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Lettera dall’Afghanistan: la mia non è vita, devo scegliere tra morire o sposare un talebano.

di Cinzia Santoro

È il giorno di Natale quando arriva un messaggio. Ometto il nome di questa giovane donna afgana che chiede di far sapere all’Occidente cosa sta succedendo nel suo paese. Le hanno passato il mio contatto e lei con coraggio mi scrive.

Mi dice che, chi collabora con i giornalisti, rischia la vita se scoperto. Ma lei aveva tanti sogni, gli studi all’università, le prime collaborazioni nel mondo del lavoro e poi il ritorno dei talebani e l’abbandono dell’esercito statunitense e di quello della coalizione europea le hanno strappato la speranza.

“Buongiorno sono FZ, e vorrei parlarti di cosa mi sta succedendo qui nel mio paese. Sono depressa, il 98% degli afgani soffre di depressione.
Le nostre scuole sono chiuse, per sempre. Io non posso più lavorare. Ho 22 anni e vivo a Kabul. Ti scrivo dalla casa dei miei zii, devo stare nascosta, i talebani mi cercano perché ho rifiutato di sposare uno di loro. Hanno picchiato mio padre e io non voglio essere la moglie di quell’uomo di 40anni. Ti mando le mie foto, non cancellarle, custodisci il mio ricordo.
Ho assistito alle punizioni pubbliche, donne e uomini, al centro della piazza massacrati con le pietre. Ma i talebani ti puniscono anche tagliandoti le mani, sono terrorizzata.  Devo scegliere tra la morte o diventare la moglie di un talebano. È un momento tragico per la mia vita, non posso lasciare l’ Afganistan perché verrei arrestata immediatamente al confine. Ho paura, non è vita la mia, non è vita per nessuno in questo paese. Gli Afgani sono stati traditi dagli Stati Uniti e dall’Europa, perché hanno creduto che le autorità talebane avrebbero rispettato i diritti umani delle donne. Ho un solo desiderio che si sappia del male che ogni giorno ci ferisce. La vita e la morte in Afganistan hanno lo stesso volto.”

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