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Intervista a Fratel Ettore Marangi …come Francesco d’Assisi

di Cinzia Santoro

Fratel Ettore: “La più grande sorpresa nella vita di un  prete, sarebbe quella di scoprire che Dio è una donna, nera e lesbica. Vi spiego perchè.”

Ettore, fratello tra gli ultimi della terra. Ettore come Francesco d’Assisi: coraggio, comunità, spirito.  Ettore, spoglio dalle vesti di una chiesa vetusta e lontana dalle vicissitudini dei popoli.
Ettore, uomo di Cristo, in una chiesa inclusiva che sorride mentre parla alla gente e offre il suo Cristo anche a chi credente non è.  Proprio come un fratello che ti accoglie a casa sua a cena.

L’intervista

Fratel Ettore qual è il percorso che ti ha portato alla vocazione?
Credo sia stato un percorso esistenziale,  da piccolo frequentavo i boyscout della mia parrocchia e il gruppo era unito da una forma di bullismo contro un ragazzino che dovevamo insultare. Questi tristi episodi mi infastidirono e, nonostante i miei migliori amici facessero parte del gruppo, decisi di allontanarmi.
Io provengo da una famiglia secolarizzata, che mi ha cresciuto indipendentemente dalla religione, anche se mamma, durante il mese di maggio, dedicato alla Madonna, accompagnava mio fratello e mia sorella presso la Parrocchia di Cristo Re, per la preghiera mariana.
Questa circostanza mi suggerì che potevo recarmi in quel luogo per incontrare altri ragazzi e ragazze della mia età. Ero molto triste perché avevo scelto di recidere i rapporti di amicizia con il gruppo dei boyscout. Erano gli anni 80 e io avevo all’incirca 13 anni. Pregando in quella parrocchia, sentii quanto fossero belle le parole del vangelo, parole che iniziai a prendere seriamente. Quindi posso affermare che la mia vocazione non è frutto di indottrinamento o di promozione vocazionale attuata da un qualunque istituto religioso. La mia vocazione nasce dall’incontro diretto con l’uomo dei vangeli. Poi ho incontrato  un frate che è divenuto il mio padre spirituale. Eravamo io, lui e la parola di Gesù di Nazareth. Quel frate mi ha amato gratuitamente e liberamente,  rispondendo ad ogni mia domanda. Era un uomo affidabile e libero. Anche oggi, quando qualcuno solleva dei dubbi sul mio essere frate, io rispondo che la mia vocazione non dipende dalla Chiesa, perché io ho incontrato prima Cristo e poi la Chiesa. Con quell’incontro cambiai, incominciai a frequentare la parrocchia perché credevo di dover fare una scelta radicale nella mia fede. È stata una grossa crisi esistenziale. Provavo quasi invidia verso gli altri ragazzi che vivevano la fede con maggiore leggerezza. Io invece ero a un bivio: credere con fermezza, impegnando tutta la mia vita o lasciar perdere.  E comunque  il contatto con una parrocchia francescana, che non metteva in atto un approccio istituzionale, mi ha facilitato nella scelta. Io ad oggi non ho mai indossato il colletto bianco dei sacerdoti perché mi ricorda un guinzaglio per cani.

Perché hai scelto l’Africa rispetto all’umanità lasciata alla deriva nei quartieri delle periferie italiane?
Io sono partito dalla visione del mondo come un villaggio globale,  ho fatto la scelta radicale di seguire il vangelo come San Francesco d’Assisi e di conseguenza essere frate per me è impegnare la mia vita con gli ultimi. La mia  condivisione ha significato, raccogliere i pomodori con i migranti nigeriani nel foggiano o con i miei confratelli ad Ostuni, mettere su su una casa per i rifugiati  che non avevano nulla, aprendo semplicemente le porte del convento. Eravamo poveri noi stessi fra quelle mura, ma non esitammo ad abbracciare quegli uomini e quelle donne. Anzi ricordo che diverse ragazze dell’est provarono a fare un business non raccomandabile all’interno del convento, approfittando della mia assenza per la tesi.

