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Aldo Moro nei ricordi della figlia Agnese

Agnese Moro e Mariam Siranush Quaranta

di M. Siranush Quaranta

La figura di Aldo Moro ha attraversato la mia vita, sin da quel 16 marzo 1978 in cui a scuola ci dissero che il Presidente della Democrazia Cristiana era stato rapito e la sua scorta barbaramente assassinata dalle Br. Mi ricordo ancora perfettamente lo sbigottimento per quell’atto; eravamo nel pieno delle azioni brigatistiche e della lotta delle forze dell’ordine per cercare di bloccarne la furia omicida. Quel giorno il nuovo governo guidato da Giulio Andreotti doveva ottenere la fiducia in Parlamento, ma tutto cambiò all’improvviso, facendoci piombare in un incubo che durò per i 55 giorni della sua prigionia, fino alla mattina del 9 maggio quando in tv vedemmo la Renault rossa nel cui bagagliaio c’era il corpo di Moro. 

Aldo Moro

Questa immagine è viva nella mia memoria sin da allora, come penso anche in quella di tutti gli italiani perché ha segnato significativamente la politica, la cultura di un popolo.

Poi crescendo la poliedrica personalità dello statista non ha cessato di interessarmi, finché all’università- non per niente Università degli Studi Aldo Moro di Bari- mi sono trovata a trattare di lui prima durante il corso di Laurea in scienze della comunicazione e poi nei Master in Etica della pace. Nel primo caso proprio per l’esame di Semiologia del cinema e degli audiovisivi il prof quell’anno era Anton Giulio Mancino il quale aveva scritto il volume “La recita della storia. Il caso Moro nel cinema di Marco Bellocchio”, che dovevamo studiare; leggendolo si capisce il complicato intreccio che c’è dietro a questa vicenda, anche se vista tramite la filmografia di Bellocchio ma passando anche attraverso la Moroteca, cioè quella enorme quantità di documenti legati all’affaire Moro. Successivamente durante i Master ho potuto esplorare questo uomo a tutto tondo: politico, umanista, professore. In tutte le sue sfaccettature emerge il suo grande amore per l’altro, a tratti la sua dolcezza e il rispetto per la persona. 

Quando il 10 dicembre 2022 si è tenuta una giornata di studio presso l’Istituto Salesiano “SS Redentore” dal tema : “ Il vangelo e la politica: l’esempio di Aldo Moro 1916-1978”, è stato per me come la chiusura di un cerchio. Infatti oltre agli illustri relatori introdotti dal professor Don Giuseppe Ruppi della Pontificia Università della Santa Croce di Roma, il prof. Angelo Giuseppe Dibisceglia della Università Pontificia Salesiana di Roma, il prof. Guido Formigoni dell’Università IULM di Milano e il prof Giuseppe Acocella Rettore dell’Università G.Fortunato di Benevento, la presenza della dott.ssa Agnese Moro ha dato all’evento un respiro particolare. 

Agnese Moro-AgneseAldo Moro nei ricordi della figlia

Conoscerla e poter dialogare con lei mi ha molto emozionato.Le sue parole sono state quelle di una figlia che a venticinque anni ha dovuto affrontare una tragedia familiare , riuscire a trovare una qualche specie di equilibrio per continuare a vivere. La prima cosa che ha detto è stata che non rilascia più interviste da oltre otto anni perché ora ci sono altri che portano avanti quello che per anni è stata la sua missione. Durante il suo intervento ha ribadito che quando una persona viene uccisa è come se venisse ucciso anche tutto quello che è stato, poiché diventa solo un caso giudiziario. Tutto ciò è sbagliato perché deve restare la sua vita, quello che ha fatto, l’essenza della sua stessa esistenza. Con le parole e il suo sguardo filiale Agnese Moro ha tracciato il percorso e le decisioni operate dal padre in campo politico e sociale, esaminadone le motivazioni e le implicazioni spirituali e umane. Tutto questo corredato da foto personali, nelle quali traspare l’ impegno e la dedizione dello statista a favore delle persone, il suo modo di spendersi  per cercare di mantenere le promesse fatte agli italiani. Per Moro era fondamentale il Dialogo, con una fiducia incrollabile nel parlare con tutti. 

I 55 giorni della prigionia del padre per Agnese hanno dimostrato la fragilità della politica, messa a dura prova dalla rigidezza delle posizioni dei vari protagonisti. 

Durante quei giorni complicatissimi svolti alla luce del giorno , per i familiari c’è  sempre stata la certezza che egli abbia comunque mantenuto un suo “centro di quiete”, luogo di incontro con qualcosa al di sopra di noi, con Gesù, maturato proprio incontrando le persone, camminando con i giovani, con la comunione quotidiana.

Per la figlia Aldo Moro ha lasciato la testimonianza che nessuno ci può separare dall’amore di Dio, che è necessario appassionarsi  e dedicarsi al destino delle persone che sono il nostro “altro me”, impegnarsi al massimo per cambiare le cose senza paura e senza esitazioni, mettendosi anche fisicamente in mezzo ai problemi pur di ottenere Giustizia.

Agnese Moro  ha saputo delineare la figura più intima di padre e quella più pubblica di politico, ma soprattutto ha dimostrato come la Verità è stato il paradigma che ha guidato tutta la  sua vita; verità che secondo me non  è ancora emersa del tutto, sul suo rapimento e sulle connivenze che hanno accompagnato tutto il percorso conclusosi con la sua morte. 

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