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Michele Sedicino fotografo

di Piero Fabris

Michele Sedicino chiarisce subito di essere nato e cresciuto nel quartiere libertà di Bari e di esserne orgoglioso, di essere figlio di ferroviere e di casalinga. Era un ragazzino vivace come tanti, giocava a calcio per le strade e, deve la sua fortuna all’incontro con Vittorio Stagnani (il giornalista) e Peter Zeller (l’architetto). Dice: “A quei tempi nelle scuole medie si organizzavano corsi di fotografia e corsi di teatro pomeridiano…”. La scuola era un luogo privilegiato dove si insegnava a guardare oltre i vicoli e dare ai più giovani l’occasione di compiere il salto e a immergersi nel mare della vita, costruttivamente.   L’invito di Vittorio a frequentare quel corso lo sorprese. Cosa aveva a che fare lui, un ragazzino innamorato dello sport con le pellicole della fotocamera? Probabilmente ci andò per curiosità più che per convinzione. Nella sua mente sono rimasti indelebili i visi di quei docenti che si adoperavano per donare agli alunni strumenti e ottiche diverse con le quali inquadrare il futuro. La determinazione della preside, la professoressa Scarangelli e le iniziative della professoressa Alessandrelli, della Melo da Bari, sempre alla ricerca di modi diversi per educare all’ascolto; il loro impegno per portarli al teatro Petruzzelli durante la stagione lirica, lasciò un segno nel ragazzino, furono per il Sedicino la possibilità di scoprire un universo di sensazioni; l’opportunità di affacciarsi al pianeta dell’immaginario.

Michele Sedicino

Ne rimase incantato. La suggestione di quel mondo lo rapì, lo aiutò a sollevare sipari e a puntare l’iride sui palcoscenici dove musica, luci e interpretazioni erano i protagonisti vivaci di storie, di vite. E chissà, forse furono quelle atmosfere a instillare nel suo animo il pensiero che certe scene, arie, attimi non dovessero andare disperse? Dovevano rimanere nella memoria collettiva! Non dovevano essere cancellate, ma essere evocate con la stessa forza di chi le ha vissute e ne ricorda le sensazioni. Al termine del corso di fotografia Vittorio Stagnani invitò i partecipanti a fare degli scatti e i ragazzi si affrettarono per la città. Da tutti quegli scatti sarebbe nata una mostra. Sulla cattedra arrivarono foto di barche, lampioni e monumenti, solo Michele Sedicino pensò di fotografare gli spazzini, quelli che con le divise grigie, il fazzoletto rosso al collo e il sacco marrone che salivano e scendevano per i piani dei palazzi bussando alle porte per ritirare l’immondizia. La scelta di quei soggetti e l’inquadratura del fotografo ragazzino, sbalordirono il professore che incoraggiò la sua sensibilità. Un giorno, un ingegnere delle ferrovie dello stato cercava un fotografo e il padre di Michele si fece avanti dicendo che suo figlio poteva essere utile al suo caso. Michele Sedicino scattò le foto richieste con la sua “scatoletta fotografica” e trepidante le portò all’ingegnere e quelli, appena le vide si entusiasmò. L’impegno premiato per l’occhio attento dell’adolescente alimentarono il suo entusiasmo, ma bisognava essere pratici, concreti e fu così che Michele si iscrisse a una scuola professionale. Sarebbe dovuto diventare un elettricista, ma la sua passione per la fotografia lo divorava ogni giorno di più e fu così che si decise di bussare alla bottega fotografica “Sacchetti”. Con l’impeto giovanile si presentò al titolare chiedendogli di essere assunto e quegli gli rispose: “Quanto mi devi dare per imparare il mestiere?” Michele stizzito si girò sui tacchi borbottando. S ne andò per le strade del quartiere senza una meta, lanciando astrali contro chi pretendeva di essere pagato al posto di retribuirlo per il lavoro che avrebbe svolto. Solo in seguito comprese la lezione: “Il fotografo è un mestiere, non ci si improvvisa! Il fascino che la fotografia esercitava sull’adolescente determinato lo portò sulla soglia dello studio “Marangio” e poi ancora davanti alla porta del laboratorio di Agostino D’Alena da poco rientrato dalla Germania.

