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Da Ruvo la poetessa Elisabetta Stragapede in tour con il suo ultimo libro

di Maria Pia Latorre

In giro per la regione la poetessa Elisabetta Stragapede con “La variabile umana”, sua ultima fatica.

Alla seconda pubblicazione, la Stragapede, animatrice culturale ruvese e fondatrice dell’associazione “In folio”, sta portando in giro la nuova raccolta poetica prodotta da LiberAria Editrice, con postfazione di Anna Toscano.

La silloge si apre con una sintesi perfetta ad inquadrare l’intero lavoro nella terzina che chiude la prima poesia (“Anonimo”): “e mentre ridi e t’ingozzi/ da qualche parte/ si spartiscono l’umanità”.

Sin dall’esordio ci accorgiamo, dunque, di trovarci di fronte ad un progetto di poesia che traccia, nella semplicità e pulizia del verso, un percorso di bellezza, non enfatizzando mai i tratti dell’umano, bensì assumendoli su di sé con maturità e profondo sguardo. Di fronte ad un portato denso, complesso e doloroso il verso è leggero e soave, e tale marcato contrasto fa scattare immediato interesse di lettura.

In tutta la raccolta, composta di 46 poesie, la postura dell’Autrice non è mai centrale, ma sempre laterale, inusuale, volutamente al margine della scena; a rinforzo di ciò si osserva che una delle occorrenze della silloge è l’aggettivo “sghembo” (utilizzato sia per descrivere delle assi che le nuvole), accanto all’altra occorrenza “fumo”, che riempie di evanescente ricordo la poesia “Nel fumo”, con una nuvola di fumo a racchiudere in dissolvenza le scene che vi scorrono serrate.

La silloge, rispondendo al dettato della semplicità, è suddivisa nelle sezioni “Nomi”, “Cose”, “Città”, “Mestieri” e “Parole”, riprendendo quasi come in un gioco la giostra del tempo vissuto.

In “Nomi” si viaggia in compagnia di vite, tutte diverse, talvolta vite sporche, purificate attraverso lo sguardo del poeta ed elevate a dignità da versi dorati.

Nella sezione tanti i ritratti di persone che diventano personaggi-simbolo, come “Antonio delle buste”, che volutamente si pone ai margini della società e che attraverso la propria esistenza non convenzionale si fa simbolo di libertà. Altro ritratto emblematico è quello di Samia, un pugno nello stomaco, perché a volte le parole girano a vuoto, ma qui no, qui colpiscono basso: “domani mangerò mio fratello/ pescato dai gozzi”, e che chiude con versi di straordinaria intensità che celo per rendere gusto alla lettura, perché, come afferma Anna Toscano, i versi di Elisabetta Stragapede “parlano delle persone e alle persone, e lo fanno con l’accuratezza e la grazia di chi ha una impellenza nel dire”.

Ultimo di questa prima sezione il nome “Angelina”, caro alla poetessa perché lo ha pronunciato spessissimo da bambina; Angelina rimanda al nome ‘nonna’, totem da venerare, con cui l’Autrice, fieramente, cerca un confronto.

Nella sezione “Cose” risalta la precarietà, che “ciclicamente” toglie “la forza della parola”, di fronte ad “entità carnefici che si camuffano a immagine di Dio”. “Qui si muore senza futuro”, perché l’ “avvenire è impigliato nel buio dei forse” e non si può accettare la morte di una giovane (con un brillante futuro dinanzi) data di propria mano. No, non si può.

– Manca la stabilità – chiosa la poetessa in una recente conversazione, “l’unica libertà che possediamo/ è darsi la morte per propria  mano”, è l’amara constatazione sofferta e dibattuta fino all’ultimo dall’Autrice, prima della pubblicazione. Versi che pesano come macigni ma che, nell’intenzione poetica, sono materno motivo ad apprezzare la vita, anche quando è nascosta sotto un drappo nero.

Difatti nella sezione “Città”, con passo leggero, si canta “portare/ nel sacco da viaggio/ speranza e miraggio”, con una leggerezza densa e speranzosa, come lo sguardo aperto e limpido della poeta dagli occhi glauchi, come lei stessa si definisce.

“La variabile umana” marcia in direzione opposta al Realismo terminale, che vuole l’umanità (in sovrannumero per la capienza terrestre) accatastata come oggettistica in qualche vecchio magazzino (l’immagine dell’uniformità delle celle-appartamenti che ci ospitano ben raffigura questo filone letterario del terzo millennio).L’umanità accatastata come ‘oggetto’ tra una miriade sconfinata di oggetti. Oggetti che desideriamo (perché?), che ci sono imposti, che pensiamo possano migliorare il nostro status, e in “Viaggio”, della sezione “Cose”, questo portato è drammaticamente vivo e ben espresso.

La solidità del verso della Stragapede viene dalla frequentazione costante della poesia, con l’assimilazione di autori che sembrano costituire il suo back ground, da Marniti a Saba, a Ungaretti, a Flaubert, tutti autori fautori di una idea di poesia onesta, quasi una ricerca fotografica, con il sapiente uso di strumenti tecnici nella sintesi del verso. Verso che si fa poesia per un preciso fatto estetico al quale fa da contrappeso il portato umano valoriale che ne aggiunge intensità.

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