Joy: un film torrenziale che racconta la storia romanzata della Mangano, inventrice italo-americana. Jennifer Lawrence è da Oscar, ma non basta a salvare tutto il film, che appare artificioso- di Romolo Ricapito Cinema Cultura 29 Gennaio 20162 Febbraio 2016 di Romolo Ricapito Joy Mangano Di Joy, film statunitense scritto e diretto da David O.Russell, si parla molto per la bella interpretazione di Jennifer Lawrence, candidata all’Oscar come migliore attrice protagonista. La storia è la biografia romanzata di Joy Mangano (1956), un’inventrice di oggetti per casalinghe, che curiosamente è anche la produttrice esecutiva della pellicola. Il tutto viene narrato dalla nonna di Joy (Diane Ladd) che ha un ruolo educativo da “supplente”: la madre Terry (Virginia Madsen) è di fatto inabile al suo compito, perché passa tutto il suo tempo a letto guardando le soap opera in televisione. A questo quadro si aggiunge il marito divorziato di Joy, Tony, un ex cantante venezuelano interpretato dall’attore anch’egli venezuelano Edgar Ramirez. Ma c’è anche Rudy (Robert De Niro) ex marito di Terry, che porta avanti un’officina meccanica. I due uomini vivono assieme in una convivenza forzata in una stanza del sottoscala nella stessa casa di Joy, madre e nonna. Inoltre c’è la figlioletta di Joy e Tony, Cristy. A questo quadro di famiglia allargata si aggiunge una sorellastra, Peggy, figlia di primo letto di Rudy, interpretata daElizabeth Rohm. Ma non è finita: per non farsi mancare nulla, arriva anche una matrigna di Joy, alias Trudy, una ricca vedova di origine italiana. E’ Isabella Rossellini. La vita di Joy Mangano è ricostruita a ritroso : bambina, mostra già un talento di inventrice che da adolescente mette all’opera , ideando un collare per cani. L’invenzione però viene brevettata da altri mentre, ormai cresciuta e dopo avere rinunciato al college, la protagonista tiene i libri contabili per l’officina paterna e svolge lavori idraulici per la famiglia. In realtà la vera Joy si laureò in amministrazione commerciale nel 1978. Il film alterna più registri: la vita è riprodotta in flashback, si è detto, con quadretti qua e là efficaci (come quando è presente un duetto canoro della Lawrence con Edgar Ramirez: si esibiscono in Somethin’g Stupid, successo di Frank Sinatra e della figlia Nancy). Ma in realtà prevale lo squallore della quotidianità, tanto da fare pronunciare a Joy la frase topica: Non voglio fare la fine della mia famiglia. L’ambivalenza della dimensione onirica unita alla epifania delle storture familiari non fanno decollare il film come dovrebbe. Il momento clou che dà alla pellicola un’azione più stabile è l’invenzione da parte di Joy di un bastone per la pulizia dei pavimenti, con annesso mocio. Si tratta di un mocio diverso dai precedenti in commercio sino a quel momento: composto cioè da una morbida matassa che, oltre a pulire perfettamente senza alcun risciacquo qualsiasi tipo di pavimento e sporco , è anche lavabile in lavatrice. La matrigna di Joy finanzierà l’oggetto. E’ da notare come il personaggio della Rossellini sembri quasi una strega: a un certo punto sputa le battute, invece di pronunciarle. Inoltre è spesso cupa, minacciosa o sopra le righe. Questa forzatura si coniuga con una ricostruzione che via via diventa sempre più pomposa ed esorbitante, fino a plasmare l’opera come definitivamente artificiosa. un’immagine del film con Isabella Rossellini La parte nella quale subentra Bradley Cooper , una sorta di uomo d’affari ex direttore di negozi K-Mart e con collegamenti con la televisione commerciale, tale Neil Walker, dovrebbe offrire una svolta. Walker è il classico deus ex machina che darà l’opportunità a Joy di reclamizzare in tv il suo prodotto, ma dopo un incredibile flop iniziale, causato da un’incomprensione. Tutto quanto sembra una piccola storia che trascina una grande storia, quella del classico sogno americano. Ma trattasi di un prodotto cinematografico che anche nella cultura si colloca come tipicamente a stelle e strisce: per le platee europee ha molto meno appeal. Inoltre in Italia abbiamo vissuto l’epopea di Wanna Marchi che è ben più interessante e sconvolgente di quella di Joy Mangano, anche se su due differenti piani. Il Miracle Mop, l’alter ego dell’italiano Mocio Vileda, non può sostenere un intero film, che diventa ovviamente una sorta di metafora, nell’ultima parte, sulle insidie del successo. Nasce infine una sotto-trama con Joy Mangano che diviene quasi una “giustiziera” portata a fare la “sceriffa”-fai-da-te nel tentativo di difendere i suoi interessi e i suoi guadagni da una folla di subentrati truffatori. Il film diviene dunque torrenziale e quasi insostenibile. Si parlava poi di significati adatti più alle platee americane. Nella storia è rappresentato il personaggio dell’attrice comica ebrea statunitense Joan Rivers, scomparsa nel 2014 per le complicanze di un’operazione chirurgica. Nella finzione è interpretata dalla vera figlia, Melissa Rivers. Ma questi dettagli nella versione italiana si perdono, mentre a dominare il tutto è Jennifer Lawrence che del cast è l’unica candidata all’Oscar.
Ottima disamina del film, nei suoi pregi e tanti limiti. La Lawrence dimostra talento di attrice o almeno l’hanno diretta veramente bene. Rispondi