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Un ponte per niente. Perché la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina è inutile?

di Maria Pia Latorre

Sta per perpetrarsi l’ennesima follia, la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. L’idea risale all’Italia pre-unitaria, quella che stava, a tentoni, tracciando i connotati di una nuova identità nazionale. E sì che si può pure comprendere come, nell’afflato unitario e nell’ignoranza ambientale del tempo tale idea risultasse patriottica, modernista e indispensabile a unire materialmente, otre che letteralmente, l’Italia. 

Ma  taluno non si è accorto che siamo nel Terzo Millennio, talaltro forse non ha mai percorso la Salerno-Reggio Calabria o lo ha fatto con i paraocchi e con scarso spirito di osservazione, certo è che la classe politica sta approvando un progetto antisociale e non rispettoso delle idee dei cittadini, i quali non si sentono affatto rappresentati da questa decisione politica. 

L’elenco delle motivazioni contro la costruzione di questo eco-disastro, come lo ha definito Sandro Marano, Presidente di Fare Verde Bari, è lunghissimo, a partire dal catastrofico impatto ambientale che immediatamente ne conseguirà, ai rischi sismici, ai problemi ingegneristici, ai problemi economici e delle infrastrutture, a quelli geologici e floro-faunistici, ma non è certo questa la sede per discuterli. Al di là dei problemi, la domanda delle domande è: a cosa serve oggi un ponte sullo stretto?

Non sarà certo il primato di ponte con la campata sospesa più lunga del mondo a risollevare l’economica calabra e siciliana, regioni vittime di secolari politiche asfittiche e mafiose (questa la realtà che purtroppo coincide con l’orrendo stereotipo ormai incancrenitosi anch’esso insieme al secolare progetto). 

L’ennesima cattedrale nel deserto con sperpero di denaro pubblico?  Ci auguriamo di no, ché qualcuno faccia ragionare chi di dovere. 

Non sarà la miope politica edificatoria, già in passato messa in atto (corsi e ricorsi storici) a risolvere i problemi della Calabria e della Sicilia, bensì una politica di rilancio economico e la necessaria costruzione di infrastrutture per sostenerne l’impatto. 

Ma forse qui si tratta solo di cercare di ottenere consensi e dell’uso di denaro pubblico,  come è accaduto già in passato per altre mega-opere risultate praticamente inutili? Invochiamo Tomasi di Lampedusa a monito, osservando come sempre più numerose sono le comunità culturali che si stanno schierando con le associazioni ambientaliste in difesa della salvaguardia del territorio, sopratutto nel mondo dell’arte figurativa e della poesia. 

A pensarci bene, abbiamo aspettato duecento anni e, considerando ciò che gli scienziati stanno da tempo affermando con preoccupazione (si tratta dello spostamento della massa continentale africana verso nord, misurata in ben due centimetri all’anno e già questo potrebbe costituire di per sé un grosso problema), con un po’ di pazienza, il ponte non servirà più. 

Nel nostro futuro c’è l’Eurafrica, e prima ce lo mettiamo in testa, meglio è per tutti.   (foto Green Report)

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