Ettore sorride e parla. Il suo sguardo è aperto al mondo e al suo interlocutore. Spiega, si sofferma sui punti salienti, descrive esperienze e descrive la gente che gli è passata accanto. La sua integrità interiore, il suo esempio coerente e la sua fede mi disarmano.
Continua a spiegarmi: “Sono stato anche nel Salento dove mi sono impegnato nel discorso dell’inquinamento e anche a Manduria, un territorio molto complicato da un punto di vista socio-culturale, dove l’infiltrazione mafiosa era fortemente presente. Spesso dico, che se dovessi tornare in Italia, mi piacerebbe vivere a Manduria Ho fatto sempre un percorso di condivisione, coniugando i miei studi teologici, con la prospettiva che dovevo condividere la mia vita con gli ultimi.  Questa è la vocazione francescana, la mia missione. Sono arrivato tra gli ultimi della terra e vivo in Kenia da dieci anni, con i  bambini dello slum di Nairobi. Talvolta, scherzo con un mio confratello che mi chiede da che parte del mondo sto e io gli rispondo che sono come l’eroe dei due mondi. Proprio perché vivendo in un villaggio globale, il mio stare in Africa è solo un modo di stare in Italia. La mia vita parla con quello che faccio, non mi reputo una persona eccezionale e non lo sono, mi definisco un rompiscatole. Perché partendo dalla dottrina dell’ escatologia,  io guardo la realtà dalla prospettiva di come dovrebbe essere evangelicamente, ma non lo è, quindi critico il presente a partire dal futuro che ci viene promesso. Sono dunque un rompi-scatole in termini popolari.”

L’occidente ha un debito nei confronti della povertà africana?
Vivendo da dieci anni in Africa e confrontandomi con altri, in particolar modo con degli intellettuali africani e dei teologi preparatissimi, si capisce chiaramente che il problema del continente africano è un problema di povertà antropologica, non certo un problema di povertà materiale. Mi spiego, il discorso della povertà materiale è l’ultimo dei problemi africani, dobbiamo invece comprendere cosa sia la povertà antropologica che affonda le sue radici nell’esperienza della colonizzazione. I colonizzatori hanno privato completamente gli africani della loro autostima. Uno dei primi schiavi africani, affrancati nel XVIII secolo, Olaudah Equiano, andò a vivere a Londra per studiare e pubblicò un libro di memorie nel quale, in un capitolo, si dice stupito di vedere i mendicanti per la strada. Lui in Nigeria non aveva mai visto qualcuno chiedere l’elemosina. Quindi con la colonizzazione abbiamo radicalmente trasformato la loro società dicendo che la loro religione era satanica, la loro lingua incapace di esprimere concetti elaborati, i loro nomi incomprensibili, la loro cultura arretrata. Abbiamo distrutto l’Africa snaturandola. Il futuro africano è possibile solo in relazione al recupero delle radici culturali. Purtroppo gli aiuti di carattere solo economico fanno crescere la corruzione. Noi siamo responsabili di questa situazione e quindi nel mio piccolo opero  sull’inserimento dei bambini nelle scuole. Il successo del nostro lavoro passa dalla scolarizzazione dei più piccoli e quindi dal far recuperare loro le radici culturali africane.

