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Il vento caldo e Mimì “capatosta”

di Cinzia Santoro
l’ex sindaco di Riace Domenico “Mimmo” Lucano

Al termine di un viaggio estenuante arrivo a Caulonia Marina, in tempo per la conferenza stampa. Lo zefiro mi sfianca, così come l’impazienza di incontrarlo.

Mimmo Lucano (ex.sindaco di Riace) ha il viso tirato, stanco e imperlato di sudore. Lo sguardo però è fiero, e gli occhi neri e profondi come quelli di uno zingaro. Si, proprio i rom, di cui accennerà in conferenza stampa ricordando la festa dei Santi Cosimo e Damiano durante la quale sua mamma incontrava gli “ultimi”. Sono presenti i giornalisti della locride, gli attivisti del Comitato Undici Giugno, i suoi parenti venuti dal nord (“noi Mimmo non lo abbandoniamo”, diranno con orgoglio) e alcuni immigrati, pochi e silenziosi, una presenza discreta ma vera; il più piccolo, forse di appena quattro anni, porterà un fazzolettino a Mimì per potersi asciugare il sudore. L’innocenza disarmante del bimbo in un atto d’amore verso un “grande”, perché Lucano è un grande, ne sono assolutamente convinta e la Storia lo dimostrerà.

Lui parla pacatamente, come fosse tra amici e si domanda il perché di tanto accanimento giudiziario, politico e ora mediatico. Mimì racconta gli anni dell’impegno sociale e politico, il sogno di un ragazzo calabrese, di un paese che rinasce libero dalla ‘ndrina locale e aperto al mondo. Lo stesso mondo che spinge migliaia di vite umane in cerca di un posto migliore per vivere.  Arriveranno i curdi prima e poi una fiumana di razze, culture e storie. Siriani, afgani, nigeriani, ghanesi, pakistani e ancora altre genti e altro dolore. Mimmo non resta indifferente e con un sorriso amaro afferma: “Il modello Riace è una banalità; è semplicemente il non voltarsi dall’altra parte”.
Lucano pensa che l’immigrazione possa divenire una risorsa per il paese spopolato da quello stesso fenomeno che ha visto i riacesi disperdersi per il mondo. Le case abbandonate rivivono, giovani coppie e i loro bimbi ripopolano i vicoli scoscesi del paese, profumi, suoni e sapori diversi si mescolano nello scorrere del quotidiano. Il cuore di Riace torna a pulsare e l’economia riparte.
Tuttavia quel sogno divenuto un “modello” studiato in tutto il mondo pungola gli animi dell’altra parte della terra calabrese.  Nel 2017 Mimmo Lucano viene indicato dalla rivista Fortune tra le 50 persone più potenti del pianeta; ma il “no” inflessibile alla ‘ndrangheta, i livori politici, le vicissitudini  personali e l’interesse mediatico creano un mix di sospetti, dicerie e veleni.  
Scattano le intercettazioni. Lucano ne è consapevole ma non scende a compromessi.
Il resto è storia recente. Il vento soffia e annebbia gli animi dei nemici: politicanti che cavalcano l’onda nera xenofoba e giornalisti che per tre denari vomitano falsità inneggianti alla destra razzista. L’accanimento giudiziario porta poi al divieto di dimora nella sua amata Riace, un provvedimento controverso, singolare ma non scontato: è il divieto a un “simbolo”, ad un modello politico scevro da ottusità e da quegli opportunismi caratteristici del politichese italiano, sia esso di destra o di sinistra. I suoi oppositori sono impauriti dalla forza di un uomo che ha avuto il coraggio (“l’impudenza” per loro) di rimanere fedele ai propri valori: l’amore verso il prossimo, l’orgoglio per la propria terra e l’impegno politico al servizio dei deboli.
“Ce ne fossero di Lucano in Italia, in Europa e nel mondo”, continuo a pensare mentre lui parla e risponde alle domande dei presenti. Mimì ormai è un fiume in piena e sostiene con forza la coerenza delle proprie azioni, anche alla luce dei risvolti recenti. Lui, calabrese, nel paese delle mafie e dell’onore, non cerca vendetta ma aspetta che la giustizia faccia il suo corso.
Noi aspettiamo al suo fianco.
luglio 2019

pubbl. 5 agosto 2019

 

 

 

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