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Catherine Spaak come Ginevra Pantasilea Amerighi: colpevole perché donna

di Cinzia Santoro

Catherine Spaak come Ginevra Amerighi, colpevole perché donna. Colpevole perché libera. Colpevole comunque.  È morta a 77 anni e solo da qualche tempo sua figlia le si era avvicinata. Bella, intelligente, colta,  troppo per i giudici che negli anni 60 le strapparono la piccola Sabrina. Il giudice la giudicò di dubbia moralità perché attrice. 

Nella foto sopra a sin. Catherine Spaak e a ds. Ginevra Amerighi

Catherine raccontava:

“Era il ‘62, avevo 17 anni e, per la mentalità dell’epoca era uno scandalo. Ero ospite a casa Capucci dopo il mio matrimonio con Fabrizio, presi la bambina e scappai. Loro non me la perdonarono e sporsero denuncia. Fui arrestata a Bardonecchia Mia figlia mi è stata tolta perché il giudice scrisse che essendo io attrice ero di dubbia moralità. Sono stati anni difficili per le donne”.

Leggere le parole della Spaak mi fa riflettere sulla condizione femminile nei tribunali italiani e su quanto lavoro di sensibilizzazione ci sia ancora ancora fare sulle figure professionali che ruotano intorno al cammino delle donne madri che denunciano la violenza familiare. Purtroppo gli anni difficili  non sono terminati, tante le madri a cui vengono strappati i bambini con il benestare dei Tribunali italiani. I padri padroni continuano a violare la vita delle “loro” donne, viste come oggetto da possedere e da distruggere. I femminicidi ormai non li conto più, non passa giorno che i media non ci raccontano la morte delle donne. Ma è una narrazione tossica: “lei lo aveva lasciato” o “lui soffriva per la separazione” o ancora peggio, “tragedia in casa, lui era un brav’uomo” Mai e poi mai si parla della vittima, della sua quotidiana sofferenza, degli anni di violenza, verbale o fisica, mai del dolore della donna a cui il “brav’ uomo” controllava il cellulare, impediva le relazioni amicali o sfruttava economicamente. E ancora mai si chiede ai figli, se sopravvivono, qual è il loro tormento. 

Dal 1962 sono trascorsi 60 anni ma la condizione femminile resta tragica. Il substrato culturale misogino nutre i maschi nelle famiglie d’origine, ogni giorno e sempre, e noi madri di figli maschi, restiamo incapaci di riconoscere la violenza e di dire basta. I figli vengono strappati alle donne che denunciano il violento e talvolta quando le mamme possono riabbracciare i loro bambini, quest’ultimi non le riconoscono perché manipolati per anni con bugie e falsità dal violento o da chi rappresenta le istituzioni. Proprio come è successo a Catherine Spaak, la cui morte ha portato all’attenzione dei media la sua storia triste. Proprio come è  successo a Ginevra Amerighi che scrive: “Morivo ogni secondo che passava senza sapere niente di te. E i secondi, i minuti, le ore, i giorni passavano e sarebbero passati in fretta, al di là della pazienza che mi faceva morire piano. Erano sei giorni che nessuno sapeva niente di te. La remissività e la speranza servono a farti morire piano e senza disturbare. Una soluzione semplice per liberarsi di chi racconta una storia scomoda è il manicomio.” Ma come loro sono tante le donne italiane ancora vive, che attendono l’arrivo di “giorni migliori” per essere madri  in questo paese.

25 aprile 2022 

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