Ti senti padre dei tuoi “figli” a Nairobi?
Ciò che mi ha spinto ad occuparmi dei più piccoli è  stato il grande rispetto che nutro per loro. Hanno i genitori e io non voglio sostituirmi. Il loro benessere viene prima dei miei bisogni affettivi. Posso fungere da padre nell’emergenza, poi mi propongo come un fratello o uno zio. Talvolta c’è la necessità di essere padre e di essere madre, pensa che questi ragazzi vivono come branchi di cagnolini per le strade di Nairobi, che non hanno mai avuto nessun tipo di esperienza affettiva ma conoscono solo violenze e mancanze. Ti racconto un episodio di alcuni piccoli molto ingenui, semplici nell’animo, che avevo abituato a salutarmi con un bacetto sulla guancia, quando li accompagnavo a scuola, proprio perché la questione affettiva è importante. Ora che sono cresciuti, quando ci incontriamo, loro mi salutano ancora con un bacetto. Fanno tenerezza.
In realtà tante donne africane si sono rese disponibili a crescere questi bambini. A loro ho affidato tantissimi ragazzi e queste donne hanno fatto un ottimo lavoro.

Cosa possiamo fare per aiutare questi ragazzi?
Moltissime famiglie danno un contributo mensile tra i 25 e i 50 euro per sostenere un bambino africano, come direbbe don Milani, si aiuta il piccolo a diventare cittadino del proprio paese. Il nostro progetto prevede che la donazione non vada all’orfanotrofio ma arrivino direttamente alla famiglia del bambino. Attraverso i social, la famiglia che aiuta, crea un contatto costante di dialogo con il piccolo che sta aiutando. Chi adotta entra nella vita dell’adottato ed è importante perché c’è un vuoto affettivo enorme in questi ragazzi. Non credete alle associazioni che raccontano che per pochi euro all’anno si può aiutare un bambino seriamente, a meno che non si tiene il bambino in un campo profughi. In Africa i prezzi del cibo sono elevati, solo le banane hanno un costo irrisorio. Pensa che nelle scuole africane i bambini non hanno libri o compiti da svolgere, la loro preparazione è scadente. Molto superficiale l’insegnamento, che si limita a dettare delle frasi tratte dai testi. Quindi mai quei bambini riusciranno a riscattarsi. Con le donazioni invece possiamo acquistare i libri e iscrivere i piccoli nelle scuole fuori dalla baraccopoli.
La gente africana purtroppo serve per l’immaginario collettivo, per farsi la foto e sfruttare la miseria di questi disperati. Chiunque può venire in Africa, portare un pacco di pasta e farsi dieci foto per dire al mondo che sta aiutando i poveri.
Abbiamo un pezzo di terra tutto nostro che ci è stato donato da un contadino e che fa parte del Progetto PEPEA, dove accogliamo i poveri della baraccopoli di Deep Sea, bambini e donne,  che vivono nella costante minaccia di perdere tutto, perché le loro baracche possono essere incendiate in qualsiasi momento. La cooperativa conduce attività di microcredito , crea posti di lavoro, offre assistenza sanitaria ai più poveri e ai disabili. Sognamo una comunità aperta a tutti dove riscoprire  i valori culturali africani. C’è un sito on line ” Progetto PEPEA” dove  informarsi e contribuire o se si è scettici vi invito a venire a Nairobi. Dall’Italia arrivano molti volontari, medici, infermieri e ragazzi che stanno con i nostri bambini e creano nel tempo rapporti d’affetto. La relazione Europa-Africa si crea proprio così,  nell’incontro.

Ettore, il tuo Dio è lo stesso dei vertici della Chiesa cattolica?
L’organizzazione della chiesa cattolica sta creando tanti fastidi proprio all’autorità suprema che è il papa. Francesco è uno dei papi più perseguitati nella storia della chiesa cattolica e prima di lui bisogna tornare al medioevo. È chiaro dunque che l’organizzazione della chiesa cattolica vive oggi con strutture e ritmi feudali. Io non ho scelto l’istituzione ma ho scelto di seguire la regola di Francesco d’Assisi, che rappresenta il massimo carisma con cui cui incarnare il vangelo. Tuttavia l’istituzione della chiesa cattolica ha un ruolo che è quello di far rispettare la legge e senza legge non vi è giustizia per gli oppressi. Sempre che la legge venga applicata in favore degli oppressi e non sia mezzo di oppressione. Già nel vangelo questo problema era evidente, quindi si vive con l’istituzione ma anche in piena libertà.  Si sa che spesso l’istituzione può diventare demoniaca.

