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Angelo Petrosino: i suoi racconti nell’ultimo “Bambini si diventa” hanno il sapore della nostra terra

di Maria Pia Latorre

Lo scrittore Angelo Petrosino, nel mese di ottobre, ha ricevuto l’ambito Premio Rodari alla carriera. La cerimonia di premiazione, svoltasi nella ridente Omegna, patria del giornalista e scrittore, si è svolta alla presenza di un folto pubblico che ha applaudito a lungo il nostro apprezzato scrittore per ragazzi.

Petrosino, da molti decenni residente a Torino, ha sempre portato con sé i colori e le intensità della nostra regione. Di fatti ha da poco dato alla luce il romanzo  Bambini si diventa (Einaudi Ragazzi, 2022). 

Si tratta di una raccolta di quarantadue racconti autobiografici, con il quarantatreesimo che ne è l’epilogo, in cui l’Autore, il piccolo Lino, raccoglie stralci del passato come preziose perle infilate sul cordone della memoria, quella più profonda e vera dell’infanzia. 

Un’infanzia ben lontana dai luoghi di vita di Petrosino che, da lontananze siderali, ha percorso e ripercorso la strada del ricordo e quella geografica della distanza. 

Immaginiamo un’ininterrotta carezza alla memoria ai luoghi agli uomini che quel passato hanno popolato e che rifioriscono vigorosi e vividi dalla penna dello scrittore di Castellaneta. L’amata Puglia, che è terra di estro multicolore e di assolata genialità in cerca di possibili narrazioni. Estro che, contemplativo, si dispiega tra il  frinire di cicale e il giallo dello sconfinato grano estivo, a un passo dalle braccia fronzute della macchia mediterranea che traina i pensieri al mare.

Terra di grandi educatori come Giuseppe Caiati, Giovanni Calò, Mauro Carella, Tommaso Fiore, Nicola Fornelli, Giovanni Modugno, Nicola Petuzzellis, Gaetano Santomauro, da cui Petrosino ha tratto l’arte dell’insegnare e di grandi politici come Piero Calamandrei, Giuseppe Di Vittorio, Gaetano Salvemini, Guido D’Orso. Uomini che hanno acceso i riflettori sulla migliore meridionalità, quella intesa non come  ‘questione’ e problema nazionale, ma come ricchezza valoriale. “Sognatore è un uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole”, ha scritto Ennio Flaiano, così immaginiamo, non certo con disincanto, i padri della pedagogia intenti a sognare e costruire le basi culturali del nostro paese. Possiamo, a tratti, scorgerli, impegnati nella realizzazione di una rete nazionale ante litteram, su cui porre le basi non solo del sistema scolastico italiano, ma dei principi educativi condivisi, operando su un terreno di fertile dibattito e accettando le discordanti ideologie politiche e i differenti atteggiamenti religiosi professati.

E sono presenti, ben assortiti, tutti e due gli aspetti nel racconto di Petrosino. Il primo, quello della povertà estrema che porta il papà ad emigrare lontano, in Francia, e a lasciare il piccolo Lino da solo con la mamma, in una casa così umida, da costringere la donna a far spostare la sua creatura a casa della nonna per farla stare il più possibile in un ambiente più salubre. Una povertà raccontata con grande  struggimento e dignità, sia per rievocarla così viva e vera com’è, con l’infinito affetto dello scrittore sensibile e acuto, sia per trasferirla come memoria alle giovani generazioni.

 

Certo è che il Sud non è solo storia di sopraffazione ignoranza e miseria da inghiottire con le croste di pane; il Sud è l’orgoglio dell’anima di un popolo che si appartiene ed appartiene ad una cultura solida, che ha le radici contadine degli ulivi, la ruvidezza delle zolle bruciate dal sole, e i profumi intensi delle erbe aromatiche inaspriti dalla secca salsedine. 

Quando non si conosce la storia la si trasforma in geografia”, ha scritto Paolini, con tono polemico, riferendosi ad un certo modo della politica di prendere le distanze dalle ferite aperte del Sud. Ma nel topos della cultura contadina pugliese vive la fertilità del cuore, che ha fatto dire a Eugenio Scalfari che “al Nord si vanno a cercare i soldi, al Sud si va a cercare l’anima”, e questa affermazione sintetizza efficacemente il rapporto degli ‘emigranti’ del passato con l’amata terra lontana.  E’ proprio quest’anima che vive in Bambini si diventa. I racconti vertono sulle esperienze vissute da Lino, e quindi da tanti bambini del tempo, chiamati sin dalla tenera età a contribuire al bilancio famigliare recandosi ‘a bottega’, presso artigiani del paese come ‘lo scarparo’, ‘a imparare il mestiere’; oppure a dare una mano ‘in campagna’ nelle attività agricole legate ai cicli stagionali, sopratutto per la produzione dell’olio, dell’uva, delle mandorle e degli ortaggi. Non era raro che qualcuno perdesse la vita a causa delle ingiuste e precarie condizioni di lavoro, come accade nel commovente racconto ‘Un incidente sul lavoro’. La durezza del vivere che continuamente affiora dai racconti ne fa risplendere i valori (che oggi sembrano dimenticati e superati, tanto si perdono nel passato di questo piccolo centro del Meridione), eppure è proprio grazie al contrasto tra passato e presente, tra società civile del secolo scorso e odierna società liquida  che emergono come fondanti i valori della famiglia, della solidarietà, dell’onestà, del sacrificio e dell’impegno individuale. 

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