Successo a sorpresa per Green Book: è l’outsider dei prossimi Oscar Cinema Cultura 5 Febbraio 20195 Febbraio 2019 di Romolo Ricapito Green Book, che ha ottenuto 5 nomination agli Oscar 2019, avrebbe con ragione le motivazioni per vincere il premio come miglior film, perché trattasi di un’opera in parte nostalgica, ma senza malinconia e, cosa ancora più importante, priva della retorica “commerciale”, quella che rovina molti film americani. Si forniscono allo spettatore buoni sentimenti, esplorando i conflitti (risolvibili) di un’amicizia nata inizialmente come un freddo rapporto di lavoro tra un buttafuori di origine italiana e un pianista nero, genio del jazz, ma con una formazione classica. La nazionalità del personaggio interpretato mirabilmente da Viggo Mortensen è tradotta con il maschio meridionale (siciliano) che affida il proprio stipendio alla moglie affinché lo gestisca al meglio. Consorte, o angelo della casa, che gli cucina spaghetti e polpette e che Tony Vallelonga (Mortensen) omaggia con delle splendide lettere d’amore eterodirette, ovvero dettate dal talentuosissimo musicista Don Shirley che è anche un abile letterato. Le interpretazioni di Viggo Mortensen e Mahershala Ali sono da manuale e dunque sono state premiate con una nomination a testa (protagonista e non protagonista). Ali aveva comunque già vinto due anni fa come non protagonista per Moonlight. La segregazione razziale dei neri negli Stati Uniti del Sud nell’era Kennedy offre molti spunti laddove il talento di chi è ammirato (Don Shirley, il cui vero personaggio è deceduto nel 2013, così come quello di Vallelonga, che divenne un apprezzato maitre d’hotel) è soggetto comunque a restrizioni umilianti come l’uso di gabinetti indecenti per soli neri o il rifiuto del ristorante che ospita i suoi adoranti fans ad accoglierlo per cena. Il green book del titolo è un opuscolo di istruzioni che elenca hotel, locali e punti di ristoro specificamente destinati agli afroamericani. L’omosessualità del musicista , uomo coltissimo e plurilaureato ( è anche psicologo) è rivelata verso la fine del film per non creare confusione tra il razzismo che umilia i neri e quello che perseguita i gay. Ad ogni modo Villalonga apparentemente rozzo per gusti e atteggiamenti (mangia il pollo fritto con le mani) è molto evoluto e avanti rispetto agli americani del 1962 (data di ambientazione) in quanto non si scandalizza della diversità del suo cliente anche perché, come egli gli spiega, ne ha viste di ogni colore nei locali notturni dove è stato sempre impiegato come abile tuttofare. L’uomo inoltre rivela di essere stato vittima a sua volta di razzismo: “mangiaspaghetti” è uno degli insulti che gli rivolge un personaggio del film, mentre un agente di polizia lo paragona a un “mezzo negro”, affiancato al suo datore di lavoro che è nero totalmente. Peter Farrelly non ha ottenuto la nomination come migliore regista, punito forse dai membri dell’Academy per avere diretto col fratello Bobby successi commerciali e “demenziali” come Scemo & più Scemo, Tutti Pazzi per Mary e I Tre Marmittoni. Va sottolineato come però lo stesso Farrelly si riscatti meritatamente come autore della sceneggiatura originale, dividendo il merito con Nick Vallelonga, figlio di Tony e Brian Curry: nomination per tutti e tre. Linda Cardellini è una bravissima Dolores Vallelonga mentre l’unico neo dell’edizione italiana è il doppiaggio del personaggio di Tony Lip, nomignolo di Vallelonga, al quale Pino Insegno dà voce con una caratterizzazione molto spinta sull’accento dialettale siciliano. Queste personalizzazioni tutte frutto di adattamenti discutibili andrebbero riviste, mentre è certo invece che Mortensen, danese, nel ruolo dell’italoamericano, grazie a una perfetta identificazione è davvero bravo, tra l’altro ingrassato apposta quasi come Robert De Niro per Toro Scatenato. La bravura di Mahershala Ali è pari o finanche superiore grazie a un ruolo difficilissimo che gli è valso già un Golden Globe. Ottimo quindi il montaggio di Patrick J. Don Vito: quinta nomination. 5 febbraio 2019