Qual è la tua posizione rispetto alla Chiesa sull’omosessualità e sull’adozione nelle coppie omosessuali?
Di rcente sono stato espulso  dall’università dove insegnavo, a causa di un post pubblicato su facebook,  in cui io esprimevo un mio pensiero, esplicitando un fatto evangelico. Gesù dice: “Tutte le volte che avete fatto queste cose a uno dei più piccoli, le avete fatte a me”. Il Signore si idendifica con tutti gli oppressi, con chi vive ai margini della società, con chi soffre ed è escluso. Quindi ho scritto che la più grande sorpresa nella vita di un  prete, sarebbe quella di scoprire che Dio è una donna, nera e lesbica. Perché? Perché le donne sono discriminate in tutto il mondo e oppresse,  sopratutto nell’organizzazione della chiesa cattolica. I neri sono discriminati da sempre e immagina le lesbiche cosa subiscono. Questo discorso non viene fatto quasi mai, in particolar modo in Africa. Sono convinto che tutti noi dovremmo uscire dalla discriminazione, perché gli omosessuali sono discriminati in modo sistematico nelle comunità cristiane. Quando un omosessuale è accolto in una comunità cristiana come essere umano, fa notizia.
Poi voglio dirti che sono aperto a una posizione espressa da alcuni gesuiti italiani che consigliavano di valutare la relazione omosessuale in base in base all’ amore esistente nella coppia. Ad esempio una caratteristica dell’amore è la fedeltà, se due persone si amano, sono fedeli e si dedicano l’uno all’altro perché non riconoscere il buono della relazione. In tante coppie eterosessuali queste caratteristiche non ci sono. Anche papa Francesco ha parlato della necessità di riconoscere le unioni civili tra le coppie omosessuali alfine di riconoscere il diritto della coppia come tale.  Alcune frange della chiesa cattolica, che io considero non conservatrici ma ottuse, dicono che bisogna mettere al centro il diritto del bambino. Bene, io sono d’accordo, io sono conservatore, nel senso che voglio che il Vangelo rimanga così come era in origine, e quindi metto al centro il diritto del bambino a vivere in una famiglia che lo ama. Io vivo a Nairobi e i bambini sono abbandonati per strada come cani senza dimora, sniffano colla e sono invisibili al resto del mondo. Quando incontro un piccolo mi impegno a trovargli una sistemazione presso una donna africana o in collegio o talvolta sta con me. Questi bambini sono talmente tanti che non possiamo permetterci il lusso di dire affidiamo solo a coppie eterosessuali. Nel momento in cui c’è una persona matura, in grado di amare e crescere quel bambino, che sia single, omosessuale o eterosessuale, noi possiamo affidargli il bambino.  Dobbiamo ricordare che i bambini sono le prime vittime delle strutture di oppressione. È questo discorso vale anche per l’ Italia.

