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Il salice del borgo

Riceviamo e pubblichiamo.

di Rosalba Fantastico di Kastron

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Anna

opera dell’artista

Rosalba Fantastico di Kastron

Tecnica: Pastel Pencil Carbothello

su carta francese Pastelmat Clairefontaine

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Formato 50×70 – Anno 2022     

Postfazione

Anna Cellaro è una mia amica; meglio dichiararlo da subito. Così come è meglio spiegare, prima che questo mio intervento risulti come uno dei tanti like che pullulano sui social, che non è per questa amicizia che mi accingo a scrivere di lei. Lo faccio convintamente perché nutro nei suoi confronti una sincera stima, sia come donna che come professionista e, in questo caso, come poetessa. 

Anna è donna dal temperamento tenace e volitivo. Basta osservare il suo sguardo acuto, attento, scrutatore. Potrebbe persino intimorirti se ti pianta addosso le pupille. E invece, ex abrupto, ti ritrovi a scoprirla trasognata, sensoriale, incantata. Ma, affondando nel suo passato, nello scavo profondo del suo osservare la vita e il mondo si può intravedere in lei una bambina nata già adulta. Perché nella sua memoria si annidano immagini così intense e nitide che non possono provenire da quella che poteva essere una bambina distratta o impegnata in giochi infantili; piuttosto da chi in quel tempo e in quei luoghi osservava la vita con occhi maturi. Diversamente, non nascerebbero suoni, cadenze, immagini, metafore, sinestesie, profumi, a connotare la produzione poetica di questa silloge. 

La poesia dimorava in lei già d’allora e si depositava in trepida attesa. 

E il ritorno è naturale a quegli anni, a quei luoghi, a quelle atmosfere, il tutto cosparso dalla patina impalpabile del tempo, dalla polvere azzurrina della lontananza.

Ci troviamo quindi di fronte a una poesia nostalgica? 

I critici incriminano i testi connotati di nostalgia e accusano di passatismo chi ne fa uso. Perché si riferisce a qualcosa che si è perduto in un passato che si vorrebbe far ritornare. 

E allora, rischiamo di fare apparire la sua poesia come il rimpianto di un tempo perduto? 

No. Per Anna non è questo. Nei suoi versi troviamo la bellezza della nostalgia, quella che si manifesta con un flusso evocativo capace di restituirle legami ancora vivi con chi non c’è più ma che continua a vivere in lei e che lei, con i suoi versi, riesce a trasferire in noi. 

Come un nibbio reale migratore, torna nei luoghi a lei cari indugiando nel passato con la dolcezza del ricordo che sfuma anche i dolori, le sconfitte, le tragedie esistenziali dei cari che l’hanno preceduta nel percorrere i sentieri impervi della vita lungo i tratturi e le zolle. «[…] Ripenso, a quell’ esistenza amara / e ai tuoi viaggi senza appetito. / Li hai chiusi con l’ago, in cuciture storte su vecchie stoffe a righe […]». Emerge in questi versi la potenza di una figura monumentale, quella della nonna, che ha attraversato con fede e coraggio il proprio dramma esistenziale, un dramma a noi sconosciuto ma intuibile in questa struggente poesia. La metafora dei viaggi «chiusi con l’ago» procura un urto emotivo di forte intensità.

E in questi altri versi si staglia altrettanto imponente la figura del nonno: «[…] Il primo assaggio era con le mani, /la polpa di cellulosa scorreva fin dentro il palmo della mano, /brulla e ormai raggrinzita. / Era di mio nonno, sapeva di vita».

Mentre così racconta dell’amato e ormai perduto padre: «[…] Se poso le dita sugli alberi piantati da mio padre/ un suono sbriciolato incide la terra/ e mosaici di mozziconi mi penetrano le ossa […]».

La nostalgia quindi per lei non è sottrazione del presente ma si adorna di profumo di vita autentica, di un tempus lento, vibrante, al riparo dalla frenesia del nostro vivere l’oggi. 

Siamo di fronte a una poesia sensoriale, a tratti olfattiva, a tratti tattile, altre volte visiva, spesso sfumata dal ricordo che la rende simile a una tela impressionista. Epperò, a differenza di questa, riesce ad andare oltre la bidimensionalità per scavare nelle profondità e assumere corpo e densità materica. 