Dizziy Gillespie

Michele Sedicino sembra perdersi per un attimo nei suoi tanti aneddoti. Esclama: “La fotografia è Bella!”. Nei suoi occhi ancora splende la scintilla dei giorni passati da apprendista in camera oscura, quelli che lo portarono pian piano alla consapevolezza che la fotografia è arte; quelli che alimentarono il desiderio di avere un proprio laboratorio che rispondesse alle sue visioni, alle sue idee di fotografia e lo portarono ad aprire insieme a Luigi Pellegrino: Il Lentino. Un giorno tornando a casa vide un signore che stava affiggendo un cartello con la scritta affittasi. Gli chiese quanto volesse e da allora, quel locale divenne il punto di partenza per i propri progetti fotografici, La stanza quadrata dove mettere a fuoco l’emozione. Un laboratorio che avesse per obiettivo l’incontro con la gente e soprattutto le storie che si portano addosso: sudore e polvere. I muri di via Principe Amedeo 467 sono un mosaico di ricordi. Ci sono scatti di danzatori, mimi, musicisti, attori e donne, uomini della città immortalati su sfondi che ne esaltano le espressioni ed evocano l’emozione. E’ più facile chiedersi cosa non abbia fotografato, oppure con chi non abbia collaborato. Sulle pareti vi è la storia di tante realtà locali e non; Sembrano pagine di album di pietra che documentano il tempo passato vissuto con intensità. Un c’era una volta, il “Re Artù, “La taverna del Maltese” e tante realtà locali come il piccolo teatro di Bari, L’Anonima G.R., l’Abeliano tanto per citare alcune realtà locali, vi erano collaborazioni con la “Camerata Musicale Barese, “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Il “Teatro Danza”, “La fondazione Piccinni”, “Estate Ottanta”, Puglia Jazz, ovvero, più di mezzo secolo di scatti che documentano un mondo di emozioni e partecipazioni, un telaio di amicizie come quella con Nicola Sbisà, tanto per citare un nome su tanti; un archivio di memorie di chi si definisce: “Un Artigiano della Foto”, un uomo che ancora si incanta e continua a documentare eventi, un “Servo della Memoria” che ancora studia, ricerca modi per entrare in empatia con chi gli commissiona un servizio fotografico, perché ritrarre non è uno scatto rubato all’oblio, ma un racconto sintetizzato in un’immagine! E mentre chiacchieriamo, una coppia attempata bussa al suo studio fotografico e chiede di lui, sorride e gli dice: “Siamo venuti a cercarla, perché nostra figlia si sposa”.

Michele Sedicino

Michele li osserva perplesso, mentre loro si affrettano a ricordagli il suo servizio fotografico di quaranta anni prima. Quell’album di emozioni, una sequenza di scatti frutto di esperienza, interpretazioni, ricerca. Il fotografo vive tra la gente, ne coglie l’espressione esaustiva, realizza un prodotto che evochi commozione, eccitazione, turbamento, immortala un’azione significativa per chi la vive e chi la osserva. Gli chiedo chi sono stati i suoi maestri ispiratori, i suoi punti di riferimento, mi menziona Helmut Newton e Ansel Adams. Aggiunge: “Bisogna Saper Guardare, saper coordinare i sensi”. In un suo scatto vi è tutto: Luce, composizione, bilanciamento del colore, narrazione, richiamo alle esperienze nelle quali si manifestano i solchi della storia, della vita con i suoi personaggi, i riti, i palpiti. Un patrimonio di fatti, costumi e passioni di una società che ha sempre bisogno di guardarsi allo specchio e riflettere sulle proprie radici. Un archivio di memorie da non disperdere.

19 agosto 2022

2 thoughts on “Michele Sedicino fotografo

  1. Bravissimo! Ogni suo articolo è ricco di informazioni, storia, comunica emozioni e coinvolge il lettore. Grazie

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