Il matrimonio per i sacerdoti potrebbe essere una risorsa per la Chiesa Cattolica che appare oggi sofferente nelle vocazioni?
Io credo, che nella chiesa cattolica, non si voglia prestare attenzione sul fatto che al centro della stessa Chiesa ci sia l’Amore. È questo il valore supremo. Noi saremo tutti giudicati sull’ Amore e non sulla castità e cito Giovanni Della Croce vissuto nel 1600.
Quindi il nostro scopo è quello di amare, poi non mi interessa se il sacerdote è sposato, celibe o altro. Il fallimento è nel non aver amato.  Se essere celibe mi aiuta ad “amare di piu” ben venga, altrimenti sarà la scelta del matrimonio. C’è una pubblicazione recente che vi invito a leggere, La casta dei casti, dove la castità viene analizzata da un punto di vista sociologico. Se la castità diventa una realtà che aiuta a distinguersi e mettersi al di sopra degli altri allora diviene una casta, lontana dalla realtà e non va bene.  La castità dei preti non è un dogma, abbiamo preti sposati nella Chiesa Cattolica di rito orientale. Io penso che l’insegnamento della nostra chiesa sia contraddittorio, in quanto parliamo del matrimonio come un carisma e continuiamo a sottolineare la superiorità del celibato. Invece noi avremmo bisogno di persone che assumono il ministero del sacerdozio a prescindere che siano sposati o meno. Del resto la Chiesa dell’ America latina e quella tedesca lo ha esplicitamente chiesto, anche se c’è una corrente di pensiero contraria. Questa corrente è rappresentata da diversi cardinali, fra tutti il cardinale africano, Robert Sarah. Sarah è un cardinale e arcivescovo cattolico guineano,  prefetto emerito della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Ha pubblicato un libro, strumentalizzando addirittura Benedetto XVI, facendogli dire che la castità è essenziale al sacerdozio. È un controsenso perché così affermi che tutti i preti ortodossi sposati non sono preti. Queste sono baggianate che un cardinale non deve dire.

Papa Francesco ha chiesto perdono per gli atti di pedofilia perpetrati negli anni passati sui bambini da uomini della chiesa. Qual è il tuo pensiero?
Guardo con  sarcasmo questa realtà, perché il caso della pedofilia dei chierici, esplose nell’anno dedicato al sacerdozio da Benedetto XVI. Il caso esplose grazie all’interesse della stampa laica perché all’interno della Chiesa mai sarebbe venuto alla ribalta. Non esiste un crimine più efferato che un uomo possa compiere perché si distrugge la vita di un essere innocente. Io credo che se la Chiesa non si lasci interrogare seriamente sul dramma della pedofilia, cosa potrà mai coinvolgerla a cambiare idea sul clericalismo? Cosa significa? Esiste una casta clericale che si autoprotegge dinnanzi a questi delitti. La Chiesa non riesce a riconoscere l’importanza della divisione del potere. Già con Tocqueville e Montesquieu si proclamava che non si può accumulare il potere nelle mani di un solo individuo. È chiaro che quando il potere è solo nelle mani di un vescovo o di un prete si possono perpetrare queste atrocità. Si aggiunga il problema della stampa cattolica, che è  per lo più una stampa di propaganda edificante e che non consente l’autocritica, confusa come attacco all’autorità della Chiesa. Solo superando questi problemi potremo mettere fine anche alla pedofilia clericale. Oggi la Chiesa condanna i singoli ma io credo che sia un problema di formazione in seminario. Distinguo la pedofilia del clero da quella esterna. In Kenia il turismo sessuale è una piaga. Ma la pedofilia clericale è diversa nella perversione, perché il voler vivere in una condizione angelica e nella repressione della figura femminile porti all’identificazione di queste menti con le figure che meglio rappresentano gli angeli, cioè i bambini.  E di qui nascono le atrocità.

Ettore un’ ultima domanda, chi sarà il prossimo papa?
Questa è una bella domanda. In realtà la domanda dovrebbe essere: ma i passi enormi compiuti dal nostro papa Francesco con grande sforzo e sacrificio, sono irreversibili? Il cammino intrapreso da quest’uomo è solo morale ma ci sarà qualcuno che cambierà le cose da un punto di vista strutturale? Si sta procedendo lentamente. Non so chi sarà il prossimo papa però posso dire che c’è un movimento di pensiero, un vento dello Spirito che si sta alzando e soffia forte sulle vele della barca della Chiesa.

Ho seguito Ettore quest’estate nel suo peregrinare tra credenti e non. Ho apprezzato la sua vitalità, la sua intelligenza, la sua preparazione ma più di tutto, mi ha colpito il suo stare al mondo con animo aperto a tutti, proprio come quel Gesù che due mila anni orsono scandalizzava nel Tempio. 

26 agosto 2022

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