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A Bari la mostra collettiva di fotografia dal titolo: “ARCHI & TETTI

di Piero Fabris

Si è inaugurata lunedì 17 febbraio presso il “Palazzo ex Poste a Bari la mostra collettiva di fotografia dal titolo: “ARCHI & TETTI – Passa(e)ggi urbani”, nata sotto l’egida dell’associazione cinefotografica KALEIDOS e la Federazione Italiana Associazioni Fotografiche – ETS (FIAF). Un’esposizione che merita di divenire itinerante per il suo valore socio-antropologico. Un ventaglio di foto come finestre sul paesaggio urbano, feritoie che ci interrogano, a volte ci inquietano, riflettendo le loro ombre di strutture possenti, avviluppate, con le loro dimensioni, su esseri umani come se fossero pedine, anzi assenze, ologrammi di esseri alla ricerca d’identità. Dove è l’uomo in queste città? Dove è l’uomo in queste megalopoli dalle linee perfette costruite con nuovi materiali pronte a toccare il cielo? Panorami, anzi paesaggi specchio di un ego miope che mimetizza la propria fragilità e nega le solitudini! Una mostra di piccoli archi schiusi su inquadrature dalle metalliche geometrie ci interrogano.

Sotto quali tetti siamo? Un labirinto di facciate perfette ma vuote fatte di righe senza rughe. Dove è la città che aggrega l’uomo? Sembra di essere in agglomerati urbani dagli echi metallici, in contesti urbani sospesi tra cielo e terra come fossero sfumate installazioni di reti trappola che incantano o forse giocano a imprigionare l’immaginazione per veicolarla su asettici percorsi per alveari, arnie di sopravvivenza alle quali fanno da contraltare i mattoni d’argilla di castelli o i colori ocre di templi, pilastri, testimonianza di un tempo dominato da altre tonalità.

La collettiva con gli scatti di: Camillo D’Angelo, Ennio Cusano, Fabrizio Cillo, Federico Cappabianca, Gianni Cenerino, Grazia Carone, Pino Di Cillo, Roberta Giordano e Tiziana Rizzi con i suoi raggi-muri a sei facciate disegna un arco di sensazioni e col suo imbastito di sguardi grida dai tetti il bisogno di ritrovarsi intorno a forme meno spigolose e di facciata. Le foto sono la testimonianza- denuncia della nostra assenza, della nostra reale incapacità aggregativa, del nostro sfuggire al nostro tempo, al nostro omologarci con armature squadrate e affilate dove il nome “piazza della Pace” sembra più un’etichetta che evocazione di uno stato di serenità con i tavolinetti di pietra, immagine, ornamento, piuttosto che luogo d’incontro. Una mostra che ci invita a soffermarci sulla cifra delle nostre metropoli, sul valore dell’uomo misura di tutte le cose con la propria esperienza-essenza, presenza armoniosa, contrasto alla meraviglia desolante che i fotografi hanno ben sintetizzato con le loro ottiche sensibili alle torri di babele su scacchiere della incomunicabilità.

24 febbraio 2025

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