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Burka: Not my Identity Intervista a Thamina Arian attivista per i diritti delle donne afgane.

di Cinzia Santoro

È trascorso più di un anno dell’abbandono del paese da parte degli eserciti usa e degli alleati e l’Afganistan è al collasso.
L’ oscurantismo feroce che si è abbattuto sul paese ha prodotto una devastante crisi economica e umanitaria. Ancora vivide sono le immagini di migliaia di afgani che disperati corrono in aereporto, in preda alla paura e alla disperazione. Oggi il prezzo più caro è pagato dalla donne riportate a condizioni inumane di vita e dai bambini che sopravvivono al limite della soglia di povertà.  Il tradimento della NATO e degli alleati ha devastato l’esistenza di generazioni di essere umani. L’erosione dei diritti delle donne è inarrestabile mentre l’occidente guarda altrove.
Incontriamo Thamina Arian, attivista afgana delle donne e autrice del docu-libro  Burka: Not my Identity

L’intervista

Quali sono le condizioni di vita delle donne in Afghanistan un anno dopo il ritiro degli Stati Uniti?


Le donne in Afghanistan temono il peggio dopo il ritiro degli Stati Uniti. Nei venticinque anni trascorsi da quando i talebani sono saliti al potere per la prima volta in Afghanistan, molto è cambiato. Tuttavia, i talebani vogliono ancora che le donne afghane indossino la loro tradizionale “gabbia”, il burka.
Nel 1996, quando i talebani presero il potere per la prima volta a Kabul, un funzionario talebano, che affrontava le domande dei giornalisti occidentali, fu sfidato sulla loro posizione riguardo alle questioni femminili. Ciò includeva l’istruzione delle ragazze, le donne che lavorano e le vedove costrette a essere il capofamiglia.  Sher Mohammad Abbas Stanikzai, ministro degli esteri ad interim dell’ Emirato islamico dell’Afghanistan, accusò i media occidentali di diffondere propaganda anti-talebana, confutando le affermazioni secondo cui i talebani erano contrari all’istruzione delle donne. Affermò che l’ordine per le donne e le ragazze di rimanere fuori dalle scuole e dagli uffici era temporaneo, applicato solo fino a quando il governo non fosse stato in grado di fornire spazi separati per l’istruzione e il lavoro, lontano dagli uomini. Il ministro degli Esteri assicurò alla stampa occidentale che le vedove e altre capofamiglia sarebbero state pagate per rimanere a casa, risparmiate dal lavoro.
Venticinque anni dopo e in uno dei suoi primi atti, il governo della Repubblica islamica dell’Afghanistan (i talebani) ha rimosso le ragazze dall’istruzione post-secondaria, mentre alle donne con un lavoro è stato ordinato di rimanere a casa. I talebani sembrano essere pieni delle stesse false promesse, sostenendo che le scuole secondarie femminili riapriranno presto, con poche prove a sostegno di questa promessa. Le ragazze afghane hanno più da perdere se la storia si ripete, in quanto in casa, le madri analfabete non possono aiutare le proprie figlie con l’istruzione privata.


Cosa è cambiato nella vita delle donne in città come Kabul rispetto alla vita delle donne nei villaggi?


Quando il ministero degli Affari femminili è stato ufficialmente sostituito con quello della Promozione della virtù e prevenzione del vizio, il governo talebano ha immediatamente agito per limitare i diritti fondamentali delle donne. Le donne non sono state più autorizzate a lavorare nei ministeri del governo accanto agli  uomini. Il 16 settembre 2021, un gruppo di capofamiglia afgane ha protestato contro il nuovo regime a Kabul rivendicando il diritto al lavoro.
Se non possiamo lavorare, cosa dovremmo fare noi donne afgane vedove?  Come daremo da mangiare alle nostre famiglie?
Da agosto 2021, le donne devono nuovamente indossare il burka, coprirsi il viso e non possono uscire da sole a meno che non abbiano un uomo accanto.
Da quando la comunità internazionale ha lasciato l’Afghanistan, le milizie talebane perseguitano le attiviste per i diritti delle donne e delle loro famiglie. Accade non solo nella capitale ma in tutto l’Afganistan. Le milizie talebane stanno imprigionando, torturando e uccidendo chiunque sia stato impegnato nella difesa delle donne e dei bambini e  dei diritti umani in Afghanistan.

Hai una storia da raccontare alle donne italiane per far capire loro le vicissitudini delle donne afgane? Perché aiutare le donne?

Dal giugno 2017 e fino a ottobre 2020,  c’è stata una  una campagna di sensibilizzazione per sradicare molti tabù culturali di vecchia data e aiutare le donne afghane a rivendicare la propria identità, come il diritto di essere chiamate con il loro nome. Credo fermamente che restituire alle donne il loro nome sia il primo passo importante per incoraggiarle a far valere i propri diritti in una società in cui la violenza e gli abusi contro le donne continuano a rappresentare un grave problema. Dopo tre anni di duro lavoro, finalmente due commissioni all’interno del parlamento afghano hanno accolto la questione e hanno lavorato alla legislazione per approvare una legge che riconoscesse alle ragazze e alle donne afghane un loro diritto fondamentale, essere chiamate con il proprio nome.
Ho anche pubblicato un libro-documentario intitolato Burka: Not MIdentity, che ritrae donne afghane di tutti i ceti sociali e mostra al mondo la diversità e le qualità delle donne afgane. Ora, sono in crisi, perché  tutto il nostro duro lavoro a favore delle delle donne afghane e dei loro diritti di  uguaglianza è stato cancellato dai talebani. Mettere al bando il 50% della popolazione afgana dalla scuola e dal lavoro è una chiara e sfacciata discriminazione e un attacco diretto ai diritti di queste donne e ragazze. Ora più che mai le donne afghane hanno bisogno del sostegno di leader, comunità, organizzazioni e fondazioni di tutto il mondo per combattere con loro per i loro diritti.

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