Perché è una poesia che affonda nelle radici.  

Se volessimo cercare il fil rouge che lega ogni componimento di Anna lo troveremmo nel suo legame profondo con la terra, con il mondo campestre verso il quale nutre un sentimento di gratitudine e stupore. Tutto ruota intorno alla natura, i campi, le piante, le colture. Tanto che viene da coniare per lei una nuova espressione: fil vert, piuttosto che fil rouge tale e tanta è la presenza della natura nei suoi versi. 

E tornano in mente i dipinti di Leonardo, opere in cui arte e botanica vivono in totale osmosi in un reciproco riconoscersi di corrispondente grandezza. Così, anche nelle poesie della Nostra, natura e poesia convivono in perfetta armonia. E, come per Leonardo, che si sofferma sulla descrizione pittorica dettagliata di piante e fiori, così anche Anna sembra compiacersi della sua competenza botanica; nella silloge, infatti, ogni elemento naturale inserito nei versi è descritto con il termine specifico proprio. E questa scelta, che avrebbe potuto farle correre il rischio di ridurre il valore dei versi, ne amplifica invece la forza espressiva. Così compaiono termini come ligula, petricore e geosmina, ferula, capolini pungenti, culmi, arilli, pericarpo, albedo, necromassa; e tanti altri ancora, a tratteggiare bozzetti di sapiente profumo campestre con una competenza botanica che ci sorprende e stupisce.   

«[…] I culmi e le spighe ormai allettati/si concedono taciuti al passo di trebbia […]».

Oppure: «[…] S’affretta rigogliosa la nuova ferula/conquista con fierezza la roccia carsica […]». E ancora: «[…] Al mattino/ tra le fronde superbe delle querce e dei pini/nel bosco torrente/il chiacchiericcio degli uccelli/a raccontarsi le paure della notte […]».

E andiamo ad analizzare il titolo, intrigante, fascinoso: “Il salice del borgo”. 

Strana coincidenza, come tante altre che hanno caratterizzato sin da subito la nostra amicizia. Il salice… come il nome del mio paese natio. Un salice destinato a legare un incontro disegnato nel tempo. 

Il salice, albero dalla simbologia complessa e per certi versi controversa. Maestoso, riverente, rimanda alla fecondità, alla purezza, alla devozione, all’immortalità, ma anche alla sofferenza e al pianto. E quindi esso si pone come filo di Arianna per comprendere tutta la silloge. È la chiave di lettura per entrare nell’anima poetica di questa donna fiera e ardita. Quel salice piangente, uno degli alberi piantati da suo padre, è la spora feconda – per usare un termine tratto dal mondo botanico, un ambiente a lei caro – che declina tutto il suo poetare.

«[…] Imperava accanto alla piccola scalinata della mia casetta, 

verde, il sensuale albero piangente,

a sinistra poi il piccolo pesco: 

lo sfidava ad ogni affaccio di primavera.

Si vestiva leggiadro in tutte le sue sfumature di rosa.  […]». 

Questi versi lampeggiano nella penombra del ricordo e sembrano illuminare – come in un flashback – una suggestiva immagine: un maestoso salice che «imperava» accanto al «piccolo pesco». Un confronto apparentemente schiacciante a favore del gigante verde. Eppure, il timido pesco era capace di sfidarlo e vincerlo – come David contro Golia – con il coraggio e la bellezza della sua primaverile fioritura. Ed è come un raccontare l’antico gioco della seduzione. 

Forse è proprio nell’immagine del «piccolo pesco» che si può scorgere il coraggio e la forza dell’autrice, tutta racchiusa in questi versi tratti da un’altra sua poesia: 

«[…] Io sono l’audacia che pullula/Lo specchio pensiero/La fervida fiamma/Di maliziosa compagna. /Ripensami, all’ ombra delle tue parole».

Anna Cellaro ci consegna, con questa silloge, la forza espressiva di un canto d’amore sincero verso la vita. Emerge la vicenda esistenziale e poetica di un’anima sensibile e attenta. 

Come quella bambina avvezza allo stupore che aveva saputo osservare il mondo con gli occhi da adulta. 

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