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Carciofi alla Giudia, intervista con l’autrice del romanzo, Elisabetta Fiorito: Un incontro d’amore in età matura fa sognare i protagonisti e i lettori

di Romolo Ricapito
E’ primavera, spuntano tanti fiori nei prati e con essi… molti romanzi interessanti da leggere.
Mi ha colpito in particolare Carciofi alla Giudia edito da Mondadori (271 pag.) e  scritto da Elisabetta Fiorito, giornalista parlamentare.
E’ immediato il colpo d’occhio che s’incentra sulla copertina, di colore verde, come i carciofi del titolo, vegetali preziosi e benefici per la nostra salute, che tra l’altro vantano proprietà disintossicanti e tonificanti (combattono anche il sovrappeso e.. scusate se è poco).
Sulla copertina sono visibili   due figure, quelle di due sposi : l’uomo ha il tipico  copricapo usato nei luoghi di culto dagli ebrei, la kippah.
L’immagine stilizzata riassume la storia d’amore tra Rosamaria, regista teatrale e David, ebreo romano di famiglia tripolina, commerciante.
Il titolo del romanzo è una metafora della liaison tra i  due caratteri principali: trattasi di un piatto tipico ed “essenziale” della cucina romana, mutuato dalla tradizione culinaria ebraica.
Elisabetta Fiorito definisce il suo romanzo “d’intrattenimento e d’impegno sociale“, quasi un ossimoro, ma Carciofi alla Giudia è anche di un’opera di denuncia   però   concepita in maniera tale da divertire   il lettore.
Si legge infatti velocemente e mischia generi di narrativa diversi, con un tocco di giallo.
Ma la denuncia non riguarda soltanto e unicamente  i pregiudizi contro gli ebrei (che in Italia sono 25 mila, spiega Fiorito, ma di essi si parla “per sentito dire”, ossia si va per cliché) ma descrive  anche la crisi economica che si è fatta strada purtroppo in Italia nel 2010-12, biennio funesto che ha dato luogo all’impoverimento della classe media, rendendo i poveri (quelli già esistenti) poverissimi.
Ma cosa spinge una cronista parlamentare, con laurea in lingue, a dedicarsi alla narrativa?
Questo di Elisabetta  Fiorito è il primo romanzo pubblicato, ma ne esistono altri di inediti.
L’autrice ha inoltre prodotto dei monologhi sulla Bibbia pubblicati sull’inserto domenicale di Liberazione che uniti, costituiscono un volume a sé.

Autrice teatrale, ha in mente anche il prequel di Carciofi alla Giudia, con inizio nel 1912. Ma ogni romanzo è una storia a sé e quest’opera nelle librerie romane (e non solo)  sta andando praticamente esaurita. Trattasi di una vicenda ambientata nella Capitale e che è già molto recensita.

– I protagonisti della storia d’amore di Carciofi alla Giudia sono ex fidanzatini che si ritrovano in età matura.
Essi  sono rappresentativi di un romanticismo che va al di fuori dei soliti canoni?
 
“Non so se si tratti di romanticismo, ma penso che l’incontro tardivo tra David e Rosamaria è rappresentativo di ciò che accade nella vita. Succede infatti che proprio le persone che si conoscono in gioventù possono ritrovarsi più tardi per scoprire che avevano molti punti in comune e che questi sono rimasti malgrado si siano persi di vista e abbiano avuto diverse esperienze nella vita. Sembra quasi che il destino li leghi malgrado il passare degli anni.”
 – L’ambiente della borghesia ebraica romana   mi ha ricordato i romanzi di Alessandro Piperno.
Lei si è ispirata per il romanzo  a qualche autore preesistente  ?
 
Quali sono gli scrittori, italiani o stranieri che più apprezza?
 
