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Mamma Frida: Per mia figlia, la cui infanzia è stata massacrata, chiederò giustizia finché avrò fiato

Frida è una donna che sceglie di portare avanti la gravidanza nonostante le pressioni del compagno per abortire. Lei non si perde d’animo e accoglie la nuova vita che porta in grembo.

La piccola viene al mondo e vive serena con la mamma fino al giorno in cui l’ex compagno si ricorda di avere una figlia e pretende di entrare nella vita della bimba come se nulla fosse.

Giudice giustizia

Racconta Frida: “Affronti la gravidanza da sola, partorisci da sola, cresci la tua creatura da sola. Siete una famiglia monogenitoriale a tutti gli effetti. Poi entri in tribunale e, nel tritacarne dell’articolo 250 (riconoscimento tardivo) e della 54/2006, tua figlia perde di colpo l’identità, la madre, il suo ambiente di crescita, tutta la sua vita”. Il caso è all’attenzione della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, presieduta dalla parlamentare Valeria Valente. In un’interrogazione al Senato, relativa al caso giudiziario di “mamma Frida” si chiede al governo l’ impegno ad adottare “tutte le iniziative” affinché “venga pienamente attuato quanto disposto in materia di affidamento dei figli minori dall’articolo 31 della Convenzione di Istanbul. Secondo quanto riportato da diversi organi di stampa una giudice del Tribunale ordinario di Venezia ha ritenuto di non dover disporre l’ascolto della minore nonostante la richiesta avanzata dai legali della madre, che hanno posto a fondamento della richiesta sia il consolidato indirizzo della giurisprudenza nazionale e sovranazionale, che ha valorizzato l’importanza imprescindibile dell’ascolto dei minori nelle questioni che riguardano la loro vita, sia la disciplina vigente in materia. Il governo s’ impegnerà su tre punti: Il primo circa la necessità di “adottare tutte le iniziative di competenza affinché venga pienamente attuato quanto disposto in materia di affidamento dei figli minori dall’articolo 31 della Convenzione di Istanbul”. In secondo luogo, si chiede all’esecutivo di “intraprendere le opportune iniziative di competenza, nel rispetto dell’autonomia della magistratura, al fine di verificare che nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale siano correttamente applicate le disposizioni di legge in materia di ascolto del minore e di divieto di vittimizzazione secondaria in presenza di allegazioni di violenza domestica”. Il terzo punto riguarda l’adozione delle iniziative necessarie “affinché sia sempre escluso nei tribunali il riconoscimento di qualunque forma di costrutto ascientifico nonché l’utilizzo di diagnosi non asseverate e di trattamenti impropri discendenti, ovvero non desunte da un valido percorso diagnostico-terapeutico definito e condiviso dalla comunità scientifica e comunque non direttamente incidenti sulla capacità genitoriale” Ancora nel testo dell’interrogazione si fa riferimento all’uso inopportuno della Pas (sindrome da alienazione parentale) paragonata a una teoria nazista in una recente sentenza della Cassazione. 

donna accusata

Frida scrive: “Sono state depositate in appello le costituzioni di controparte e della curatrice. In perfetta sintonia chiedono l’esecuzione del decreto che prevede la collocazione extra familiare diurna di mia figlia. Anni di violenza istituzionale ti devastano, fisicamente, moralmente, economicamente. Stanno provando in tutti i modi a chiudermi la bocca. Per mia figlia, la cui infanzia è stata massacrata, chiederò giustizia finché avrò fiato. E continuerò a denunciare tutte le storture del diritto di cui lei, soggetto primario di procedimenti che la riguardano, è vittima. Combatterò perché la sua voce sia sentita e la sua volontà rispettata. Non ci facciamo illusioni, purtroppo ci aspettiamo il peggio”. Ancora dolore sulla pelle dei piccoli che nei tribunali italiani non hanno voce e non hanno diritti in nome di una legge misogina che non tutela le madri. Continueremo a seguire la dolorosa vicenda che ci offende come donne e madri e ci pone in dovere di parlare perché giornaliste, della rivittimizzazione secondaria che si attua nelle aule di giustizia italiane.

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