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Perché l’aborto farmacologico. Intervista a Maria Schirone.

di Cinzia Santoro

Maria Schirone, è la coordinatrice del Circolo UAAR di Bari. Abbiamo chiesto chiarimenti a proposito dell’Aborto farmacologico.

L’intervista

Il vostro Circolo oggi lunedì 12 aprile lancia anche da noi una campagna per l’aborto farmacologico. Vi sembra il momento adatto?

Ci sono temi che non aspettano il momento adatto. Il momento è sempre adatto perché certe necessità prescindono da altri problemi contingenti. La scelta di abortire, e come farlo, non può essere messa in coda a presunte priorità. Ci sono tempi e modi che diventano urgenze.

Ma perché proprio sull’aborto farmacologico, e in che consiste?

Abbiamo scelto di informare sulla modalità dell’aborto farmacologico con la pillola RU486 per una serie di questioni che si sono poste negli ultimi tempi. Innanzitutto, la disinformazione, spinta fino all’intimidazione, da parte di associazioni integraliste che si definiscono Pro-Vita e che si sono scatenate nel definire il farmaco un “veleno”. Cominciamo a fare chiarezza: la RU486 è un antiprogestinico di sintesi, utilizzato in associazione con una prostaglandina per indurre l’interruzione della gravidanza entro i primi 49 giorni di amenorrea, e si assume per via orale. In che senso sarebbe un veleno? In senso esteso, ogni farmaco è un veleno: anche l’aspirina. Che facciamo? Ecco l’intimidazione, la colpevolizzazione mirata alle donne che scelgono di abortire.

Aggiungiamo che evita l’intervento chirurgico (con tutti i rischi connessi), l’anestesia, il ricovero ospedaliero, e interviene in tempi molto precoci.

D’accordo, ma vi impegnate in questa campagna proprio ora, in tempi di pandemia?

A parte che, come dicevo, scoprire una gravidanza indesiderata può accadere in ogni momento, va detto che alcune regioni (Umbria, Marche, Abruzzo) hanno boicottato o reso difficoltoso questo diritto di scelta. Per questa ragione l’Uaar ha deciso di lanciare ora la nuova campagna “Aborto farmacologico – Una conquista da difendere“. Semmai la domanda andrebbe rivolta a chi perde tempo e denaro per fare campagne e affissioni contrarie alle scelte delle donne. E poi, la migliore occasione ce l’ha fornita la ragazza che coraggiosamente “ci ha messo la faccia”.

Sta dicendo che la donna che campeggia sui manifesti non è un volto a caso per rappresentare le donne?

Esatto. Non è un volto a caso. La testimonial della campagna è Alice Merlo, una giovane donna che ha avuto il coraggio di raccontare la propria esperienza, di dire che ha abortito con la pillola Ru486 e che non è stato un dramma. Le sue parole campeggiano sul manifesto dell’Uaar: «Ho scelto di interrompere volontariamente una gravidanza con la terapia farmacologica. L’ho potuto fare in tutta sicurezza. La Ru486 evita il ricovero ospedaliero e l’intervento chirurgico: una scoperta scientifica meravigliosa per la salute delle donne».

Quindi, da oggi questi manifesti sono visibili anche a Bari. Vi aspettate contestazioni e proteste? Cosa rispondete a chi volesse contestarvi?

I manifesti saranno visibili a Bari e a Modugno e circoleranno su camion vela. Sono già apparsi in numerose città e paesi, al nord, centro, sud e isole. A chi volesse contestarci vorrei ricordare che la possibilità di accedere all’IVG è legge dello Stato da oltre quarant’anni (L. 194/1978), e nell’ambito di questa legge, la messa a punto di questa pillola risale già a oltre dieci anni fa (2009). I tentativi di intimidazione non sono nuovi: ci riprovano sempre. D’altronde, nel caso di assunzione della RU486, opere di persuasione occulta nei confronti delle donne per trattenerle ricoverate in ospedale non sono ammissibili.

Ora, siamo noi che rilanciamo e chiediamo: quanto ancora dobbiamo aspettare perché venga garantita la piena applicazione della L. 194, perché venga abolita l’obiezione di coscienza nei reparti di ginecologia degli ospedali pubblici, che in certe strutture raggiunge punte dell’80-90%, e spesso solo per ragioni di carriera?. Occorre garantire premura e tempestività nei confronti di chi chiede una IVG. Da qui anche la nostra precedente campagna “Testa o Croce” per scegliere medici non obiettori, e non solo in ambito ginecologico: si pensi anche ad altre scelte individuali, come per i trattamenti nel fine-vita. Peraltro, quella alta percentuale costringe i pochi medici non obiettori a praticare quasi soltanto IVG e dedicare meno tempo al restante ambito professionale.

Tutto questo porta a pensare che da un lato ci siano i Pro-Vita, dall’altro ci siate voi: come definirvi? troppo pesante dire Pro-Morte? cosa risponde?

La ringrazio di questa provocazione, ottimo spunto per chiarire una cosa essenziale: forse nessuno più degli atei e agnostici ama la vita, questa vita, che è l’unica che abbiamo. Ma vado oltre. I Pro-Vita, nel definirsi tali, sono intrisi di profonda ipocrisia. L’alternativa all’aborto legale, assistito o farmacologico che sia, non è la “vita”, ma è l’aborto clandestino. Su questo tema mi batto da circa 50 anni: io ancora non votavo (fino al 1975 si votava a 21 anni) e si praticavano gli aborti clandestini. Credo che ognuno di noi abbia conosciuto in famiglia storie, vicine o lontane, di aborti clandestini, ma il tema rimane sempre quello. Vita vs. Morte? Ma proprio no: la morte semmai si annida nella clandestinità, nelle condizioni igieniche precarie, nelle mani delle praticone di quartiere indicate per passaparola, nei rischi di setticemia. L’altra faccia di queste condizioni era quella dei medici senza scrupoli che si facevano pagare profumatamente per un intervento, sempre clandestino s’intende, ma con maggiori garanzie; oppure, chi poteva andava all’estero. Ciò causava un solco ancora maggiore tra donne privilegiate e quelle dei ceti meno abbienti. Dalla legalizzazione dell’aborto non assistiamo più a tali obbrobri, anche se la pratica sta tornando nella clandestinità soprattutto ai danni di donne migranti che temono di essere identificate negli ospedali. Il che apre l’altro drammatico tema dei diritti verso questa nuova realtà sociale.

12 aprile 2021

 

 

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