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Quelle sale vuote, fredde e anonime dei cinema nella seconda metà degli anni Settanta: Abissi, il film e l’analisi di una passione solipsistica

di Romolo Ricapito
Scrivendo questa serie di pezzi sul cinema vorrei per un attimo creare una parentesi riguardante le sale cinematografiche nella seconda metà degli anni Settanta.

Ricordo che al primo spettacolo pomeridiano o a quello pre-serale, allorquando venivano proiettati finanche  film di successo, regnava il vuoto.
Pochi e coraggiosi spettatori.
Segno che la crisi del cinema è di vecchia data.
Jaqueline Bisset oggi

Dunque avventurarmi per la visione di una pellicola da me ritenuta attrattiva all’interno di una di queste sale desertificate aveva sicuramente una valenza masochista.

Ovvero occorreva proprio amare il cinema in senso lato  o avere davvero la voglia imprescindibile di nuovi film da guardare per affrontare il freddo, il vuoto, l’isolamento di un rito che, da socializzante, in realtà diventava solipsistico.
Andando da solo al cinematografo dall’età di 14 anni non  avvertivo però alcun senso di disagio.
Cioè qualsiasi forma di solipsismo era di fatto accantonata a favore della piacevolezza data dalla visione di un film bello e  nuovo e possibilmente che includesse delle attrattive ben precise e definite.
Spesso però la pubblicità relativamente a una pellicola, o il gradimento aprioristico e personale rispetto a un film in particolare, sobillato dal genere, dalla  trama e dagli attori principali ( troppo ammirati) metteva in  evidenza- rendendoli  affascinanti -film che di fascino ne avevano assai poco, oppure non ne avevano affatto.
Mi riferisco a una pellicola come Abissi.
Tale film, interpretato da una Jacqueline Bisset che all’epoca appariva già piuttosto matura e da un giovane Nick Nolte era una sorta di avventura sottomarina che vedeva protagonista una coppia di coniugi, o di amanti.
Nick Nolte

L’unica ragione che mi aveva spinto ad andare in sala era questa : la canzone della colonna sonora di The Deep (titolo originale) era interpretata da una cantante allora in voga, anzi stra-in voga per una serie di ellepì usciti in quasi contemporanea e che ne avevano attestato, ancora di più, lo status di regina della discoDonna Summer.

Il tema di The Deep su musica di John Barry e che per il testo era scritto dalla stessa Summer, era una melodia ricca di fascino e   mistero   che intrigava per la vocalità sensuale (ma non volgare) di Donna Summer.
La bellezza del tema però non riusciva a supportare una pellicola che mentre scorreva sul grande schermo si rivelava di una noia mortale: le immagini una dietro l’altra generavano stanchezza, non si riusciva a concentrarsi  sulla vera storia, che perdeva subito d’interesse.
Insomma di tutto l’assunto mi rimane nel ricordo una breve scena di un’aggressione da parte di alcuni indigeni di colore verso i “bianchi” troppo curiosi di non so quale mistero.

Donna Summer
Epperò dovevo per forza convincermi che il film fosse bello, interessante, pregnante,
La sala, ricordo, era completamente vuota se non per qualche sparuto e coraggioso partecipante,
Ricordo ancora che per spiegarmi il film, lo “spiegai” a mia volta per  iscritto a una ragazza con la quale scambiavo lettere per corrispondenza, lei era di Trieste.
“Grazie, questo film non mi interessa”, mi rispose.
Ma la delusione più grande fu che la canzone di Donna Summer, Down, deep inside non era  inclusa all’interno del film.
Ovvero, essa era accennata  e ripetuta nel tema originale di John Barry che della canzone vera e propria costituiva il “corpo”.
Il pezzo Down, deep inside era alla fine del film quando i titoli di coda erano andati e risuonava nella sala enorme, fredda e gelida con le luci accese.
Una bella delusione,
Da allora credo di non avere più visto The Deep (Abissi) o al massimo  avrò dato una sommaria occhiata mentre questa solenne boiata passava in tv.

 

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