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Dalla Palestina Fidaa Abuhamdiya: la condivisione per conoscere il cibo palestinese

di Cinzia Santoro

Fidaa Abuhamdiya: Il mio lavoro non è solo condividere il cibo con i i miei ospiti, ma condividere con loro la mia storia, ieri ricordi e il mio amore per le pietanze che servo.

Fidaa Abuhamdiya è una giovane e intraprendente donna palestinese che ha fatto dell’ amore per il cibo della sua terra, una professione e una missione. Far conoscere la cultura palestinese al mondo, valorizzando i prodotti del territorio e il patrimonio culturale della Palestina.

L’intervista.

Il cibo e la cultura palestinese sono i fondamentali della tua vita. Se dovessi accompagnare un viaggiatore in Palestina dove lo porteresti e cosa gli faresti assaggiare?
Il mio lavoro non è solo condividere il cibo con i miei ospiti, ma condividere con loro la mia storia, i miei ricordi e il mio amore per le pietanze che servo.
Ai turisti faccio assaggiare la cucina popolare, il cibo sulle bancarelle, il pane dai fornai che mantengono ancora la tradizione e fanno il pane integrale. Li accompagno dalle donne che impastano, stendono e cuociono il pane su una pentola concava, calda che cuoce il pane in pochi secondi.  Le donne ci accolgono sempre con un sorriso caloroso e ci offrono il pane per assaggiarlo. Porto i turisti al mercato della frutta e verdura, capita di vedere anche gente che vende il succo di melograni o il formaggio tra le bancarelle. Lo faccio per far comprendere ai viaggiatori quanto siamo ospitali, e quanto la nostra è una nazione di grande cultura. E il popolo palestinese ci tiene davvero tanto.  Manteniamo il nostro Heritage, cioè il nostro patrimonio culturale.

Le città sono odori, una qualsiasi città, che non sia riconoscibile dal suo odore, non merita di essere ricordata, scriveva Darwish. Che profumo ha la tua città?

La mia città Ramallah ha un odore bellissimo, sa di burro chiarificato e di yogurt essiccato si chiama jamid.
Jamid è lo yogurt essiccato, viene anche chiamato Kishk.

Citi nel tuo blog fidafood.blogspot.com,
Tamin Al Batghouti: La geografia è tollerante ma l’occupazione è cattiva.
Come vivi l’occupazione israeliana nel tuo paese? E quanto influenza la tua vita privata e quella lavorativa?
Ovviamente l’occupazione sono costretta a viverla, desidererei tanto condurre un’ esistenza serena senza la presenza costante delle truppe israeliane.
Ha una influenza molto negativa sulla mia privata e sul lavoro. Io vivo a Ramallah, lavoro a Betlemme, solo 28 km, ma devo attraversare il posto di blocco ogni giorno. È “il container”, che divide l’una dall’altra due aeree palestinesi, è il non sapere quando o se si giungerà dall’altra parte. Due volte al giorno, ogni giorno, quando vado al lavoro, sono preoccupata al pensiero di passarlo, perché i soldati israeliani sono sempre pronti a sparare. Quei secondi in cui attraverso “il container” sono terribili, sempre lo stesso pensiero, la stessa paura. Se decidessero di uccidermi o uccidere gli altri? A volte, passo ore ferma lì, soprattutto quando i soldati decidono di ispezionare le macchine. Immagina che questo posto di blocco è quello che separa la Cisgiordania tra Nord e Sud. Anche il tempo che perdo andando al lavoro è tantissimo; pensa, potrei investirlo in altre attività.
Mia figlia va a scuola in una città nuova vicina a Ramallah, quando la tensione è molto alta, ho la sensazione di mandare mia figlia verso l’ignoto. Non so cosa potrebbe succedere, magari niente, e finora non è successo nulla, ma vivo sempre con questo terrore. È atroce.

Hai studiato al Notre Dame di Gerusalemme e poi all’università di Padova. Che esperienza hai vissuto nel nostro paese?
In Italia ho vissuto molto bene, sono stata accolta come una figlia, poi il percorso che ho fatto all’università ha influito molto sulle mie scelte soprattutto le scelte lavorative ma anche su tutte le attività legate al cibo e la cultura.

In Palestina come vivono le donne la parità di genere?
In Palestina le donne sono lontane dalla parità dei diritti. In tutti questi anni non siamo riusciti ad avere una legge che tuteli la famiglia e le donne palestinesi. Non esiste la parità di diritti nemmeno sul lavoro, un uomo e una donna che svolgono lo stesso identico lavoro, vengono retribuiti diversamente.

Hai una figlia, che futuro desideri per lei?
Ho una figlia di 7 anni, ho voluto darle la cittadinanza americana, perché non voglio farle vivere quello che ho vissuto io, difficoltà per viaggiare, studiare, vivere. Purtroppo quello che conta di una persona è la sua cittadinanza poi il resto. Io ho dovuto lottare tanto, sono stata umiliata ai confini solo perché sono cittadina palestinese, è brutto dire questo, ma è la verità, conta molto che passaporto hai. Ora sto bene, mi ritengo anche fortunata, continuo a vivere tra la Palestina e l’Italia perché mi sento di essere parte di ambedue i paesi. Ho insegnato a mia figlia l’italiano, lo parla benissimo, siamo un misto di due culture che a noi piacciono moltissimo.

I tuoi progetti per il futuro?
Voglio continuare a occuparmi di cibo, tradizioni, cultura.
Già mi occupo di cucina per la rivista 𝗔𝗿𝗮𝗯𝗽𝗼𝗽/𝗖𝗮𝘀𝗮. L’immagine di copertina di Arabpop, dal titolo 𝘛𝘩𝘦 𝘳𝘰𝘢𝘥 𝘭𝘦𝘴𝘴 𝘵𝘢𝘬𝘦𝘯 è un’opera di 𝗛𝗼𝘂𝗱𝗮 𝗧𝗲𝗿𝗷𝘂𝗺𝗮𝗻, artista visiva nata in Marocco da padre siriano e madre svizzera. Le sue sculture fluttuanti e i suoi quadri sono un viaggio tra Medio Oriente, Europa e Africa, ed esplorano i temi dell’identità, della migrazione e della permanenza. I suoi soggetti sono piccoli oggetti familiari da cui si dipanano possibili storie, e che diventano forieri di speranze e ponti tra culture. Una sedia vuota simboleggia ciò che abbiamo lasciato e il legame con le nostre radici. Una nave solitaria ci proietta verso il futuro. Un ponte fluttuante ci invita a creare relazioni ed empatia con ciò che non conosciamo.
Alla redazione è piaciuta e speriamo che piacerà ugualmente anche alle lettrici e ai lettori.
Lavoro con i giovani sulla cultura e sulla cucina della Palestina e sulla contaminazione tra la cucina italiana e palestinese. Sono interprete giurata della lingua araba e italiana,  ho fatto il corso di storytelling, vorrei tanto raccontare il cibo in una storia. A proposito il 10 giugno ci sarà il mio debutto. Vi aspetto!

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