occhialini graduati. Da questo divertente pretesto lui scopre un mondo nuovo. Attraverso gli occhialini azzurri percepisce una realtà diversa, intuisce una specie di caduta del velo di Maya come direbbe Schopenhauer. Lui stesso inizia a usare Schopenhauer come una bibbia per rendersi conto se la realtà che percepisce sia quella che vede con gli occhialini azzurri o quella senza.
Questo spettacolo l’ho tradotto dallo spagnolo, è stata la prima volta che ho tradotto un testo da una lingua straniera. L’ho prodotto e messo in scena con Simone Faloppa, regista e amico, col supporto dell’autore Davide Carnevali a cui voglio molto bene, con la mia compagna attrice Claudia Federica Petrella e Sebastian Luque Herrera, giovane attore per di più di lingua spagnola. Abbiamo debuttato da poco e sono molto contento di questa ultima fatica.

Fabrizio Martorelli

Martina Franca e la tua esperienza al Laboratorio Lo spettatore consapevole, nell’ambito della rassegna Dependence Day, il teatro contro ogni forma di dipendenza. Cosa ti porti da questa collaborazione con Marco Bellocchio?

Innanzitutto mi porto voi. Siete stati i miei allievi, il mio pubblico ma anche le persone con cui sono stato a Martina Franca . Era la prima volta che ho visitato questa città e voi mi avete accolto molto bene. L’occasione di fare formazione, non significa solo insegnare qualcosa, per me significa trasmettere la propria esperienza. E in questo momento per me è una cosa importante. Ho quasi quarantacinque anni e ho trascorso più di metà della mia vita a recitare e a studiare per fare l’attore, per stare sul palcoscenico e imparare i mestieri del teatro. Credo che oggi ci sia necessità di trasmettere questi mestieri perché ho paura che prima o poi diventino un segreto se non li passiamo.  E perdiamo occasione di condividerli e renderli contingenti con gli altri. Se è vero che il teatro non è terapeutico, è invece vero che il teatro induce alla socialità. Imparare i mestieri del teatro induce alla consapevolezza che il teatro è un fatto sociale importante, che nasce come rito.
Mi porto l’orgoglio di aver trasmesso qualcosa, di aver comunicato qual è il mio pensiero su questa professione fortemente connessa con la società civile.

16 maggio 2023

One thought on ““Imparare i mestieri del teatro induce alla consapevolezza che il teatro è un fatto sociale importante, che nasce come rito.”

  1. Sarò di parte ma condivido tutto quanto ha detto Fabrizio. In particolare ritengo molto importante la diffusione della conoscenza su quella che è e deve essere la funzione del teatro. Per noi giovani degli anni 60, per esempio, il teatro è stato un momento formativo, indipendentemente dalle diverse e varie scelte di vita che ciascuno ha poi fatto. Quindi applausi, applausi, applausi.

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