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Ros Lo Conte poeta contemporaneo. L’intervista.

di Cinzia Santoro

Intervista Ros Lo Conte poeta contemporaneo: “La poesia muta, si lega alla prosa, abbandona la metrica e la rima e le ritrova entrambe, dal fluire del verso libero cerca ancora la musica. Muore a volte in noi, ma non scompare. Risorge sempre”.

Ros Lo Conte, nasce in Irpinia, vive a Salerno fino all’età di trent’anni, per poi trasferirsi a Como, dove tutt’ora risiede.
Laureato all’Università di Napoli, ha conseguito un master in diritto presso la L.U.I.S.S. “Guido Carli” di Roma.
Oltre alla presenza in Antologie di poesia, ha pubblicato tre raccolte di versi: “Parola Innamorata”, Gambini Editore, 2021, “Auciello e altre poesie”, in vernacolo napoletano, editore Bertoni e, da ultimo “Risvegli”, Il Convivio Editore, 2022 che ha l’ambizione di esplorare il proprio mondo onirico e, al contempo, di tradurre in poesia le esperienze della rêverie, seguendo le intuizioni di Gaston Bachelard.

Cosa rappresenta la poesia per Ros Lo Conte?


Non lo so bene, perché a questa domanda si può rispondere in vari modi: con un approccio storico-critico (anche se Benedetto Croce si è detto sempre contrario alla Storia della poesia), con quello che spiega il linguaggio specifico legato alla parola (ricordate tutti il famoso dialogo tra Degas e Mallarmé?), e ancora con quello della poesia come riflessione intima e filosofica.
E in tanti altri modi. La poesia muta, si lega alla prosa, abbandona la metrica e la rima e le ritrova entrambe, dal fluire del verso libero cerca ancora la musica. Muore a volte in noi, ma non scompare. Risorge sempre. Voglio rispondere alla domanda da poeta o da aspirante tale: non con le mie deboli parole che sono dilettanti, ma con quelle di Vincenzo Cardarelli, con quelle della poesia “Rimorso”.
Forse la poesia è anche questo e lo è quando si crea uno iato tra lei e il tratto che è la nostra  vita.
Forse la poesia è Rimorso.

Ti porto in me come il mare
un tesoro affondato.
Sei il lievito, il segreto
d’ogni mio male, o amore a cui non credo.
Amore che mi segui
oltre ogni limite, ovunque,
come un cane fedele
segue un padrone ingrato.
Ti fuggo invano.
Poi che meno ti penso più mi opprimi,
rimorso, celato affanno.
Tu certo un giorno mi raggiungerai
nella morte.
Là, riposato e cheto, il tuo buon Genio
mi assisterà.

Quali poeti ti hanno ispirato?


Per parlare dei poeti italiani (perché la poesia straniera tradotta non aiuta a volte a coglierne l’intima struttura, la musicalità ed è come vedere un arazzo dal rovescio, dalla parte dell’ordito come diceva Miguel de Cervantes) vorrei citare  Guido Gozzano, Palazzeschi, Montale, ma soprattutto Giorgio Caproni per il suo travaglio nei confronti della parola che ritrova sempre più inadatta e “dilettante” per esprimere il nostro sentire.

Perché in Italia si legge poco e ancora meno in particolare la poesia?


Forse la vulgata che in Italia si legga poco è un mito da sfatare.
Le ultime statistiche dicono che sia i lettori sia i ricavi dell’editoria negli ultimi anni sono cresciuti in maniera apprezzabile (complice, forse, la pandemia).
Se questo trend si confermerà, con gli anni assisteremo a una significativa ripresa, dovuta anche ai nuovi canali come il libro elettronico e i social, sul quale tornerò dopo. Certo, in questo panorama la poesia è di gran lunga rimane la Cenerentola, anche se, nelle vendite, conferma e tiene le pozioni.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una censura, ad uno iato tra la poesia colta (non scevra da colpe per un accentuato sperimentalismo e per una certa oscurità post-ermetica) e la poesia popolare, portatrice di una espressione non meditata, mediata e sentimentalistica che in certo senso disorienta. Questa frattura, secondo me, non aiuta,  anche se siamo in presenza di un quadro di profondi e rapidi cambiamenti.

Quali sono le tue raccolte poetiche?


Ho scritto sinora tre libri di poesie:
“Parola innamorata”,  Gambini Editore Intermedia che raccoglie poesie d’amore in senso lato, diciamo.
“Auciello e altre poesie”, Bertoni Editore, una silloge di poesie napoletane, lingua con la quale ho imparato a parlare.
E il terzogenito “Risvegli”, pubblicato da Il Convivio Editore con prefazione di Giuseppe Manitta, poeta, critico e saggista.
Per brevità farò un accenno solo al libro Risvegli.
In questo ultimo libro ho cercato di tradurre in poesia il tema e le seduzioni del sogno, attraverso un andamento a volte onirico altre volte riflessivo.
Ma non solo. Gaston Bachelard, filosofo francese, parlando della rêverie ha inteso investigare quel momento tra sogno e veglia nel quale si forma una  “coscienza aurorale” ed  è così proficuo per il distillarsi e il formarsi della poesia. Questo approccio mi ha sedotto molto e ha influenzato parte del libro.
Sto preparando un libro   sullo sguardo e sull’incantesimo del volto, dell’eterno femminino e un libro a quattro mani sulla figura del padre.

Ros Loconte

La poesia sui social può essere un mezzo di diffusione della cultura letteraria?


Senza dubbio, ma con qualche distinguo.
Certamente, per la sua immediatezza, la poesia sui social diffonde la cultura poetica e letteraria.
Ma gli esiti non sono sempre e una volta per tutti proficui.
Mi spiego meglio.
Tutti sanno che in Italia, secondo dati statistici, ci sono circa tre milioni di poeti e, secondo dati reali, si pubblicano tra i 250 e i 300 libri al giorno, dei quali una discreta parte di poesia.
Sui social sono presenti numerosi gruppi di poesia e tante pubblicazioni personali.
Torno alla domanda.
La poesia sui social contribuisce alla diffusione della cultura?
Sì, a patto che chi pubblica poesia sui social, e su facebook in particolare, non sia autoreferenziale, torni volentieri al libro e si confronti, in un percorso di crescita e di maggiore consapevolezza, con gli esiti della poesia classica e contemporanea.
I social sono solo un potente mezzo, direi anche democratico, ma la poesia, come diceva Pasolini, deve restare incommensurabile nella sua essenza.

24 marzo 2022 

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