Il romanzo nasce da una reazione agli scrittori ebrei ashkenaziti (provenienti dall’Europa dell’Est) che avevano sempre descritto il rapporto tra un uomo ebreo e una donna non ebrea. Ecco, come donna non ebrea ho voluto descrivere il rapporto con un uomo ebreo, questa volta sefardita (proveniente dalla Libia) e con un taglio più ironico e meno cupo dei grandi scrittori in questione. E’ difficile dire a quali scrittori mi ispiri, leggo molto e generalmente di tutto. Tra i miei preferiti, i fratelli Singer, Potok, Grossman, Nemirovsky, ma anche Dickens, Elisabeth Gaskell, Jane Austen.
 – Si fa riferimento alla cacciata degli ebrei dalla Libia. La famiglia di Arturo (padre dii Davide)  si è trasferita in Italia nel ’67.
Come si è documentata sotto il profilo storico?
 
Io ho una testimonianza diretta su ciò che è successo alla famiglia di mio marito che è un ebreo tripolino. Ho studiato molto la questione della cacciata nel 1967. E’ un tema ricorrente e mi sono affidata ai ricordi dei miei familiari, ma ho anche studiato la questione. Citerei per affetto e per primo il libro di mio suocero: il Ribelle di Artur Journo. Ma a seguire: Ebrei in un paese arabo di Renzo De Felice; Tramonto Libico di Raphale Luzon, E venne la notte di Victor Magiar, solo per citarne alcuni.
 – Rosamaria, la protagonista, allestisce spettacoli teatrali. E’ un personaggio autobiografico avendo lei all’attivo già un’esperienza in questo campo?
 
 
Per lavoro faccio la giornalista politica, ma mi occupo anche di teatro per Radio24. E’ per questo che conosco l’ambiente che sta attraversando una profonda crisi soprattutto dopo i tagli al Fus, il fondo unico per lo spettacolo. Il problema è rilevante, secondo me il teatro è vita e politica. Nell’antica Grecia era sovvenzionato dallo Stato. E’ necessario come gli autobus in una città altrimenti assistiamo all’impoverimento culturale del paese, una nazione in cui si legge sempre meno e con una programmazione sempre verso il basso. Bisogna invertire la tendenza, altrimenti non riusciremo a “risorgere” né culturalmente, né economicamente.
-A proposito del romanzo, si è detto che è ambientato in un periodo, quello attuale, nel quale il populismo aumenta.
Questo termine, populismo, tornato di gran moda, è da intendersi per forza in un’accezione negativa?
Il populismo è la conseguenza di quello che spiegavo prima: è l’impoverimento culturale del paese dove attraverso slogan rabbiosi si costruisce il consenso.  La rabbia è un fenomeno giusto in un’Italia che è ferma al palo da troppo tempo, ma bisogna guardarsi da tutti i populismi perché generalmente non portano nulla di buono soprattutto durante i periodi di crisi. Il fascismo e il nazismo sono iniziati così. E’ importante esserne consapevoli e cercare di strutturare la rabbia incanalandola verso le istituzioni democratiche.
 – In Italia (ma in particolare al sud) si legge poco, ciononostante molti nuovi autori tentano la strada della narrativa, che premia nelle vendite però solo pochi (e spesso gli stessi) nomi.
Carciofi alla Giudia sembra   partito già molto bene.
Se volesse invitare  i lettori di www.gazzettadaltacco.it a leggerlo ( ma anche  tutti i lettori potenziali in generale) , cosa direbbe per invogliarli alla disamina di questa sua fatica letteraria?
Prima di tutto direi ai lettori che è un romanzo divertente anche se drammatico. Si possono scrivere cose terribili facendo ridere. Occorre una trama forte e un po’ di ironia. Da anglista, sono due aspetti che non mi mancano e ho cercato di metterli nel romanzo con battute pungenti, alle volte in romanesco, prendendo spunto da due scrittori apparentemente agli antipodi: Jane Austen e Andrea Camilleri. E poi ho cercato di descrivere uno spaccato dell’Italia strozzata dalla crisi economica dove i lettori possono riconoscersi perché hanno passato se non le stesse esperienze magari qualcosa di simile. Ma tutto questo volando leggero per arrivare d’un fiato all’ultima pagina. Poi non la chiamerei fatica letteraria, si scrive perché è una necessità e un divertimento. 

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