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BIF&ST dedicato al grande attore scomparso nel 1994, Gian Maria Volontè

Gian Maria Volontè: L'adorabile ribelle del cinema italiano

Gian Maria Volontè era l’adorabile ribelle del cinema italiano…

di Cosimo Imbimbo

Gian Maria Volontè in'Il caso Moro'
Gian Maria Volontè in’Il caso Moro’

Tra gli attori italiani, è stato certamente uno dei più dotati, un istrione virtuoso ma estremamente misurato, il volto indimenticabile del miglior cinema drammatico d’impegno sociale e politico dei nostri anni Settanta. Quasi in opposizione ai film di Sordi e della commedia all’italiana (almeno di un certo tipo). Uomo di spettacolo, ma non solo, personaggio di elevato spessore d’impegno civile, ha da sempre legato la sua notorietà artistica alla pura militanza politica nella sinistra. “Un guerrigliero in divisa da attore”; così era definito Gian Maria Volonté negli anni Settanta. Geniale protagonista del cinema italiano, inizia la carriera teatrale dopo essersi diplomato, nel 1957, all’Accademia d’Arte Drammatica. Due anni dopo si impone definitivamente all’attenzione di pubblico e critica con lo sceneggiato televisivo ‘L’Idiota’, tratto da Dostoevskij. Fra le maggiori interpretazioni teatrali del periodo sono da ricordare ‘Fedra’, ‘Sacco e Vanzetti’ e ‘Sogno di una notte di mezza estate’. Esordisce sul grande schermo nel 1960 con ‘Sotto dieci bandiere’, di Duilio Coletti cui seguono, fra gli altri, ‘Le quattro giornate di Napoli’, ‘Un uomo da bruciare’ e il ‘Il terrorista’. I primi anni ’60 lo vedono protagonista, nei panni di banditi cinici e spietati, dei primi western di Sergio Leone: ‘Per un pugno di dollari’ (1964) e ‘Per qualche dollaro in più’ (1965). Nel 1966 con ‘L’armata Brancaleone’ di Mario Monicelli partecipa a uno dei più grandi successi del cinema italiano. In questi anni comincia ad interessarsi a film più impegnati dal punto di vista politico e sociale: ‘Svegliati e uccidi’ (1966) di Carlo Lizzani e ‘A ciascuno il suo’, di Elio Petri, sono i primi capitoli di questa nuova tendenza. Sempre con Petri gira ‘Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto’ (1970), ‘La classe operaia va in paradiso’ (1971) e ‘Todo modo’ (1976). Memorabili anche le collaborazioni artistiche con Francesco Rosi in, fra gli altri, ‘Uomini contro’ (1970) e ‘Il caso Mattei’ (1972). Con Francesco Maselli realizza ‘Il sospetto’ (1975), con Giuseppe Ferrara ‘Il caso Moro’ (premio per la miglio interpretazione al Festival di Berlino del 1987).Lavora anche con Gianni Amelio, Emidio Greco e con lo svizzero Goretta in ‘La morte di Mario Ricci’ (1983, Palma d’oro al Festival di Cannes). Nei primi anni Ottanta lavora per la televisione, in diverse pellicole commissionate dalla Rai, attore scapigliato, privo di aplomb, anticonformista, aveva un carisma straordinario.

Gian Maria Volontè
Gian Maria Volontè

Nelle sue non frequenti apparizioni in pellicole straniere, sarà di rado altrettanto convincente (citiamo almeno “L’attentato”, girato da Yves Boisset nel 1972, ov’egli è il leader marocchino Ben Barka); l’esito migliore delle sue ultime stagioni è quello di “Porte aperte” (1990), bell’adattamento da Sciascia di Gianni Amelio, in cui è un giudice tenace ed umano. Volontè muore sul set de “Lo sguardo di Ulisse” di Thodoros Anghelopulos, per un infarto, il 6 novembre 1994; se ne va, così, un attore fra i più grandi del cinema, non solamente di casa nostra. Peccato per la sua prematura scomparsa è morto improvvisamente, sul set, a 61 anni nel 1994, e adesso è nella terra del cimitero di La Maddalena: una piccola lapide a forma di vela, una pietruzza che sembra un cuore e una citazione di Valéry: «S’alza il vento. Bisogna tentare di vivere ». Il mare è stata la sua grande passione, memorabili le sue traversate in barca la notte.

È stato sposato con l’attrice, sceneggiatrice e regista cinematografica Armenia Balducci. Nella sua vita sentimentale sono entrate anche, come compagne di vita, le attrici Carla Gravina, da cui ha avuto la figlia Giovanna; Pamela Villoresi e Angelica Ippolito, figlioccia di Eduardo De Filippo, con cui ha vissuto gli ultimi quindici anni della sua vita. Citando Kafka: “Qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge, quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano” così chiuse una delle opere più importanti e coraggiose della cinematografia italiana di sempre. Nel Bifest 2014 che si terrà fino al 12 aprile,  onore al merito di un uomo, artista e poeta che ha dato tanto alla società concludendo con una sua celebre frase lo ricorderemo con immenso affetto: “Noi speriamo in un mondo che riesca a migliorare la qualità della vita di tutti: l’ambiente, la possibilità di conoscere, la possibilità di comunicare e di informare. E, sopratutto, la possibilità di eliminare tutto quello che è oggetto per distruggersi come le armi, le guerre, la pena capitale. Ed io credo che già quello sarebbe un grande cambiamento”.

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