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Chiamarla fotografa non basta. Rosa Colacoci concettualità e ricerca

 

di Cinzia Santoro

Rosa Colacoci mi accoglie nel suo studio fotografico trasmettendomi in modo immediato la sua passione per lo scatto. Tarantina, attiva nel sociale, da anni si dedica alla fotografia concettuale e di ricerca. Tra le sue opere “In-visibili concezioni”, trenta scatti in bianco e nero per ripercorrere i riti della Settimana Santa a Taranto; l’esposizione fotografica “Al muro”, dove Rosa racconta la Vita con un bianco e nero minimalista e di grande forza emotiva; il video “I tarantini lo fanno meglio” in collaborazione con la filosofa Maria Giovanna Farina e il sociologo Francesco Alberoni. Ha partecipato a diverse mostre personali e collettive vincendo numerosi riconoscimenti e realizzando collaborazioni con numerosi artisti; una fra tutte la poetessa bergamasca Silvia Calzolari.

Rosa, come nasce la tua passione per la fotografia?

Nasco come foto amatore, scegliendo i soggetti più disparati, poi ho cominciato a selezionare i miei scatti arrivando ad una fotografia di ricerca, più concettuale.

Cosa cerchi attraverso lo scatto?

Cerco sempre di comunicare qualcosa e di stimolare la discussione e il confronto. Cerco di emozionare e rendermi empatica.

Quali sono i messaggi che vuoi lanciare attraverso i tuoi scatti? O credi nella fotografia come pura forma di estetismo?

Difendo la bellezza di qualunque fotografia. Ogni scatto rappresenta la visione soggettiva di chi lo ha realizzato e quindi riflette un aspetto di quella persona. Anche la foto estetica è bella: ogni genere esprime la sua forza.

Qual è la difficoltà più grande che incontri fotografando?

Trovo difficile fotografare persone con le quali non ho scambiato nemmeno una parola. Un breve colloquio preliminare diventa essenziale soprattutto nella forma fotografica più concettuale, in cui si corre il rischio che il soggetto non sia rappresentativo del ruolo che andrà a interpretare.

Cosa, invece, ti gratifica di più?

Lo scatto che colpisce, che a volte fa male, che rimane impresso più di ogni altro, nel bene e nel male.

Cosa ti piace fotografare?

Le storie, i concetti, attraverso una fotografia di ricerca che  mi consenta di realizzare un libro da sfogliare.

A quale grande fotografo ti sei ispirata per forgiare il tuo stile?

Ho sempre avuto il timore di essere condizionata dai grandi autori. Quindi ho trascurato il loro studio e ho lasciato più spazio alla mia fantasia. Alcuni mi colpiscono in particolar modo, tra tutti l’italiana Letizia Battaglia.

La fotografia come fenomeno di massa: ritieni che possa rappresentare un problema per i professionisti?

Io stessa mi sono dedicata a questa forma di arte proprio perché divenuta più accessibile rispetto al passato. La fotografia del passato era più costosa, tecnicamente più complicata e presupponeva un percorso diverso. Ovviamente, oggi, risulta molto più difficile emergere e distinguersi.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Spero di potermi dedicare con continuità a lavori di ricerca e che si proponga sempre davanti a me una storia da raccontare.

22 marzo 2019

2 thoughts on “Chiamarla fotografa non basta. Rosa Colacoci concettualità e ricerca

  1. trovo curioso che una fotografa abbia bisogno di un colloquio preliminare prima di fotografare un soggetto. Accadeva con i ritrattisti del RNIASCIMENTO, Ma ANCHE DOPO, che dovevano tirar fuori lo spirito del loro personaggio, come voleva farsi rappresentare nel modo sociale. Complimenti per l’artista, e l’intervistatrice, che, senza farsi notare, ha tirato fuori l’in-visibile della fotografa. Saluti a tutti, nicola

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