“Mia moglie” il gruppo della vergogna. Migliaia di maschi pugliesi risultano iscritti Attualità Cronaca Violenza di genere 26 Agosto 202526 Agosto 2025 di Cinzia Santoro 32000 maschi, mariti, padri, amanti, fratelli o definiteli come vi pare, dal 2019 postavano pubblicamente foto non consensuali di mogli, compagne, figlie, sorelle o ex inconsapevoli, in atteggiamento intimo e privato. 32000 che hanno agito indisturbati su Meta, creando canali WhatsApp e Telegram per dileggiare e offendere pubblicamente le donne, le loro donne appunto. Mercificazione dei corpi posseduti. 32000 son pochi, credo che il fenomeno sia ancora più diffuso e rifletta il degrado morale della nostra società. Dopo l’appello dell’attivista Carolina Capria sono seguite migliaia di segnalazioni che hanno determinato la chiusura dell’immondo gruppo costituito da ogni tipo di maschio proveniente dai diversi ambienti sociali e culturali, poliziotti, militari ed esponenti dell’Esercito, medici, avvocati, imprenditori, politici, docenti universitari, ricercatori, psicologi. Depravati che sulla bacheca pubblica di Meta per sei lunghissimi anni, hanno compiuto migliaia di stupri digitali, esponendo le donne ignare a commenti sessisti e violenti sollecitati a viva voce da mostri travestiti da mariti, compagni, padri e addirittura generi. Roberta Bruzzone sulle pagine social pubblica un’analisi lucida del profilo dei maschi tossici che facevano parte del gruppo. Vi invito a leggere attentamente. “Io so cosa le farei”. Così scrivono migliaia di uomini commentando le foto intime delle loro mogli o compagne, pubblicate — senza alcun consenso — in un gruppo Facebook da 32mila iscritti. Non si tratta di “goliardia”, non si tratta di leggerezza: questo è tradimento, violenza e abuso. L’uomo che espone l’intimità della propria partner al branco virtuale rivela tratti psicologici inequivocabili: bisogno di controllo, ricerca di potere, annullamento della soggettività femminile. Trasforma la donna da persona amata in merce da esibire, strumento per alimentare il proprio ego fragile e per ottenere approvazione in una dinamica di branco. È possesso. È oggettificazione. È stupro digitale. Le conseguenze psicologiche per le vittime sono devastanti: perdita di fiducia, vergogna, vissuti di tradimento profondo, fino a veri e propri quadri post-traumatici. Perché non è uno sconosciuto a violarti ma è l’uomo che ti prometteva amore e rispetto. Questi comportamenti non nascono dal nulla. Sono l’ennesima manifestazione della cultura dello stupro, quell’orizzonte tossico che insegna agli uomini a confondere amore con possesso, intimità con dominio, relazione con conquista. Chi partecipa a questi gruppi non è “un deviante isolato”, ma il sintomo di un sistema malato che normalizza la violenza e che le piattaforme social continuano a non fermare. Per ogni donna coinvolta, la scoperta è una frattura insanabile: -Il mondo che si spezza in mille pezzi. – La fiducia che diventa cenere. – La certezza che la violenza non si consuma solo con le mani, ma anche con uno smartphone e un click. Finché non chiameremo le cose con il loro nome — violenza, abuso, tradimento criminale — e finché non pretenderemo responsabilità sia dagli uomini che da chi gestisce queste piattaforme, continueremo a contare nuove vittime. Travestito da falso voyerismo estetico il branco compie uno stupro collettivo, il parallelismo con il caso Gisèle Pelicot è lampante: la donna oggetto inerte, merce di scambio, roba da usare al servizio del potere del maschio che la domina e controlla. Violenza allo stato puro. Ora il gruppo dei meschini è stato chiuso ma il lavoro da compiere sulle donne vittime di tanta violenza è immane. Dobbiamo ricordare che stiamo parlando di reato, previsto dall’articolo 612 ter del codice penale che così recita: Chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio. Angela Lacitignola Ho contattato la Dottoressa Angela Lacitignola responsabile dell’Associazione Sud Est Donne e attiva nella prevenzione della violenza di genere da sempre. Dottoressa la rete dei Cav pugliesi cosa ha deciso di fare per aiutare concretamente le donne coinvolte nello stupro digitale del gruppo Mia moglie? Innanzitutto abbiamo pensato che queste donne non sono consapevoli che hanno subito uno stupro digitale, che rientra nel campo della violenza di genere. Alcune non sanno come comportarsi, altre avendo scoperto la vicenda sono minacciate dagli stessi compagni che hanno agito la violenza. Per prima cosa abbiamo deciso di fare un post uguale per tutti i Cav della Regione Puglia e di tenere alta l’attenzione proprio perché, tra tutte quelle migliaia di iscritti al gruppo la maggior parte era pugliese. La Puglia purtroppo risulta una delle regioni con più iscrizioni. Ci sono più di duemila segnalazioni che la polizia postale ha ricevuto dalle donne che si sono riconosciute. Purtroppo il reato non è perseguibile d’ufficio, quindi la donna deve denunciare affinché si possa portare avanti l’azione legale. Dottoressa quindi vuol dire che qualsiasi donna pugliese può essere stata vittima inconsapevole di stupro digitale? Ma come possiamo scoprire se siamo state oggetto di tanta bestialità? Il gruppo è stato chiuso da Meta così come il gruppo WhatsApp e quello Telegram, quindi per verificare bisogna vedere direttamente le chat dei propri congiunti. Quindi dico alle donne questo: Se sei inconsapevolmente finita nel gruppo di FB “Mia Moglie” subendo violenza, puoi rivolgerti, in totale anonimato, al centro antiviolenza più vicino, oppure chiamando il 1522, riceverai sostegno e tutela in via assolutamente gratuita per poter elaborare l’accaduto. È un punto di partenza. Le dichiarazioni della responsabile mi colpiscono profondamente perché ancora una volta noi donne dopo aver subito un crimine dobbiamo avere la forza di denunciare e sostenere un processo. Sono perplessa, arrabbiata. Cosa possiamo fare? Allora gridiamolo a gran voce che si tratta di violenza, di reato contro la donna. Violenza gratuita come quella che ogni giorno subiamo nelle nostre case, nei luoghi in cui ci rechiamo a lavorare, per la strada e negli ospedali ma anche nelle palestre, nei giardinetti, nei bar o nelle sacrestie delle chiese. Prendiamo coraggio e liberiamoci da questi omuncoli senza speranza. Non sono malati come ci vogliono far credere i politici, medicalizzando la violenza con la proposta di Tso e consulenze psichiatriche per i maschi violenti, no non sono malati, sono figli sani del patriarcato, del potere millenario che è stato loro conferito dai tempi biblici, potere che è ancora oggi nelle loro mani, e lo sarà ancora per tanto tempo. Allora cosa possiamo fare? Lottare, gridare, pretendere giustizia, perché siamo alla mercè del maschio, meri oggetti da utilizzare per pulire la casa, accudire i figli, lavorare e sopportare la violenza subdola quotidiana abbassando la testa ogni volta che lui non è d’accordo. Chi tra noi donne non conosce quel moto di angoscia e paura misto a ribellione quando veniamo ferite dal maschio “di turno” che sia padre, compagno, figlio, collega o sconosciuto che ci abusa. Ci uccidono a mani nude, con il fuoco, i coltelli e le parole. Oggi ci sono 32000 donne morte di stupro digitale, mogli, madri, figlie, sorelle o compagne di vita che saranno segnate per sempre da quella violenza. Mi auguro che quanto accaduto possa trovare giustizia attraverso una class action come dichiarava l’avvocata Bernardini DePace, che ci sia una rivoluzione delle donne, tutte insieme senza vergogna a chiedere giustizia e una legge che persegua d’ufficio questo crimine contro l’umanità. 26 agosto 2025